L’amore maledetto di Via Unione

Ieri, mentre mi recavo in piazza Sant’Alessandro, nel passare per via Unione la mente è corsa a un vecchio fatto di cronaca della Milano di fine Ottocento.

La protagonista di questa storia era nota a Milano come “la contessa Lara”. In realtà il suo vero nome era Evelina: una ragazza che si era fatta notare per la bellezza della persona e per le sue straordinarie doti di poetessa. Nata a Firenze nel 1849, era figlia del console scozzese William Cattermole e della pianista russa Elisa Sandusch. Sposò nel 1871 il capitano Eugenio Mancini, figlio del senatore Pasquale Stanislao, il politico napoletano che sarebbe divenuto di lì a pochi anni, con l’avvento al potere della Sinistra storica, ministro di grazia e giustizia nel governo Depretis. Nel 1873 gli sposi si stabilirono a Milano.

Cosa avvenne di tanto scandaloso in via Unione? Il 22 maggio 1874 Evelina fu scoperta dal marito mentre si trovava in intimità con il suo amante, il giovane veneziano Giuseppe Bennati di Baylon. L’incontro dei due amanti era avvenuto in un piccolo appartamento situato per l’appunto in via Unione.

Bennati di Baylon, che all’epoca rivestiva l’ufficio di segretario capo del Banco di Napoli, era in rapporti d’affari con Mancini. Questi, avendo alcuni debiti da pagare, aveva chiesto più volte all’impiegato di aiutarlo mediante l’emissione di alcune cambiali. Il rapporto tra i due si era fatto più stretto con il passare del tempo e, nel corso di un incontro privato, il Bennati di Baylon aveva conosciuto Evelina, la cui bellezza lo colpì fin dall’inizio. Come spesso accade in questi casi, il tradimento si era consumato a causa dell’infelice matrimonio della ragazza, trascurata dal marito che preferiva trascorrere le sue serate sui tavoli da gioco o a teatro.

Una situazione cui Evelina sembrava alludere nella poesia “Di sera”:

Evelina 1875
Evelina Cattermole nel 1875

Ed eccomi qui sola a udir ancora/
Il lieve brontolio de’ tizzi ardenti;/
eccomi ad aspettarlo; è uscito or ora/ canticchiando, col sigaro tra i denti. /

Gravi faccende lo chiaman fuora; / gli amici a ’l giuoco de le carte intenti, / od un soprano che di vezzi infiora / d’una storpiata melodia gli accenti. / 

E per questo riman da me diviso / Fin che la mezzanotte o il tocco suona / A l’orologio d’una chiesa accanto. / Poi torna allegro, m’accarezza il viso, / e mi domanda se son stata buona, / senza nemmeno sospettar che ho pianto.

 

Comprendiamo bene come la ragazza non fosse stata insensibile alle attenzioni del giovane veneziano, il quale era rimasto rapito dal suo fascino. L’amicizia tra i due si mutò ben presto in un’appassionata relazione amorosa consumatasi fino a quel fatidico 22 maggio 1874, quando la donna di servizio, che era al corrente di ogni cosa, rivelò tutto al marito.

Mancini si vendicò nel modo consueto a quell’epoca: ricorse al “delitto d’onore”. Quattro giorni dopo sfidò a un duello con pistole il Bennati di Baylon. Questi, mosso da un profondo senso di colpa, rinunciò a difendersi non esitando ad invocare la morte in una lettera che portava con se. Il duello, avvenuto presso una fornace nel comune di Bollate, ebbe un esito che non è difficile immaginare: il giovane veneziano venne ferito mortalmente e morì dopo alcuni giorni.

Evelina, che amava follemente il Bennati, si recò sulla tomba dell’amato al Cimitero Maggiore e, come estremo saluto, depose sulla lapide una corona che aveva formato con le ciocche dei suoi capelli. Abbandonata dal marito, circondata dal pubblico discredito, si trasferì per alcuni giorni nella sua città natale, Firenze. Il padre si rifiutò di accoglierla a causa del disonore che aveva procurato alla famiglia. Solo la nonna si offrì di darle una sistemazione provvisoria.

Il capitano Mancini fu processato per l’omicidio. La sentenza gli concesse le attenuanti del delitto d’onore, condannandolo a tre mesi di confino.

