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Banca d’Italia: Lombardia in (lenta) ripresa nel 2015

Quando si afferma che la crisi ha segnato profondamente l’economia italiana, che non siamo ancora usciti dal tunnel, che la ripresa è minima, bisogna riconoscere che ci si muove spesso su percezioni della realtà settoriali, su impressioni che spesso ricaviamo dalle nostre relazioni o dalla conoscenza di alcuni eventi specifici di cui siamo venuti a conoscenza: l’azienda che chiude o licenzia, i giovani laureati che vanno all’estero, il flebile aumento del Pil previsto per quest’anno.

Qual è la situazione effettiva? Il Paese è in ripresa oppure è vero quello che si dice da più parti, ossia che arranchiamo ancora nella crisi? Uno sguardo sull’economia della Lombardia, conosciuta come la locomotiva del Paese, può forse aiutarci a capire di più.  Uno studio di Banca d’Italia apparso nel bollettino n.3/giugno 2016 dedicato alle analisi regionali fornisce un quadro definito su quanto avvenuto nell’anno passato.

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A sinistra, il palazzo della Banca d’Italia a Milano in via Cordusio 5 in una vecchia cartolina

I dati disponibili, relativi al 2015, confermano una ripresa per l’economia lombarda, il cui Pil è cresciuto dell’1,1%. Rispetto al dato nazionale, che è dello 0,8%, si tratta però di un aumento tenue.

Le aziende manifatturiere hanno registrato una crescita di fatturato che si è consolidata rispetto all’anno precedente. Su un campione di quasi 360 imprese industriali con almeno 20 addetti, il fatturato a prezzi costanti è aumentato del 3,3% rispetto al 2014, quando si era attestato a +0,7%. La produzione industriale è cresciuta nel 2015 dell’1,5% confermando il dato dell’anno precedente. Si tratta di un risultato positivo ma ancora insufficiente per recuperare il livello pre-crisi: basti ricordare a tal proposito che l’indice della produzione industriale è ancora sotto di 9 punti percentuali rispetto al picco del terzo trimestre 2007. Insomma, c’è ancora molta strada da fare per tornare ad essere competitivi.

I comparti che hanno registrato i migliori incrementi di fatturato nel 2015 hanno interessato le imprese del settore della gomma, dei mezzi di trasporto e della meccanica. In Lombardia – come nel resto del Paese – la crisi ha operato tuttavia una selezione feroce. Le aziende in difficoltà sono quelle che operano nei comparti tradizionali, che non sono riuscite ad innovare a sufficienza: operano nei settori dell’abbigliamento e del tessile, nel comparto dei minerali non metalliferi, ove è impiegata metà della forza lavoro totale nella manifattura.

Le imprese che son riuscite a resistere e ad espandersi guadagnando nuovi mercati sono invece quelle che hanno saputo investire in ricerca e sviluppo, aggiornando soprattutto i sistemi informatici e quelli di automazione. Molte di queste aziende usa sistemi quali internet mobile e Cloud, spesso introdotti da più di due anni. Le imprese che hanno mostrato maggiore vitalità sono quelle specializzate nel settore high-tech, situate in larga parte nella Città metropolitana di Milano e nella provincia di Monza e Brianza: si tratta in molti casi di aziende attive nel campo dei medicinali e della farmaceutica che danno lavoro a 20.000 persone. Si è stimato che per queste aziende il fatturato è cresciuto del 24,2% tra il 2007 e il 2014, registrando le migliori performance nel settore manifatturiero. Le vendite all’estero sono cresciute qui del 19,3% tra il 2013 e il 2014.

Incrementi positivi nel fatturato – ma ancora deboli – si sono registrati invece, secondo Banca d’Italia, nei settori industriali caratterizzati da una produzione a tecnologia medio bassa: ad esempio le aziende attive nella lavorazione dei metalli, dei prodotti chimici e della plastica. Il fatturato del 2014 è in questo caso lievemente superiore rispetto a quello del 2007 .

Dallo studio di Banca d’Italia emergono inoltre due dati importanti. Il primo si lega al mercato immobiliare, che nel 2015 è tornato ad espandersi dopo anni di contrazione. Il numero delle compravendite è aumentato del 9% ma resta ancora lontano dai livelli pre-crisi del 2006.

