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Milano: vetrina del “Made in Italy”

Expo 2015Nei prossimi mesi a Milano accorreranno tanti stranieri per visitare Expo 2015, la grande Esposizione internazionale dedicata al tema dell’alimentazione. Quali saranno le loro mete? In quali ristoranti andranno? Quali locali attireranno la loro curiosità? Soprattutto: quale impressione avranno dei milanesi e più in generale degli italiani con cui entreranno in contatto negli alberghi, nei negozi, nelle piazze, nei ristoranti della nostra città? Non sono domande scontate perché dal modo con cui i milanesi sapranno accogliere i visitatori dipenderà il successo dell’iniziativa.

In fondo la partita di Milano con Expo non si gioca sul terreno della cultura, della storia o del paesaggio. Milano offre molto in questo campo, a partire dal Duomo. Eppure, pensateci bene: non è questo il suo punto di forza. Ci sono tante città italiane che hanno molto di più. Pensate a Firenze, a Roma, a Venezia, a Napoli, a Palermo: vogliamo forse paragonare il Colosseo, i Musei Vaticani o piazza di Spagna alle Colonne di San Lorenzo, alla Pinacoteca di Brera o all’Arco della Pace? E gli Uffizi sono forse avvicinabili alle Gallerie d’Italia, la prestigiosa collezione di dipinti resa accessibile al pubblico da Intesa San Paolo in tre palazzi storici milanesi? I navigli possono forse reggere il confronto con i canali di Venezia? Un tempo sì, quando Milano con il suo naviglio in centro era il luogo di confluenza tra le acque dell’Adda e quelle del Ticino portate dal naviglio martesana e dal naviglio grande. Oggi non più.

Ue Gabriele!! Come puoi svilire in questo modo la tua città?

Non sto svilendo Milano. Noi milanesi possiamo batterci ancora per rendere la città più attraente sotto il profilo paesaggistico. I progetti non mancano. Al momento la situazione è però quella che ho accennato sopra. Che fare allora? Dove stanno i punti di forza di Milano?

Vinceremo la partita se saremo capaci di attirare il pubblico su un binario diverso rispetto a quello storico culturale. Il binario dell’arte e della cultura è importante ma non può essere l’unico. Il segreto del successo risiede anche nell’innovazione, nella capacità di progettare il futuro con creatività. Questo discorso – come accennavo sopra – vale per l’Italia nel suo complesso. In altre parole: il binario dell’identità storica potrà avere un senso solo se sapremo “appaiarlo” al binario dell’innovazione.

Armani Hotel di Milano
Armani Hotel in via Manzoni 31 da www.artribune.com

Il punto di forza di Milano risiede precisamente in questo: nella sua capacità di innovare, di aprirsi al mondo. E’ la città in cui l’atmosfera internazionale è per così dire vivificata dalle concrete esigenze del lavoro. Qui operano i maggiori marchi della moda. Qui il design trova il suo habitat naturale: il salone del mobile, che si tiene in primavera, attira ogni anno migliaia di visitatori che chiedono di essere aggiornati sulle novità più importanti nel campo dell’arredamento.

Milano, diversamente da Firenze, Roma, Venezia, deve guadagnarsi i turisti con il sudore della fronte. Non può affidarsi soltanto alla rendita del patrimonio artistico e culturale. Certo, la città ha monumenti e musei ma sono pochi e non all’altezza di una città d’arte. Perché venire a Milano allora? Perché qui l’ingegno degli italiani si esprime al massimo grado: tanti giovani aprono locali, inventano nuovi spazi, tentano con coraggio la strada del successo nei campi più svariati.

Nelle vie di Milano i turisti scoprono locali che presentano al massimo grado l’arte italiana in cucina. Michelangelo diceva: “La scultura la si ha nella mente prima che nelle mani”. La cucina italiana presenta una filosofia simile. E’ creativa perché sono i cuochi italiani a renderla tale. E’ varia: la cucina piemontese, lombarda, emiliana, romagnola, veneta, toscana, romana, napoletana, siciliana, sarda hanno ciascuna una nota inconfondibile. Ognuna ha i suoi piatti, i suoi vini particolari. A Milano hanno sede tanti locali e ristoranti gestiti da imprenditori del gusto che non sono milanesi ma trovano qui il luogo ideale per farsi conoscere. Molti hanno successo perché offrono una cucina di qualità che mostra un filo diretto con il territorio da cui provengono.