Evelina, rimasta sola, abbandonata da tutti, dovette cercare un lavoro per guadagnarsi da vivere. Si impegnò nel campo del giornalismo sfruttando quelle poche amicizie che le sue doti di poetessa le avevano consentito di formarsi. Pubblicò le sue liriche sulla rivista “Nabab” presentandosi con lo pseudonimo di contessa Lara. Decisiva fu però la conoscenza a Milano di Maria Antonietta Torriani, moglie di Eugenio Torelli Viollier, direttore del “Corriere della Sera”. Grazie alla sua presentazione, Evelina fu tra i primi collaboratori del giornale, responsabile di una rubrica dedicata al costume femminile che riscosse una certa popolarità nella Milano di fine Ottocento. La giovane firmava i suoi articoli con lo pseudonimo “La Moda”. Seguirono collaborazioni con altre testate giornalistiche: da “Il Pungolo” a “La Tribuna illustrata” fino a “Il Fieramosca”. Si firmava spesso Lina de Baylon, n memoria dell’uomo che fu l’unico vero Amore della sua vita.

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Evelina Cattermole in un’immagine che la ritrae in età matura

Ottenuta una certa popolarità presso il pubblico della borghesia colta, nel 1883 Evelina si trasferì a Roma. Qui incontrò il giornalista Giovanni Alfredo Cesareo, un uomo assai più giovane di lei, al quale si legò in un rapporto sentimentale durato una decina d’anni. La relazione, non sorretta dall’amore, si era costituita soprattutto per l’insicurezza della donna, spaventata all’idea di rimanere sola per il resto della vita. Il rapporto tra i due finì tristemente a causa degli sbandamenti di Evelina. Il compagno, stanco del suo atteggiamento, la lasciò nel 1894 gettandola in una profonda crisi di sconforto.

Poco tempo dopo la donna conobbe Giuseppe Pierantoni, noto a Roma come “Bubi”, un pittore venticinquenne napoletano che sbarcava il lunario illustrando le pagine del periodico “La Vita italiana”. Bubi si finse innamorato di Evelina, la cui bellezza era ormai sfiorita con l’incalzare degli anni. In realtà i suoi progetti erano di tutt’altra pasta: intendeva approfittarsi delle fragilità della donna per farsi mantenere a sue spese. Quando vennero a galla le reali intenzioni del giovane, era ormai troppo tardi. L’ultima pagina di una vita tormentata fu volta in tragedia. Nel corso di un litigio per l’ennesima richiesta di soldi da parte di “Bubi”, Evelina fu uccisa con un colpo di pistola al ventre.

Poche le persone accorse al funerale della “contessa Lara”. Tra i presenti val la pena ricordare la scrittrice Matilde Serao, Luigi Pirandello e il marito Eugenio Mancini. Una vita infelice, quella di Evelina Cattermole, cui mancarono saldi affetti familiari. In una delle sue liriche, nel descrivere la profonda solitudine che l’aveva resa incapace di farsi una famiglia, aveva scritto: “Quando la vita ne la madre manca, voi, carte, ingiallirete, io morrò sola”.

Quando il falso è figlio del vero che si brama…

“Chi deve falsificare documenti deve sempre documentarsi, ed ecco perché frequentavo le biblioteche”: così confessava candidamente l’agente segreto Simone Simonini, il protagonista del romanzo Il Cimitero di Praga, mentre raccontava le circostanze che lo avevano portato a “fabbricare” il falso dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion destinato ad avere una sinistra influenza nella storia europea.

L’altro ieri, mentre assistevo all’interessante convegno del “Centro Studi Grande Milano” su “La storia dell’arte vera: la bellezza dell’autentico”, il mio pensiero è corso al compianto Umberto Eco, il quale ha dedicato al falso pagine indimenticabili nei suoi romanzi: da Il pendolo di Foucault  all’appena citato Cimitero di Praga.

All’incontro di giovedì, tenuto a Palazzo Turati presso la Camera di Commercio di Milano, hanno partecipato gli ex sindaci di Milano Piero Borghini e Carlo Tognoli, l’assessore al lavoro, sviluppo economico, università e ricerca Cristina Tajani, il presidente di Confindustria Anie Claudio Andrea Gemme ed Enrico Valdani, professore ordinario di economia e gestione delle imprese presso l’Università Bocconi.

Un folto pubblico di appassionati ha seguito la lezione dei due relatori: l’avvocato Daniela Mainini e il professor Flavio Caroli.

Daniela Mainini, esperta di diritto penale industriale, presidente del Centro Studi Grande Milano e del Centro Studi Anticontraffazione, oggi consigliere regionale nel Patto civico con Umberto Ambrosoli, ha tenuto un’interessante relazione sul falso nella storia dell’arte, mostrando con efficacia il ruolo per nulla marginale che questa realtà ha avuto nella storia.