Expo 2015Il secondo dato verte sul terziario, che nell’anno preso in esame ha registrato una netta ripresa, soprattutto grazie ad Expo 2015. L’affluenza dei visitatori  nei sei mesi di apertura è stata pari a 21,5 milioni di persone. Le strutture alberghiere di Milano hanno registrato un aumento di clientela del 17,8% nel 2015, mentre in Lombardia è stato del 9,2%. Banca d’Italia – che cita in proposito l’indagine Travel condotta da Unioncamere Lombardia, CERST e Regione Lombardia – stima che i visitatori italiani hanno speso mediamente 150-200 euro pro-capite, mentre gli stranieri 250-300 euro. Relativamente a questi ultimi, si è stimato che un terzo è giunto in Italia appositamente per Expo, dedicando ad esso quasi quattro giorni di visita; il resto della permanenza in Italia ha premiato le principali città d’arte italiane: Venezia, Firenze, Roma. Expo ha quindi svolto una funzione di traino per la crescita del turismo in Italia. Gli stranieri hanno concentrato le loro spese nella Città metropolitana di Milano per una percentuale attestata sul 69,6%: a dimostrazione che l’Esposizione Universale ha contribuito in misura notevole alla crescita del turismo a Milano nel 2015.

Dal focus di Banca d’Italia emerge inoltre il grande ruolo che Expo 2015 ha avuto nell’economia lombarda: le imprese della regione si sono aggiudicate gli appalti nel 21% dei casi per la costruzione del sito (588 milioni di euro: fonte OpenExpo) e nel 52% per la fornitura di beni e servizi (216,5 milioni).

Nel sito della Esposizione Universale, ben collegato con Milano sul piano dei mezzi di trasporto, si pensa nei prossimi mesi di costruire Human Technopole, un parco tecnologico dotato di sette centri di ricerca attivi nei campi della genomica, della scienza dei dati, dei modelli computazionali, delle valutazioni di impatto sociale, delle nanotecnologie; un parco che potrebbe dare lavoro a più di 1500 addetti. Si tratta di un tema importante per Milano che dovrà essere affrontato dal prossimo sindaco, chiunque vinca le elezioni.

Un ruolo da difendere: Milano “capitale morale”

Il presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone, ha tessuto un elogio di Milano, tornata ad essere “capitale morale”. Ieri, nel ricevere a Palazzo Marino il Sigillo ufficiale della città ambrosiana, un atto con cui il sindaco Pisapia ha voluto esprimere la riconoscenza dei milanesi per l’ottimo lavoro svolto da Cantone nel controllo di legalità degli appalti su Expo, il magistrato napoletano ha riconosciuto che Milano è esempio di buona amministrazione diversamente da Roma, ove in questi anni si sono rivelate assai più difficili le azioni di contrasto alla corruzione. Ha detto Cantone: “Milano si riappropria del ruolo di capitale morale d’Italia in un momento in cui la capitale reale non sta dimostrando di avere gli anticorpi morali di cui ha bisogno e che tutti ci auguriamo recuperi”.

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“Raffaele Cantone 2014” di veDro – L”Italia del futuro – Flickr.com. Con licenza CC BY 2.0 tramite Wikimedia Commons

Quello di Cantone non è soltanto l’apprezzamento per l’operato della giunta Pisapia. E’ qualcosa di più. Il magistrato napoletano ha ricordato che il successo di Expo è stato possibile grazie a una “sinergia tra istituzioni”, una collaborazione fattiva tra prefettura, Comune e Autorità nazionale anticorruzione che ha consentito di contrastare in modo efficace il crimine organizzato e l’infiltrazione delle mafie nelle gare di appalto.

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Letizia Moratti, sindaco di Milano dal 2006 al 2011

Le affermazioni di Cantone si prestano ad alcune riflessioni. Anzitutto è difficile negare che Milano stia attraversando una stagione di splendore. Cantone certifica una realtà che è nei fatti. Expo 2015 ha dato una spinta notevole al decollo della città ambrosiana. Bisogna però riconoscere che il merito è tanto dell’ex sindaco Moratti quanto di Pisapia. La Moratti ebbe un ruolo fondamentale nel fare in modo che Milano  fosse scelta quale sede di Expo 2015. L’ex sindaco non ha mai goduto di particolare simpatia presso i milanesi ma questo è un merito che è giusto riconoscerle. Alla giunta Pisapia va riconosciuto invece di aver collaborato con le altre istituzioni per il buon andamento di Expo, garantendo piena trasparenza nelle questioni che erano di sua competenza.