I piatti italiani sono davvero la sintesi del Made in Italy perché vengono preparati con creativa semplicità. Gli stranieri, in particolar modo gli anglosassoni, hanno sempre apprezzato il largo spazio che nella cucina del Belpaese è riservato agli erbaggi. Non è per caso se nel vocabolario americano e inglese sono tuttora citati i nomi originari di “broccoli” o “zucchini”.

Con Expo Milano sarà la vetrina del Made in Italy. E’ l’Italia come dovrebbe essere: aperta al progresso senza perdere la sua identità. Immaginazione e Tradizione: questi i binari che renderanno ancora possibile il successo del Made in Italy nella cucina, nella moda, nel design.

Cattaneo e la guida di Milano che non vide mai la luce

Carlo Cattaneo scrisse le celebri Notizie naturali e civili su la Lombardiain occasione del sesto congresso degli scienziati italiani che si tenne a Milano nel settembre 1844. Questo evento coinvolse – com’è noto – larga parte della società lombarda. Parallelamente all’attività di Cattaneo varrà la pena ricordare che furono compilati – a cura dello storico risorgimentale Cesare Cantù – i due volumi intitolati Milano e il suo territorio: vi furono pubblicati testi afferenti alla storia, alla religiosità, alla statistica, all’istruzione, alla sanità, alla vita sociale di Milano ad  opera di eminenti personalità quali il prefetto della Biblioteca Ambrosiana, l’abate Bartolomeo Catena, Giuseppe Sacchi, il nobile Pompeo Litta (noto per le ricerche erudite che andava effettuando sulle famiglie nobili italiane), Giovanni Labus, il professor Achille Mauri e lo stesso Cantù.
Tra le carte mai pubblicate che Carlo Catttaneo scrisse per quell’evento ve ne sono alcune di notevole interesse. Il contenuto di questi documenti, rielaborato ed organicamente ultimato, avrebbe costituito con ogni probabilità una Guida di Milano per i visitatori che fossero giunti in città in occasione del congresso.
In questi manoscritti, che si trovano nell’archivio Cattaneo conservato presso le Civiche Raccolte Storiche del Museo del Risorgimento, la città era presa in esame da un punto di vista geo-economico e storico artistico. 

Particolarmente interessanti le considerazioni introduttive, ove largo spazio era riservato alla descrizione geografica.

Il territorio su cui sorge Milano è un vasto rettangolo il cui lato settentrionale vien formato dalla catena dell’Alpi Leponzie e Retiche; l’occidentale dal Lago Maggiore e quindi dal Ticino; l’orientale dal Lago Lario (Como) e quindi dall’Adda, il meridionale dal Po. Questo territorio dirupato e orrido sotto l’Alpi, viene lentamente ad ingentilirsi in men erte montagne, poi in colline amenissime, quindi in pianure asciutte e vinifere, e finalmente in campi quasi immersi nell’acque che li fecondano.

A gradi 26,51 di longitudine 45,27,51 di latitudine, laddove il piano comincia a farsi umido ed irrigato, s’innalza Milano. Talché uscendo dalle porte rivolte a Mezzodì si ritrova tosto un meraviglioso intreccio di canali irrigatorj; mentre da settentrione a stento si trova un prato o un canale.

Seguivano importanti considerazioni sui canali navigabili che solcavano la città:

Lontana da ogni fiume navigabile Milano sarebbe male atta al commercio, qualora l’industria (operosità) degli abitatori non avesse condotto fino in città due canali navigabili l’uno tratto dall’Adda (il Naviglio Martesana), l’altro dal Ticino (il Naviglio Grande). Parte delle acque in tal modo raccolte va ad irrigare i terreni; parte forma un terzo canale che congiunge Milano con Pavia (il Naviglio Pavese) e apre, mercé del Po, una via all’Adriatico.

Il terreno è per natura e per arte (lavoro) fertilissimo. L’aria bastevolmente pura; se non che presso la città si risente della soverchia umidità della adjcenti campagne.