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Daniela Mainini, Presidente del Centro Studi Grande Milano

“Nel 1990 – ricorda Mainini – “mi recai a Londra ove al British Museum era stata allestita una provocatoria mostra sul falso curata dal celebre studioso Sir Mark Jones e dai suoi assistenti. L’obiettivo di quella esposizione era stato di rendere consapevole il pubblico di una verità elementare: ogni società falsifica ciò che brama. Fu una mostra di grande valore storico perché gli oggetti e le opere d’arte esposte fecero capire ai visitatori il mutamento dei gusti culturali che avviene nella società nel corso dei secoli”.

In realtà, come ha precisato la relatrice, l’opera d’arte non è falsa in sé. Lo diviene nel momento in cui viene attribuita. La copia di manufatti di pregio era praticata già nella civiltà greco-romana. Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, raccontava come un oggetto venisse falsificato in molti modi (adulteratur multis modis). I romani distinguevano tra l’imitatio e l’emulatio: la prima consisteva in una pedestre attività tesa alla copia meccanica di un modello, la seconda in un’opera di alto rilievo artistico.

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Due collezionisti “stregati” dalla Cena di Emmaus

La storia della contraffazione non può farsi tuttavia nell’alto Medioevo, quando gli artisti non avevano ancora una loro individualità. L’identità degli autori di opere d’arte si affermò nel basso Medioevo e in età rinascimentale. I primi casi di contraffazione avvennero soprattutto nel corso del Settecento, in seguito alla scoperta di Ercolano e Pompei. Uno dei primi falsificatori fu il napoletano Giuseppe Guerra (morto nel 1761), pittore e restauratore, che riprodusse alcune pitture pompeiane con tale maestria da ingannare famosi collezionisti europei. La Mainini ha saputo catturare l’attenzione del pubblico nell’esposizione ragionata di tanti casi di opere adulterate. La storia fu un continuo susseguirsi di falsari fino al secolo scorso: da Icilio Federico Joni (1866-1944) ad Alceo Dossena (1878-1937) fino al celebre Han Van Meegeren (1889-1947): questi, seguendo una tecnica esposta in un vecchio trattato di pittura, dipinse su una tela del Seicento la Cena di Emmaus: opera destinata ad essere clamorosamente attribuita al celebre pittore olandese Jan Vermeer (1632-1675).

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Il Professor Flavio Caroli

All’intervento della Mainini è seguita la lezione magistrale del critico d’arte Flavio Caroli che, commentando le immagini di celebri dipinti dal Rinascimento al Novecento, ha mostrato la bellezza dell’autentico nel corso dei secoli: da Masaccio a Piero della Francesca, da Ludovico Carracci a Giuseppe Maria Crespi, da Turner a Monet fino a Morandi.

Resta da spiegare la ragione della straordinaria fortuna che il falso ha avuto nella storia dell’arte e più in generale nella storia della cultura. Forse, richiamandoci a Umberto Eco, questo si spiega perché l’immaginazione, satura di iper-realtà, pretende la cosa vera e, per ottenerla, fabbrica il falso assoluto.

La grande sfida della Città metropolitana

In un articolo pubblicato il  3 maggio scorso sul “Corriere della Sera”, Gian Giacomo Schiavi ha messo in evidenza i limiti della Città metropolitana milanese come è stata disegnata dall’attuale Legge 56/2014. Tale normativa, se ha previsto una certa autonomia che si è concretizzata nell’approvazione dello Statuto metropolitano, presenta numerosi punti critici, primo fra tutti la modesta estensione del nuovo ente. Difatti, la Città metropolitana di Milano non fa altro che riprodurre i confini della vecchia Provincia, composta da 134 Comuni. Ad essere esclusi sono inspiegabilmente territori che fanno parte integrante dell’area metropolitana milanese come Monza e la Brianza, il basso varesotto, il basso lecchese, il basso comasco, il cremasco, il lodigiano, il novarese, Vigevano, Bergamo e il basso bergamasco, Brescia e il basso bresciano.

Insomma, il Sindaco che sarà eletto alle prossime elezioni sarà a capo di un ente intermedio tra Regione e Comune la cui popolazione si attesta intorno ai 3 milioni e mezzo di abitanti. La grande Milano metropolitana è un’area su cui vivono in realtà più di 7 milioni di abitanti, caratterizzata da un’elevata mobilità dei cittadini che si spostano ogni giorno verso il capoluogo ambrosiano per ragioni di lavoro. Oggi un abitante di questa enorme conurbazione chiede servizi adeguati sul piano dei trasporti, della viabilità, delle infrastrutture. Sente l’esigenza di un governo metropolitano come avviene nella Grande Londra: un’area popolata da otto milioni e mezzo di abitanti, amministrata da 32 distretti urbani (municipalità con una popolazione media di 300.000 abitanti), gestita da un Sindaco metropolitano che, eletto da tutti i londinesi, viene assistito da un Consiglio composto da 25 membri.

