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L’idea (ottima) della Convenzione rivela gli irriducibili oppositori alle riforme

L’opposizione di Stefano Rodotà alla Convenzione per le riforme costituzionali, resa pubblica in un’intervista al Fatto quotidiano , è stata preceduta dalla presa di posizione dei Comitati Dossetti per la Costituzione  i quali, in un appello rivolto al governo, hanno invitato il presidente del consiglio Letta – e implicitamente la maggioranza Pd-Pdl-Scelta civica che sostiene il governo – ad affossare qualsiasi progetto di riforma complessiva dell’ordinamento. Questi giuristi, concordi con il professor Onida, ritengono che l’unica via di riforma delle istituzioni debba passare attraverso la procedura indicata dall’articolo 138  “senza l’osservanza del quale l’intera Costituzione sarebbe delegittimata”.

Tali posizioni mostrano quanto sia ancora forte in questo Paese il fronte di chi considera la Carta del ’48 un feticcio da venerare quasi fosse una Bibbia civile, un testo intoccabile. Rodotà, al quale era stato proposto di presiedere la Convenzione, ha rigettato tale invito mostrandosi recisamente contrario a qualsiasi ipotesi di riforma. Non capisco come i grillini abbiano potuto avanzare la candidatura di Rodotà al Quirinale presentandola come un cambiamento per l’Italia. Si sa d’altra parte che le vere dinamiche che sottostanno alla politica si fondano in larga parte su atteggiamenti e decisioni che hanno ben poco di razionale.

L’elezione popolare di una Convenzione per la riforma della Costituzione costituisce una delle soluzioni più coerenti con il principio della sovranità popolare perché il popolo, quando la Convenzione avrà terminato la redazione della nuova Costituzione, sarà chiamato ad approvare con plebiscito la nuova Carta fondamentale. Questa è la procedura che si è sempre seguita in passato nei processi di revisione costituzionale mediante Convenzione.

Nel nostro ordinamento democratico l’elezione popolare di una Convenzione è possibile mediante una legge di riforma costituzionale che, approvata dai due rami del parlamento in forza dell’articolo 138, introduca nella Carta tale procedura. Una soluzione, quella della Convenzione, in fondo assai più democratica e liberale rispetto al vigente articolo 138, il quale autorizza una maggioranza dei due terzi della classe politica in Parlamento a riformare integralmente la Costituzione senza passare per il referendum popolare.

Ovviamente ci sono altre vie per modificare una costituzione e fondare una nuova repubblica. Ad esempio l’Assemblea costituente, la quale – come fecero i nostri ‘padri’ nel 1946-47 – sarebbe chiamata a riformare l’ordinamento costituzionale esercitando al contempo la funzione legislativa ordinaria.

Credo però che la Convenzione sia la via maestra per gestire il cambiamento salvaguardando non solo la legalità ma ancor più la piena legittimazione democratica delle riforme costituzionali.

Io non so richiamare a tal proposito esempio più prezioso dell’articolo 33 del progetto di costituzione girondino del 15-16 febbraio 1793. Redatto da Condorcet che lo presentò alla convenzione francese, esso recitava:

“Un popolo ha sempre il diritto di rivedere, di riformare e di cambiare la sua costituzione. Una generazione non ha il diritto di assoggettare le generazioni future alle sue leggi e ogni eredità nelle funzioni è assurda e tirannica”.

Tale articolo, che introduceva anche il principio del continuo ricambio della classe politica, dovrebbe costituire uno punto basilare di ogni ordinamento costituzionale poggiante su basi liberali e democratiche.

Non resta che augurarci che i politici seguano tale esempio. In caso contrario, se hanno intenzione di formare una commissione parlamentare aperta ai tecnici come sembrerebbe in base a recenti dichiarazioni rilasciate da politici di area Pdl, evitino di mascherare tale soluzione definendola subdolamente con il termine “convenzione”. Una commissione parlamentare per le riforme costituzionali sarebbe una moderna riedizione della bicamerali di infausta memoria. Infausta perché sappiamo il risultato fallimentare che hanno prodotto.