In margine Cattaneo formulava un giudizio significativo sulla mentalità pratica, sull’indole essenzialmente lavorativa dei milanesi, nati più per operare nella società che per ‘disquisire dei massimi sistemi’. Si riportano tali considerazioni, ove risultava evidente che la cultura milanese, per lo meno negli ultimi due secoli, era andata legandosi strettamente ai bisogni della società. Il castello inaccessibile di una “insetata verbosità” fine a se stessa, diffuso in molte città italiane, non apparteneva a Milano.
In confronto alle altre città d’Italia Milano ha minor numero di cruscanti, di puristi, di periodisti, di parolaj d’ogni razza e d’ogni partito. Qui le persone studiose si ingegnano di essere contemporanee del loro secolo e non s’affannano di ritardare, per quanto è lor possibile, i progressi dell’intellettuale perfezionamento ne’ loro concittadini distraendoli dallo studio delle cose a quello di una insetata verbosità.
Notevoli le notizie topografiche su Milano, che Cattaneo descriveva richiamandosi all’immagine dei due anelli che cingevano la città: il primo era costituito dal Naviglio Interno, che venne scavato dai milanesi al di fuori delle antiche mura medievali. Questo canale, chiuso tra gli anni Ottanta dell’Ottocento e il 1929/30, collegava il Naviglio Martesana (che scendeva da nord est) con i navigli grande e pavese (che percorrevano la bassa pianura in direzione sud-sud ovest). 

Il secondo anello era invece formato dai bastioni spagnoli, i cui frammenti sono in parte tuttora visibili. Seguiva la descrizione delle Porte milanesi, alcune delle quali esistono ancora oggi. Ma lasciamo la parola a Cattaneo:

I bastioni esternamente e internamente il naviglio formano a Milano un doppio recinto quasi circolare. Il naviglio è una fossa scavata appiè delle antiche mura in occasione dell’assedio del Barbarossa ridotta ora a canal navigabile in cui immettonsi le acque de’ due navigli d’Adda e di Ticino. E nel suo giro comprende la città propriamente detta. I bastioni che si estendono più vastamente…furon fabbricati nel 1549 sotto Carlo V per ordine del governatore Ferrante Gonzaga, giusta l’architettura militare di quei tempi. Fra essi e il naviglio si comprendono i propriamente detti “borghi”. Al di fuori rasente i bastioni si aggira la testé compiuta strada di circonvallazione che offre molte miglia di ombroso passeggio. I bastioni vengono interrotti da undici porte. La Porta Tosa volta a oriente; alquanto verso Nord l’attigua Porta Orientale; e così via: a Nord Est la Nuova; a Nord la Comasina (Porta Garibaldi); a Nord Ovest la Tenaglia e il Portello (oggi Parco Sempione, dietro il Castello Sforzesco); ad Ovest la Vercellina; a Sud Ovest la Ticinese; a Sud la Lodovica e la Vigentina, a Sud Est la Romana.

L’Orientale, la Nuova, la Comasina, la Vercellina, la Ticinese, la Romana sono le principali. Anticamente davano il nome ai quartieri della città e scompartimento alle truppe civiche.
Nel centro di essa, ma alquanto verso oriente, sorge il Duomo; da cui quasi come raggi si dipartono i corsi che guidano a ciascuna Porta, tortuosi ed angusti nell’interno della città, ma spaziosi e diritti quanto più se ne dilungano. Essi prendono il nome dalle rispettive porte.

Belle milanesi e truci impiccagioni nel diario di un celebre turista tedesco

Johann Kaspar Goethe (1710-1782), giurista, uomo di lettere, appassionato bibliofilo e collezionista di opere d’arte, è ricordato per essere il padre del famoso poeta Johann Wolfgang. Anticipando il figlio di quarant’anni, anche Johann Kaspar visitò l’Italia. Fece un breve soggiorno a Milano ai primi di agosto del 1740. Gli appunti riguardanti i suoi viaggi vennero pubblicati in Italia con il titolo Viaggio in Italia nel 1932. Si tratta di un’opera pressoché introvabile nelle librerie. Andrebbe ristampata, non foss’altro che per le preziose riflessioni sui costumi e sugli stili di vita delle popolazioni negli Stati italiani preunitari.

