Angela Von Merkelnich e il rischio di un nuovo ’48 europeo

Pochi giorni fa il cancelliere Angela Merkel ha sostenuto, in polemica con il candidato all’Eliseo Holland, che il patto fiscale Ue 25 non e’ negoziabile.

La Germania sembra terribilmente l’Impero austriaco uscito dal Congresso di Vienna del 1814-1815. Nella prima meta’ dell’Ottocento gli austriaci ostacolarono qualsiasi cambiamento della situazione geopolitica europea e ci volle la rivoluzione parigina del 1830, l’indipendenza del Belgio, il ’48 scoppiato in tutta Europa per mostrare i limiti di una politica conservatrice.

Oggi i panni dell’Impero austriaco sembrano essere assunti dai tedeschi
che paiono recitare molto bene la parte dei gendarmi di un’Europa burocratica e divisa; essi mostrano con i fatti di ostacolare l’unione politica europea: si veda a tal proposito la ferma, ostinata, inflessibile opposizione della Germania all’emissione degli Euro-Bond per far fronte alla crisi dei debiti sovrani.

Insomma, vorremmo sbagliarci ma sembra che per il cancelliere Angela Von Merkelnich l’Europa debba restare un’espressione geografica, un continente la cui economia sia dipendente e subordinata agli interessi geo-politici della Germania.

Urge una vera riforma federale non solo in Italia, ma ancor più in Europa. Altrimenti, tanto vale che ciascun Paese torni alla sua moneta.

O l’Europa si costruisce su basi autenticamente federali con la partecipazione delle popolazioni alle decisioni politiche oppure l’Europa si sfaldera’ in modo piu’ o meno pacifico.

I due capponi chiamati a fare pulizia nella stalla Lega

Il Senatùr, Calderoli e Maroni si ergono a giustizieri, a vendicatori dei militanti leghisti umiliati e offesi dalle male azioni del Cerchio Magico. E’ lecito nutrire qualche dubbio sulla serietà delle loro intenzioni. I primi due, agendo di concerto con altri figuri più o meno famosi, da tempo sono stati decisivi nel rendere la Lega una porcilaia. Maroni sembra essere l’unica persona credibile ma pesa sul suo conto un inquietante interrogativo. Ci chiediamo come sia riuscito in questi anni a trovarsi a suo agio in mezzo alla sporcizia che ora promette di spazzare via.

Il numero uno della Lega, il principale responsabile di ogni azione politica ed economica del movimento, Umberto Bossi, è ancora lì. Nessuno ha avuto il coraggio di toccarlo. Si è dimesso – è vero – ma i vertici (che dipendono da lui e dai suoi sodali) lo hanno subito nominato Presidente del partito. Maroni e i suoi sostengono la tesi che il Senatùr sia stato raggirato da un pugno di disonesti senza scrupoli. Il guaio è che i disonesti sono stati piazzati in Lega dall’Umberto, il quale ha sempre agito con la sua ristretta équipe di fedelissimi e fedelissime (cerchisti e non cerchisti). E’ una storia – questa del povero Bossi raggirato e preso in giro dai furbi – che può reggere per i militanti affezionati alla storia del Senatùr, per gli attivisti resi ciechi dalla fede nei poteri salvifici del Capo o – a dir meglio – di quel che resta del Capo. L’elettorato leghista e filo-leghista (che costituisce forse il 70% dei voti pro-Lega) difficilmente crederà a questa favoletta.

La verità – come sempre in politica – è assai più rude e semplice. Senza l’intervento della Magistratura, Maroni e Calderoli non si sarebbero mai sognati di fare i purificatori. Se gli scandali del partito non li avessero costretti a mascherarsi da moschettieri del re Umberto “puro e incorruttibile”, sarebbero ancora lì a razzolare nell’aia beccandosi come i capponi di Renzo.

Il destino della Lega? Affondata in un Belsito…

Le indagini della magistratura a carico dell’ex tesoriere della Lega Francesco Belsito, accusato di appropriazione indebita, truffa ai danni dello Stato, riciclaggio di denaro sembrano portare alla luce un sistema spaventoso di malversazione ai danni della collettività. Attenderemo il processo e la sentenza della magistratura per capire le responsabilità di ciascuna persona in questa squallida vicenda.

Ha ragione Matteo Salvini a denunciare l’intervento ad orologeria della Magistratura. Ma non è colpa di nessuno se il suo partito è al centro da settimane di indagini su presunti giri di tangenti e malversazioni. Se la Lega fosse un partito gestito con onestà e trasparenza, se i politici della Lega fossero onesti e trasparenti, i magistrati non sarebbero costretti ad occuparsi di loro.

Montanelli diceva: “gli italiani hanno lo stomaco forte: digeriscono tutto”. Un giudizio non proprio calzante per l’elettorato leghista, da sempre accusato di essere poco sensibile all’italianità. Vedremo alle prossime elezioni come reagiranno i militanti leghisti e i cittadini dell’area pedemontana che hanno votato per anni il Carroccio. Continueranno a turarsi il naso dinanzi al puzzo nauseante che esala da via Bellerio o faranno affondare un partito che serve ai Bossi per sistemare i loro famigli more italico

In effetti fa rabbrividire l’accusa che una parte dei fondi pubblici destinati all’attività del partito sarebbe stata impiegata da Belsito per le spese personali di Rosy Mauro e della famiglia Bossi, come d’altra parte non cessano di stupire (in negativo) le rivelazioni di Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita, in merito alla discutibile gestione finanziaria di quel partito. I leader politici pensano di cavarsela scaricando le colpe sui tesorieri. Non è un comportamento corretto. Abbiano la dignità di dimettersi, ammettano di essere responsabili nella gestione clamorosamente superficiale del partito, riconoscano il loro peso nella nomina di determinati figuri ai vertici del movimento.

E’ inutile che Bossi faccia finta di cascare dal pero. Se fosse un uomo politico responsabile, si sarebbe dimesso. Questo tuttavia non avverrà perché dietro il Senatùr c’è il codazzo dei familiari (in senso stretto e allargato) che non solo gli devono la carriera, ma soprattutto – come avviene per tutti i partiti incistati nel sistema – sono titolari – grazie alla Lega – delle rendite politiche nei vari posti dell’amministrazione centrale e locale. Senza Bossi dove andrebbero i tanti aiutanti che si nascondono dietro la sua persona ormai provata dalla malattia? Da almeno un decennio la Lega si è trasformata cambiando la sua natura: da partito del Nord a Roma è diventata un partito romano radicato al Nord.  

 E’ innegabile che la vicenda Belsito non mancherà di pesare sull’elettorato della Lega alle prossime elezioni. Il Carroccio potrebbe subire un drastico calo di consensi. Non si può escludere neppure che il partito di Bossi finisca per implodere.   

Occorre tuttavia rilevare che la battaglia per l’autonomia delle Regioni padane, per una riforma radicale dello Stato italiano in senso autenticamente federale, è ben lungi dall’essere destinata al fallimento. Nel Nord Italia e nel Centro Italia la crisi economica sembra rafforzare i movimenti indipendentisti che, presenti ormai da tempo sul territorio, paiono destinati ad ereditare – sia pure in parte – il bacino elettorale intercettato dal Carroccio. Sono movimenti che si rifanno al programma originario della Lega, quel programma che Gianfranco Miglio aveva mirabilmente condensato nel decalogo di Assago (1993). Per questa ragione le elezioni amministrative potrebbero riservare nuove sorprese, soprattutto nell’Italia padana.