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Dalle carte d’archivio aspetti poco conosciuti sulla vita di Leonardo

Allestita nel palazzo dell’antico Collegio Elvetico di via Senato una notevole esposizione di documenti sul genio toscano.

Cessata la paura per il Coronavirus che ha suscitato nella collettività reazioni di panico e paure ingiustificate, oggi si può dire che Milano abbia ripreso a respirare e con ogni probabilità nei prossimi giorni verranno riaperti musei e istituti culturali. Merita in proposito di essere visitata un’interessante mostra su Leonardo Da Vinci allestita nel palazzo ove ha sede l’Archivio di Stato di Milano in via Senato 10.

Inaugurata il 16 gennaio scorso e aperta fino al 28 marzo, l’esposizione non si segnala soltanto per il ricco materiale documentario. A suscitare curiosità è anche il percorso multimediale allestito nella mostra che, rivolto a un pubblico non specialistico, conduce quasi per mano il visitatore alla scoperta della vita di Leonardo e del mondo in cui visse. Due video ripercorrono le varie tappe della sua esistenza nell’Europa rinascimentale.

Leonardo Da Vinci, La Vergine delle Rocce. Parigi, Museo del Louvre.

Tra i documenti esposti nella mostra è opportuno ricordare il contratto che Leonardo, giunto da un anno a Milano, firmò nel 1483 con la confraternita dell’Immacolata Concezione per la realizzazione di un dipinto da collocare nella chiesa di San Francesco. Questa basilica oggi non esiste più: venne demolita negli anni del dominio napoleonico, quando il governo del Regno d’Italia costruì in quell’area una caserma destinata ai Veliti, uno dei corpi militari istituito da Napoleone re d’Italia. Si tratta dell’attuale Caserma Garibaldi, a pochi passi dall’Università Cattolica del Sacro Cuore. Però all’epoca di Leonardo la chiesa di San Francesco non solo esisteva, ma era una delle più importanti nel panorama cittadino. Essa era aperta al pubblico, gestita dai frati francescani che vivevano nel convento attiguo. Come ricorda Carlo Bianconi, estensore di una interessante guida artistica di Milano pubblicata nel 1795, la basilica fin dal Medioevo era addirittura uno dei templi più grandi della città quanto all’estensione della superficie. Nel contratto, che Leonardo aveva firmato con i membri della confraternita, l’artista era tenuto a realizzare un dipinto avente per oggetto la Vergine Maria e il Bambin Gesù. Le fasi del lavoro furono tuttavia tormentate. La scelta del soggetto su cui venne impostata la narrazione pittorica deluse i committenti: i religiosi pensavano probabilmente che la Madonna dovesse essere dipinta nel rispetto della tradizione e non si aspettavano che Leonardo – agendo per così dire “di testa propria” e ultimando il lavoro dopo molto tempo – realizzasse un’opera sui generis come la Vergine delle rocce , un capolavoro dell’arte pittorica. Nella mostra è esposto il contratto originale del 1483 che si è sopra ricordato: Leonardo lo firmò scrivendo il proprio nome in minuscolo, un errore che i grafologi hanno fatto risalire al disagio con cui visse la sua condizione di figlio illegittimo.

Donato di Montorfano, La Crocifissione, con interventi di Leonardo nel ritratto della famiglia Sforza. Parete Sud del Refettorio di Santa Maria delle Grazie, Milano.

Il resto dei documenti che sono esposti al pubblico copre un periodo storico esteso a tutta l’Età Moderna (secoli XVI-XIX). Riguardano in larga parte le fasi di realizzazione del celebre Cenacolo in Santa Maria delle Grazie. Una delle carte più importanti è il reclamo del duca Ludovico il Moro rivolto a Leonardo: questi era sollecitato a portare a termine il suo capolavoro nella parete nord del refettorio dei domenicani. Tale insistenza era dovuta all’urgenza di vedere ultimata la pittura anche nella parete sud, ove Donato di Montorfano andava dipingendo la celebre Crocifissione. Il duca di Milano voleva che Leonardo ritraesse, in questa parete, i membri della sua famiglia sempre con la tecnica, già adoperata per il Cenacolo, della pittura a secco. Oltre alla sua stessa persona, dovevano essere ritratte la moglie Beatrice D’Este e i figli: un reclamo che non sortì però i suoi effetti se pensiamo che noi oggi possiamo vedere queste figure solo abbozzate nella parete sud. Come si può facilmente immaginare, il documento del Moro riveste un’importanza straordinaria per gli storici: aprendo un filone di ricerche oggi pressoché inesplorato, esso consente di verificare se le figure della famiglia Sforza tratteggiate ai piedi della Crocifissione siano effettivamente attribuibili alla mano di Leonardo.