Pisapia ha però fatto molto di più. Ha consentito a Milano di vivere un secondo Rinascimento. Se la metropoli è tornata ad essere capitale morale, vetrina del Made in Italy, città turistica in grado di stare alla pari con Venezia, Firenze e Roma, questo è anche merito dell’attuale amministrazione. Ho scritto “anche” perché la caratteristica del “modello Milano”, come ha ben notato Cantone, risiede nella sinergia concreta tra istituzioni pubbliche e private per un’amministrazione che sia al servizio dei cittadini. Come recita un antico adagio milanese, specchio del pragmatismo ambrosiano: Milan dis, e Milan fa. “Milano dice e Milano fa”.

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Giuliano Pisapia, sindaco di Milano

Sarebbe quindi fuorviante ridurre l’operato della giunta Pisapia alla salvaguardia della legalità e alla lotta alle mafie. Milano è migliorata per numerosi interventi di riqualificazione urbana che ne hanno mutato il volto e ne stanno tuttora modificando i caratteri. La riapertura della Darsena, tornata ad essere il porto dei milanesi, costituisce il simbolo di un nuovo modo di vivere la città nel suo rapporto con l’acqua. Il potenziamento della rete di mezzi pubblici di superficie, l’apertura della linea 5 della metropolitana, i lavori della M4, la costruzione di nuove piste ciclabili e il sostegno imponente ai mezzi di mobilità dolce (biciclette e auto elettriche) hanno segnato un netto miglioramento nella qualità della vita. Questi sono pochi esempi che aiutano però a spiegare per quale motivo Milano sia divenuta sorprendentemente una méta turistica tra le più ricercate a livello mondiale. Ci auguriamo che la prossima giunta continui questo lavoro, accogliendo progetti innovativi che si pongano in continuità con l’operato dell’attuale amministrazione. Non mancheranno prove impegnative in tal senso: penso al riuso dello spazio di Expo affinché si eviti a tutti i costi che l’area diventi una “cattedrale nel deserto” (sono parole di Cantone).

La seconda riflessione verte sul concetto di “capitale morale”. Da fine Ottocento fino a Tangentopoli, Milano è stata il simbolo della buona amministrazione in opposizione alla corruzione della classe politica romana.  Quello della “capitale morale” fu un vero e proprio mito, creato ad arte dalla classe dirigente milanese per esprimere la sua avversione all’operato del governo Crispi tra il 1894 e il 1896. Un mito svanito un secolo dopo, quando le inchieste di Mani Pulite dimostrarono che la corruzione aveva contagiato pezzi importanti della classe politica e della classe industriale milanese.

Oggi sembra di essere tornati alle antiche contrapposizioni. Le pessime condizioni in cui versa l’amministrazione romana hanno finito con il far risaltare i meriti del “modello Milano”. La città ambrosiana è tornata ad essere la locomotiva d’Italia, il luogo in cui si anticipano fenomeni politici e sociali destinati ad imporsi nel quadro nazionale. Scriveva Gaetano Salvemini nel 1899: “Quel che oggi pensa Milano, domani lo penserà l’Italia”: la natura di Milano dall’Unità in avanti è sempre stata quella della città modello per l’Italia.

Il culto per l’amministrazione locale risalente alla dominazione austriaca, la sensibilità verso i problemi sociali, l’intervento concreto per risolvere i problemi della cittadinanza, una religione del lavoro praticata con semplicità, austerità, dedizione e riservatezza sono ingredienti tipici dell’anima milanese meritevoli di essere conservati per il bene della città.

Expo 2015: lotta alla contraffazione prioritaria

L’imminente apertura di Expo ha rimesso al centro dell’attenzione un tema cruciale nella difesa del Made in Italy: la contraffazione. Sono troppi i prodotti contraffatti, venduti sul mercato a prezzi assai più bassi rispetto agli originali. L’elenco degli articoli interessati è sterminato: dall’olio ai pomodori cinesi venduti come italiani. A produrli sono organizzazioni criminali che spesso hanno sede all’estero. L’Italia purtroppo è uno dei paesi europei più colpiti dal fenomeno.

