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Beccaria e la disoccupazione

La disoccupazione è uno dei temi di maggiore attualità. L’Ocse, nel rapporto economico dedicato all’Italia, ha sostenuto che le riforme strutturali che il governo sta portando avanti  – dalla pubblica amministrazione al lavoro – saranno in grado di creare 340.000 posti di lavoro in cinque anni. Se consideriamo che i disoccupati (stime Istat 2014) sono più di tre milioni con una percentuale che per i giovani tra i 15 e i 24 anni resta superiore al 40%, si ha un’idea delle preoccupanti dimensioni del fenomeno.

Come uscirne? Tornare alla figura di Cesare Beccaria può esserci d’aiuto, in particolar modo al Beccaria funzionario nel governo della Lombardia austriaca tra il 1771 e il 1794. Può sembrare strano ma anche l’illuminista lombardo dovette fare i conti con il problema della disoccupazione. Diamoci un’occhiata.

Cesare Beccaria (1738-1794)
Cesare Beccaria (1738-1794)

Negli anni Ottanta del Settecento il fenomeno interessava soprattutto il comasco, un territorio ove operavano molti setifici che esportavano i prodotti nelle fiere del Levante. La seconda guerra russo-turca, scoppiata nel 1787 e protrattasi fino al 1792, aveva provocato tuttavia una notevole instabilità nei commerci internazionali. Questo segnò un calo considerevole delle vendite di sete lavorate nei mercati tedeschi che erano in rapporti con l’Oriente. Ne risultò a Como una eccessiva produzione di manufatti che il mercato non fu in grado di assorbire. I proprietari dei setifici, di fronte al calo della domanda, furono costretti a limitare la produzione e a licenziare molti operai.

Nel 1787, quando Beccaria si recò a Como per rendersi conto della situazione, i disoccupati erano divenuti alcune migliaia, una numero rilevante se si tiene presente che la città di Como e la pianura circostante contavano nel 1785 sui 42.000 abitanti (esclusi i paesi di montagna o sull’alto lago).  Molti disoccupati, rimasti senza fonti di sostentamento, finirono per ingrossare le fila dei delinquenti commettendo tumulti e furti nelle campagne. La situazione era grave. Il governo si trovava di fronte a un problema di ordine pubblico, ma era evidente che per risolverlo occorreva affrontare in modo adeguato la causa che stava più a monte: la disoccupazione.

Beccaria convocò le autorità del luogo: l’intendente politico di Como, che corrispondeva all’incirca al prefetto di oggi; il vescovo della città; il prefetto e la congregazione municipale, oggi diremmo il sindaco e la giunta comunale. Per risolvere il problema furono avanzate tre proposte, che Beccaria sottopose al governo austriaco migliorandole in alcuni punti. Vorrei qui accennarti le due che mi sembrano più importanti.

La prima riteneva opportuno procurare un lavoro “di badile” a quei disoccupati che erano stati mediocri lavoratori. Si trattava di giovani che, soffrendo la fame, erano disposti a tutto. Si pensò quindi di impiegarli in opere di bonifica. Gli abitanti di Borgo Vico (oggi Como) – un paese situato nella parte nord occidentale del lago – vivevano in un ambiente insalubre; il terreno Pasqué, reso paludoso dai periodici inondamenti del lago e dalle esondazioni del torrente Cosia, provocava l’insorgere di febbri malariche che colpivano periodicamente gli abitanti del paese; un istituto religioso, il Luogo Pio dei Catecumeni, pagava 10.000 lire all’Ospedale Maggiore perché i malati fossero trasportati e curati a Milano. La proposta consisteva nell’abbassare la foce del Cosia: gli operai avrebbero trasportato la ghiaia dal torrente al prato affinché cessassero le inondazioni che lo rendevano paludoso. Per il finanziamento dei lavori si sarebbe fatto ricorso al fondo di 10.000 lire destinato originariamente all’Ospedale Maggiore. Beccaria approvava questa proposta perché riteneva che la bonifica del territorio avrebbe finito per ridurre il numero dei malati da portare all’ospedale. Lo Stato, cui spettava l’amministrazione del Luogo Pio in seguito alla riforma del 1784, avrebbe quindi risparmiato risorse nel lungo periodo.

La seconda proposta era tesa invece a procurare un impiego agli ex lavoratori della seta che avevano mostrato una certa abilità. Si trattava soprattutto delle donne. Si proponeva di insegnar loro l’arte del linificio attivando scuole provvisorie in alcuni ex conventi. Il comune di Como chiese allo Stato un prestito di 16.000 lire che avrebbe rimborsato in due anni: in tal modo sarebbe stato in grado di istituire le scuole, pagare gli insegnanti, procurare il fuoco e il lino per il lavoro. Beccaria apportò alcuni miglioramenti a questa proposta: convinse il governo ad elevare il prestito portandolo a 20.000 lire da rimborsare in tre anni anziché due.

Cosa ci insegna questa storia? Nel caso degli operai impiegati nelle opere di bonifica possiamo ricavare due lezioni: a) che le opere pubbliche utili alla collettività sono un mezzo valido per risolvere la disoccupazione in circostanze eccezionali. Keynes lo dimostrò nel saggio The Means of Prosperity pubblicato nel 1933; b) che anziché alzare le tasse o ridurre i servizi, lo Stato dovrebbe impiegare meglio il denaro pubblico per finanziare interventi davvero utili alla collettività.

Le scuole provvisorie per apprendere l’arte del linificio possono essere considerate le antenate dei corsi di formazione per disoccupati organizzati al giorno d’oggi.