L’annale 2019 dell’ “Archivio Storico Lombardo” pubblicato dalla casa editrice Scalpendi.

In riferimento alle celebrazioni per il cinquecentenario dalla morte di Leonardo, occorre ricordare due saggi importanti sull’argomento contenuti nell’ultimo numero dell’Archivio Storico Lombardo (2019), l’annale pubblicato dalla Società Storica Lombarda che approfondisce con studi rigorosi temi afferenti alla storia del territorio lombardo in età medievale e moderna. Il primo contributo, dello storico dell’arte Edoardo Rossetti, Un diluvio di appunti: l'”Archivio Storico Lombardo” e qualche nota inedita su personaggi vinciani (Evangelista da Brescia e Pietro Monte) (pp.221-248), si segnala per la novità riguardante una più precisa individuazione del luogo in cui si trovava la celebre vigna che Ludovico il Moro donò a Leonardo da Vinci. Muovendo dallo studio di un documento relativo all’acquisto di un terreno, Rossetti è riuscito a localizzare con precisione il luogo della vigna, che si trovava nel sestiere di Porta Vercellina. Essa confinava da un lato con l’antico naviglio che scorreva nell’attuale via Carducci, dagli altri lati con le proprietà dei gesuati di San Gerolamo e di altri privati. Si trattava di una posizione di assoluto rilievo nella Milano rinascimentale, a poca distanza dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie, dall’attiguo convento dei domenicani e dal quartiere che il Moro aveva voluto formare tra le attuali vie Zenale, San Vittore e Corso Magenta affinché potessero abitarvi i membri più fedeli del suo governo.

Il secondo saggio dello studioso Cesare S. Maffioli, Alle origini del mito di Leonardo Da Vinci ingegnere dei navigli di Milano (pp.249-270), ricostruisce le origini cinque-seicentesche di una vecchia tesi secondo la quale il genio toscano sarebbe stato l’inventore del naviglio Martesana e delle chiuse. Si tratta, come si può facilmente constatare, di un errore storico perché il sistema delle conche per gestire i dislivelli e i salti d’acqua esisteva da tempo nel ducato di Milano; inoltre varrà la pena ricordare che il Naviglio Martesana venne costruito sotto il ducato di Francesco Sforza (1450-1466), molto tempo prima quindi dell’arrivo di Leonardo in città. L’autore del Cenacolo contribuì invece a perfezionare il sistema dei navigli, lavorando alla conca di San Marco che consentiva di collegare la Martesana con la Fossa Interna del centro cittadino, resa in quell’occasione navigabile e collegata al Naviglio Grande presso la pre-esistente Conca di Viarenna (oggi via Conca del Naviglio).

A Leonardo si dovette inoltre, negli anni del dominio francese seguiti alla cacciata del Moro, l’idea di elaborare un progetto per la navigazione dell’Adda dal Lago di Como fino all’incile del Naviglio Martesana presso Trezzo, il che avrebbe consentito di navigare da Lecco fino a Milano mediante il trasporto di merci e persone. Un’idea per nulla fuori luogo all’epoca, se pensiamo che un risultato analogo era stato conseguito dai milanesi fin dal XIII secolo mediante la realizzazione del Naviglio Grande, che collegava il Lago Maggiore con la Darsena cittadina: in quell’occasione tuttavia le opere non si erano rivelate particolarmente difficili, non trovandosi in quei luoghi un dislivello imponente tra la parte pedemontana e la pianura. Cosa diversa era invece la zona a nord-est di Milano, ove l’Adda scorreva in un letto accidentato e scosceso. Molti anni dopo l’idea leonardesca venne ripresa dall’ingegnere Giuseppe Meda, che nel 1590 ottenne l’approvazione delle autorità spagnole al suo progetto di naviglio. Le operazioni, quantunque iniziate con i migliori auspici, vennero tuttavia interrotte a seguito di alcune calamità naturali (inondazioni ripetute dell’Adda), ma soprattutto per gli scontri ripetuti che avevano opposto il Meda ai colleghi che lo affiancavano nell’esecuzione dell’opera. Inoltre la sua morte (1599) finì con il bloccare definitivamente i lavori che pure erano stati iniziati lungo il corso dell’Adda. Com’è noto, il Naviglio immaginato da Leonardo venne costruito solo nella seconda metà del Settecento: il canale – il Naviglio di Paderno – fu ultimato nel 1777 sotto il regno di Maria Teresa d’Asburgo negli anni del dominio austriaco della Lombardia.