Confessiamolo: quante volte abbiamo acquistato un prodotto alimentare spinti unicamente dalla sua convenienza, senza controllare la provenienza e le “informazioni nutrizionali”? Il guaio è che questi prodotti, che sembrano fatti apposta per attirare la nostra attenzione, son fatti spesso con sostanze dannose per la salute. Oggi la contraffazione colpisce i più svariati settori del Made in Italy, dall’agroalimentare alla moda. Un fenomeno allarmante se consideriamo che si tratta di un mercato che vale quasi 7 miliardi di euro all’anno.

Il tema è stato al centro dell’interessante convegno organizzato lunedì dal Centro Studi Anticontraffazione presso la Camera di Commercio di Milano alla presenza di un vasto parterre composto da esperti del ramo, rappresentanti del mondo imprenditoriale, membri della guardia di finanza e della polizia di Stato. Ai lavori è intervenuta l’onorevole Susanna Cenni, capogruppo Pd in materia anticontraffazione.

Dai lavori è emerso lo scarso impegno mostrato finora dallo Stato nel disciplinare questa materia. La legge delega 67/2014, cui è seguito da parte del governo uno schema di decreto legislativo risalente al primo novembre scorso, ha compreso la contraffazione all’interno dei reati perseguibili con pene fino a cinque anni per la tenuità dell’offesa. Il principio della non punibilità per la tenuità del fatto rischia di imporsi in via definitiva nella giurisprudenza, mettendo la contraffazione sullo stesso piano di un reato quale ad esempio il maltrattamento di animali. Occorre invece aggravare le pene perché – come ha ricordato Daniela Mainini presidente del Centro Studi Anticontraffazione e grande esperta della materia – “il principio della lieve entità non può far parte dei reati anticontraffazione”.

E’ stato inoltre lamentato il ritardo degli organi legislativi (Parlamento e Governo) nel preparare quella legge speciale su Expo al cui interno le norme anticontraffazione non potranno che rivestire un’importanza cruciale. La questione è prioritaria se si considera che molti paesi (dalla Cina ad alcuni Stati americani) non conoscono una tutela giuridica sull’autenticità dei prodotti paragonabile a quella esistente da noi in relazione ai marchi DOP o DOCG.

L’aumento delle imitazioni del Made in Italy è sotto gli occhi di tutti: ha fatto scuola il caso del falso Grana Padano presentato da un’azienda della Lettonia alla fiera di Parigi. L’Italia è il paese più colpito dalla contraffazione agroalimentare. Questo tuttavia – come ha sottolineato il professor Cesare Galli, uno dei maggiori specialisti nella difesa della proprietà industriale – è dipeso dal fatto che lo Stato ha concentrato finora le sue energie nella disciplina del mercato interno, mettendo in secondo piano la tutela dei nostri prodotti nei mercati internazionali.

Su questi temi è intervenuta anche l’attrice Tiziana Di Masi, che da anni lavora per rendere consapevoli i cittadini sui danni che la contraffazione reca non solo all’economia italiana ma anche alla salute. Lo spettacolo Tutto quello che sto per dirvi è falso, interpretato dall’attrice con grande abilità narrativa, sta riscuotendo un grande successo nei teatri italiani.

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Milano: vetrina del “Made in Italy”

Expo 2015Nei prossimi mesi a Milano accorreranno tanti stranieri per visitare Expo 2015, la grande Esposizione internazionale dedicata al tema dell’alimentazione. Quali saranno le loro mete? In quali ristoranti andranno? Quali locali attireranno la loro curiosità? Soprattutto: quale impressione avranno dei milanesi e più in generale degli italiani con cui entreranno in contatto negli alberghi, nei negozi, nelle piazze, nei ristoranti della nostra città? Non sono domande scontate perché dal modo con cui i milanesi sapranno accogliere i visitatori dipenderà il successo dell’iniziativa.

In fondo la partita di Milano con Expo non si gioca sul terreno della cultura, della storia o del paesaggio. Milano offre molto in questo campo, a partire dal Duomo. Eppure, pensateci bene: non è questo il suo punto di forza. Ci sono tante città italiane che hanno molto di più. Pensate a Firenze, a Roma, a Venezia, a Napoli, a Palermo: vogliamo forse paragonare il Colosseo, i Musei Vaticani o piazza di Spagna alle Colonne di San Lorenzo, alla Pinacoteca di Brera o all’Arco della Pace? E gli Uffizi sono forse avvicinabili alle Gallerie d’Italia, la prestigiosa collezione di dipinti resa accessibile al pubblico da Intesa San Paolo in tre palazzi storici milanesi? I navigli possono forse reggere il confronto con i canali di Venezia? Un tempo sì, quando Milano con il suo naviglio in centro era il luogo di confluenza tra le acque dell’Adda e quelle del Ticino portate dal naviglio martesana e dal naviglio grande. Oggi non più.