Lo scrittore tedesco forniva un ritratto significativo su Milano. Nelle pagine dedicate alla città del Duomo, in un italiano un po’ rude come poteva essere quello appreso da un tedesco dei primi decenni del Settecento, Johann Kaspar descriveva le principali chiese cittadine quali Sant’Ambrogio, Sant’Eustorgio, San Lorenzo. Del Duomo riconosceva la mole grandiosa anche se a quel tempo la facciata era incompiuta. In realtà, le sue riflessioni meritano di essere commentate e riportate per almeno due ragioni. Anzitutto perché forniva alcune interessanti descrizioni sullo stato della città. Ad esempio rilevava stupito come nei palazzi ci fossero “finestre di carta” mettendo in evidenza come tale realtà fosse del tutto inadeguata per una città importante come Milano, che era a quei tempi – non va dimenticato – capitale di uno Stato nel Nord Italia particolarmente importante sia da un punto di vista economico che geopolitico. Varrà la pena ricordare che l’uso dei vetri nelle abitazioni domestiche si imporrà molto lentamente in età moderna, affermandosi su scala generale solo nel corso del XIX secolo. Johann Kaspar ricordava inoltre come fosse diffusa la convinzione che le donne milanesi fossero particolarmente belle. A suo giudizio il grado di libertà di cui disponeva il gentil sesso sotto la Madonnina era assai maggiore rispetto a quanto avveniva in altri Stati italiani come il Regno di Napoli o la Repubblica di Venezia. Unico difetto delle milanesi risiedeva nella parlata: la pronuncia, l’inflessione della lingua meneghina “è peccato che non sia uguale allo spirito di cui sono dotate”.

Scriveva il padre di Goethe nei suoi appunti di viaggio:

 “E’ vero che le sue strade [di Milano, Ndr] sono storte e strette e le case, come anche i palazzi provveduti di finestre di carta, il che fa un cattivo aspetto in una gran città, la cui grandezza va fino a dieci miglia italiane di circuito; oltre che è popolatissima, contenendo più di 30.000 anime (in realtà la popolazione doveva attestarsi in quegli anni sulle 80-100.000 persone), tra le quali il sesso donnesco circa l’esteriore vien stimato il più bello di tutte le altre, poiché, giusta il calcolo d’uno molto intendente in questa materia e buon aritmetico, vi debbono essere cinque belle contro una brutta, calcolo ch’io né voglio né posso sottoscrivere. Gli abitanti in genere, per le differenti viste degli Spagnoli, Francesi e Tedeschi, hanno acquistato differenti maniere di vivere. Non v’è in uso quella soggezione delle donne, e non sono così rigorosamente osservate ed accompagnate dai cicisbei, e le ragazze restano nelle case paterne, sinché siano maritate, senza rinchiuderle tra le mura d’un oscuro chiostro, come fanno principalmente i gelosi Veneziani o Napoletani. Insomma, donne e zitelle godono gran libertà, ed è peccato che la loro pronunzia non sia uguale allo spirito con cui sono dotate”.

 La seconda ragione per la quale gli appunti di Johann Kaspar meritano di essere ricordati verte a mio parere su alcune descrizioni di vita quotidiana milanese che oggi stenteremmo a credere proprie di questa terra. A cogliere l’attenzione del nostro visitatore erano le truci esecuzioni capitali. Comminate dai tribunali dello Stato potevano essere confermate in ultima istanza dal Senato, la suprema istituzione giuridico amministrativa del ducato composta, come ricordava Johann Kaspar: “di un presidente e venti dottori nobili, tutti indipendenti dal governo generale”.

Tali sentenze, decise dai giudici d’ancien régime, da un lato si uniformavano alla comunis opinio, dall’altro potevano dipendere dal potere equitativo del giudice. Esse si informavano in particolar modo alle consuetudini secolari vigenti nello Stato, consuetudini che affondavano le loro radici nelle antiche normative locali: le Novae Constitutiones del 1541, gli Statuti del Comune, il diritto romano. L’impiccagione di due delinquenti viene descritta all’interno di una lugubre cerimonia i cui effetti teatrali dovevano colpire nel profondo la folla. Lo scrittore tedesco ricordava la confraternita della carità in San Giovanni alle Case Rotte (la chiesa si trovava nella via omonima, a pochi metri di distanza da palazzo Marino), una corporazione composta in larga parte di nobili la cui funzione consisteva nell’accompagnare i condannati sul patibolo fornendo un supporto religioso e provvedendo, al termine dell’esecuzione, alla loro sepoltura nel cimitero della chiesa.