Purtroppo la Città metropolitana di Milano sarà qualcosa di diverso dalla Grande Londra. Il modello non è certamente quello della City-Region. E’ piuttosto quello – come si è detto – di un ente intermedio che dovrà relazionarsi inevitabilmente con i Comuni e con la Regione in merito a funzioni amministrative che tali enti – com’è facilmente prevedibile – non saranno disposti a condividere tanto facilmente. Diversamente da quanto avviene nella Germania federale ove i Länder, esercitando funzioni politiche di tipo statale, lasciano agli enti intermedi la piena gestione dei servizi amministrativi di tipo metropolitano, in Italia le Regioni intervengono con leggi e atti amministrativi che spesso invadono le competenze degli enti minori.

23 sett Zone omogeneeIl prossimo Sindaco di Milano, chiunque verrà eletto, dovrà impegnarsi per rendere efficace il nuovo ente intermedio assicurando ai cittadini servizi adeguati nel campo della mobilità, della pianificazione interurbana, del trasporto pubblico, delle infrastrutture. La delibera n.51/2015 approvata dal Consiglio metropolitano il 30 novembre 2015 ha istituito sette zone omogenee entro le quali sono compresi i 133 Comuni metropolitani, Milano esclusa. Le sette zone sono istituite per assicurare il coordinamento delle funzioni svolte dai municipi e per garantire una efficace gestione sul territorio dei servizi metropolitani:

  • l’Alto Milanese: 258.000 abitanti ca, è composto di 22 Comuni, tra cui Legnano, Parabiago, Castano Primo, Cuggiono, Bernate Ticino;
  • Il Magentino-Abbiatense: 213.000 abitanti ca, 29 Comuni, tra cui Magenta, Robecco sul Naviglio, Abbiategrasso, Gaggiano, Rosate, Noviglio, Albairate;
  • Sud-Ovest: 238.000 abitanti ca, 16 Comuni, tra cui Opera, Trezzano sul Naviglio, Assago, Buccinasco, Cesano Boscone, Cusago, Rozzano;
  • Sud-Est: 173.000 abitanti ca, 15 Comuni, tra cui San Donato Milanese, San Giuliano Milanese, Peschiera Borromeo;
  • Adda-Martesana: 336.000 abitanti ca, 28 Comuni, tra cui Segrate, Vimodrone, Cernusco sul Naviglio, Gorgonzola, Inzago, Trezzo sull’Adda, Melzo, Cassano d’Adda;
  • Nord Milano: 315.000 abitanti ca, 7 Comuni tra cui Cormano, Sesto San Giovanni, Cologno Monzese, Bresso;
  • Nord Ovest: 315.000 abitanti ca, 16 Comuni tra cui Settimo Milanese, Rho, Lainate, Arese.

Il grande Comune di Milano città (che da solo raggiunge all’incirca il milione e mezzo di abitanti) non scompare. Si aggiunge a queste zone. Esso è stato diviso in nove municipalità corrispondenti alle nove zone attuali, ognuna delle quali sarà formata da un Presidente e da un Consiglio di Municipio. Diversamente dalle Zone Omogenee, le Municipalità milanesi non sono tuttavia federazioni di Comuni che si uniscono per gestire assieme i servizi eventualmente delegati dalla Città metropolitana. Sono enti decentrati dipendenti dal Comune di Milano.  La loro istituzione consentirà una migliore partecipazione dei cittadini all’amministrazione locale ma restano organi del Comune di Milano. non già della Città metropolitana. Continueranno pertanto ad essere fondamentali il Consiglio comunale di Milano e il Sindaco, entrambi eletti dai soli cittadini milanesi.

Insomma, come si può agevolmente constatare, la questione è complessa e contraddittoria: alle prossime elezioni i milanesi voteranno per un Sindaco le cui funzioni ricadranno non solo sull’amministrazione di una Milano che resta unita nei suoi 9 Municipi, ma anche in quella della Città metropolitana: i cittadini dei 133 Comuni che la compongono non parteciperanno in alcun modo alla sua elezione. Il candidato sindaco di centro sinistra, Beppe Sala,  ha detto opportunamente che, qualora fosse eletto, si impegnerà a rendere elettiva la carica di Sindaco metropolitano e chiederà al Parlamento e al governo centrale uno Statuto speciale per Milano che consenta alla città di superare l’attuale impasse. Come si dice in questi casi? La Speranza è l’ultima a morire…