Ue Gabriele!! Come puoi svilire in questo modo la tua città?

Non sto svilendo Milano. Noi milanesi possiamo batterci ancora per rendere la città più attraente sotto il profilo paesaggistico. I progetti non mancano. Al momento la situazione è però quella che ho accennato sopra. Che fare allora? Dove stanno i punti di forza di Milano?

Vinceremo la partita se saremo capaci di attirare il pubblico su un binario diverso rispetto a quello storico culturale. Il binario dell’arte e della cultura è importante ma non può essere l’unico. Il segreto del successo risiede anche nell’innovazione, nella capacità di progettare il futuro con creatività. Questo discorso – come accennavo sopra – vale per l’Italia nel suo complesso. In altre parole: il binario dell’identità storica potrà avere un senso solo se sapremo “appaiarlo” al binario dell’innovazione.

Armani Hotel di Milano
Armani Hotel in via Manzoni 31 da www.artribune.com

Il punto di forza di Milano risiede precisamente in questo: nella sua capacità di innovare, di aprirsi al mondo. E’ la città in cui l’atmosfera internazionale è per così dire vivificata dalle concrete esigenze del lavoro. Qui operano i maggiori marchi della moda. Qui il design trova il suo habitat naturale: il salone del mobile, che si tiene in primavera, attira ogni anno migliaia di visitatori che chiedono di essere aggiornati sulle novità più importanti nel campo dell’arredamento.

Milano, diversamente da Firenze, Roma, Venezia, deve guadagnarsi i turisti con il sudore della fronte. Non può affidarsi soltanto alla rendita del patrimonio artistico e culturale. Certo, la città ha monumenti e musei ma sono pochi e non all’altezza di una città d’arte. Perché venire a Milano allora? Perché qui l’ingegno degli italiani si esprime al massimo grado: tanti giovani aprono locali, inventano nuovi spazi, tentano con coraggio la strada del successo nei campi più svariati.

Nelle vie di Milano i turisti scoprono locali che presentano al massimo grado l’arte italiana in cucina. Michelangelo diceva: “La scultura la si ha nella mente prima che nelle mani”. La cucina italiana presenta una filosofia simile. E’ creativa perché sono i cuochi italiani a renderla tale. E’ varia: la cucina piemontese, lombarda, emiliana, romagnola, veneta, toscana, romana, napoletana, siciliana, sarda hanno ciascuna una nota inconfondibile. Ognuna ha i suoi piatti, i suoi vini particolari. A Milano hanno sede tanti locali e ristoranti gestiti da imprenditori del gusto che non sono milanesi ma trovano qui il luogo ideale per farsi conoscere. Molti hanno successo perché offrono una cucina di qualità che mostra un filo diretto con il territorio da cui provengono.

I piatti italiani sono davvero la sintesi del Made in Italy perché vengono preparati con creativa semplicità. Gli stranieri, in particolar modo gli anglosassoni, hanno sempre apprezzato il largo spazio che nella cucina del Belpaese è riservato agli erbaggi. Non è per caso se nel vocabolario americano e inglese sono tuttora citati i nomi originari di “broccoli” o “zucchini”.

Con Expo Milano sarà la vetrina del Made in Italy. E’ l’Italia come dovrebbe essere: aperta al progresso senza perdere la sua identità. Immaginazione e Tradizione: questi i binari che renderanno ancora possibile il successo del Made in Italy nella cucina, nella moda, nel design.

La “seconda antenata di Expo”: l’Esposizione del 1906

Come anticipato nell’articolo precedente, dedico questo breve intervento a quella che possiamo considerare la seconda antenata di Expo: l’Esposizione Internazionale del 1906.

Qual era la situazione di Milano al principio del Novecento? In fondo, il periodo compreso tra l’Esposizione del 1881 e quella del 1906 fu caratterizzato da un profondo mutamento urbanistico; tale mutamento investì i quartieri del centro, abbandonati progressivamente dalle classi popolari per divenire spazi esclusivi ove operavano le maggiori istituzioni finanziarie e civili del paese. Inoltre, in questo periodo il centro divenne residenza di una ricca borghesia industriale che subentrò in molti casi alla nobiltà cittadina nella proprietà di palazzi prestigiosi a due passi dal Duomo.