Scriveva Johann Kaspar:

“Vidi ieri impiccare due birbi. Vi furono osservate tante solennità e circostanze che altrove non si usano. La confraternita della carità, che consiste di nobili ed altri cittadini, si radunava innanzi la prigione coll’abito del loro ordine che copre tutto il corpo, eccetto gli occhi, avendo in una mano una candela accesa, nell’altra una corona di stupenda grandezza. Messi in ordine, camminano a paio a paio, col crocifisso nel fronte, ed i loro servitori a canto [sic!], poi segue il delinquente, condotto tra un padre francescano ed uno della confraternita, che porge la mano al condannato vacillante, per pura carità; dietro di questo viene il boia”. “In tal guisa, con urli, canzoni e preghiere s’avvicinano verso la forca, per questa volta dirizzata in piazza del Duomo [normalmente le impiccaggioni avvenivano in piazza Vetra, NdR]. Quando i malefici furono giunti, si confessarono, e poi in su la scala tirati; dall’altra parte ascende uno de’ confrati [confratelli], a cui tocca, mostrando a quell’infelice il crocifisso, sino che il boia lo getta abbasso, tenendo due corde lunghe; l’una lo soffoca l’altra [sarebbe usata] se quella si rompesse; sospeso così in aria, il boia gli salta sul collo in cui resta, ballando sinché quell’infelice è morto, poi l’abbandona. Indi uno della confraternita monta in su battendo [tagliando] le corde, intanto che gli altri in terra l’aiutano, i quali insieme mettono il corpo levato dalla forca in una cassa, portandolo al cimitero della chiesa di San Giovanni delle Case Rotte; ed ivi vien seppellito. In quanto alle corde, servite a questo uso, vengono abbruciate, per non essere impiegate a qualche stragaria [sic!]. Non ho lasciato in questa relazione pur la minima circostanza, per essere molto differente dal nostro paese”. Evidentemente le esecuzioni a Francoforte avevano una dinamica assai più semplice e spedita.

Il turista tedesco concludeva le sue notazioni con un curioso appunto sulle persone che frequentavano piazza del Duomo. Qui si soffermava sui cicisbei – gentiluomini addetti all’accompagnamento delle dame – nonché  sulla moda curiosa dei preti e dei padri di famiglia. A tal proposito, annotava stupito come fossero soliti portare in pubblico gli occhiali sul naso, usanza che in Germania era inconcepibile. A Milano invece questi uomini potevano farlo perché: “la moda li libera dalle risa”. Varrà la pena ricordare che la piazza del Duomo, nella Milano del Settecento, aveva un’estensione assai più ristretta dell’attuale. Ma diamo la parola, per l’ultima volta, al nostro turista:

“Detta piazza del Duomo serve regolarmente per passeggio in carrozza ed a piedi, ove vidi i cicisbei ed altri di questa razza far il loro mestiere. Ma più mi meravigliai quando vidi gli abati e padri coll’occhiale sul naso. Si figuri un nostro Pantalone passeggiar per le strade in tal guisa armato, cosa direbbero i nostri cittadini. E poi qui la moda li libera dalle risa!”.

L’indole dei Milanesi secondo Carlo Cattaneo

Carlo Cattaneo fu autore di un’interessante guida di Milano rimasta purtroppo incompiuta. Mentre leggevo la sua opera, scritta nella prima metà dell’Ottocento, mi son imbattuto in una descrizione dei milanesi che sembra esser fatta da un contemporaneo. Un ritratto straordinariamente moderno se consideriamo che venne scritto nella prima metà dell’Ottocento, nella piccola Milano austriaca popolata da soli 125.000 abitanti: 

“In confronto alle altre città d’Italia, Milano ha minor numero di cruscanti, di puristi, di periodisti, di parolaj d’ogni razza e d’ogni partito. Qui le persone studiose si ingegnano di essere contemporanei del loro secolo e non s’affannano di ritardare, per quanto è lor possibile, i progressi dell’intellettuale perfezionamento ne’ loro concittadini distraendoli dallo studio delle cose a quello di una insetata verbosità”. Appunti per una guida di Milano: un manoscritto inedito di Carlo Cattaneo in «Il Risorgimento», anno XLI (ottobre 1989), fasc. n.3, pp.226-227.