Il mutamento più significativo investì però il complesso della popolazione milanese. Nel giro di quarant’anni la città raddoppiò gli abitanti: nel 1861 Milano contava 242.869 cittadini, nel 1901 erano divenuti 491.460. Nuovi quartieri sorsero a fine Ottocento. Intere zone vennero ridisegnate. In una città che andava lentamente trasformandosi nella metropoli moderna che noi conosciamo, l’Esposizione del 1906 ebbe un significato cruciale, collegandosi al tema del progresso nel campo dei trasporti. Non fu un caso se l’evento venne allestito in concomitanza con l’apertura del traforo del Sempione, avvenuta il primo giugno di quell’anno.

Esposizione 1906 ticketL’Esposizione, tenutasi dal 28 aprile all’11 novembre, si collega assai bene con Expo 2015 per il suo carattere internazionale: vi parteciparono 40 Paesi, i cui padiglioni vennero sistemati in due zone corrispondenti pressappoco all’attuale parco Sempione e all’ex piazza d’armi ove, a partire dal 1923, sarebbe stata costituita la Fiera. Una ferrovia sopraelevata consentiva il libero accesso dei visitatori alle due aree. Il sito si estendeva su una superficie di un milione di metri quadrati. I padiglioni furono 225. I visitatori raggiunsero la soglia dei 5 milioni e mezzo.

Se guardiamo al principio guida che ispirò gli organizzatori, ravvisiamo però una differenza rispetto all’Esposizione del 1881. Più che una rassegna dei prodotti più avanzati nel campo dell’industria, l’esposizione novecentesca rivelò un’attenzione alle ricadute sociali del moderno lavoro di fabbrica. Il benessere e la sicurezza dei lavoratori erano in quegli anni un tema centrale delle politiche condotte dai governi europei.

Galleria del Lavoro
Il Padiglione “Galleria del lavoro” all’Esposizione del 1906 da www.lombardiabeniculturali.it

Del tutto indicativo, a tal proposito, il padiglione “Galleria del Lavoro” ove era possibile assistere al “lavoro in azione”, come ricordavano i documenti dell’epoca. La condizione degli operai italiani era migliorata rispetto a fine Ottocento. Gli storici hanno dimostrato che tra il 1901 e il 1913 i salari erano cresciuti del 26%, mentre il reddito era aumentato del 17%. Un operaio specializzato poteva guadagnare fino a 5 lire giornaliere. In un giornale del 1912 si leggeva: “L’operaio moderno non è più quello di un tempo poiché ama le proprie comodità, non abita più in un tugurio indecente, veste più pulito, ha la bicicletta, compera il giornale”. Si trattava di una rivista pubblicata dall’associazione dei tipografi, che a quel tempo erano gli operai meglio pagati della città. La situazione descritta nel giornale era fin troppo ottimistica e non valeva certamente per la maggioranza dei lavoratori che versavano in estrema povertà. Come testimoniavano le inchieste della Società Umanitaria, gli operai non potevano contare su un’alimentazione adeguata ai ritmi di lavoro. Persone che lavoravano dieci ore al giorno mangiavano cibo carente di proteine e non potevano permettersi il consumo di carne.

Senatore Giovanni Silvestri festeggia vittoria alle Mille Miglia
Il Senatore Giovanni Silvestri (al centro)  festeggia con piloti e meccanici la vittoria della sua O.M. alla prima Mille Miglia del 1927

Tornando all’Esposizione del 1906, il contributo degli industriali milanesi fu notevole. Nel Comitato organizzativo troviamo ad esempio Giovanni Silvestri (1858-1940). Il padre aveva assunto un ruolo di primo piano alla Comi Grandoni e C, poi divenuta Miani e Silvestri. Giovanni proseguì l’attività paterna: presidente del Consiglio di amministrazione, rivestì tale carica anche negli anni successivi, quando l’azienda si trasformò nelle celebri “Officine Meccaniche” (O.M.) i cui stabilimenti, situati fuori Porta Vigentina, erano attivi nel comparto ferroviario producendo carrozze, vagoni, locomotive, rotaie. Inoltre la fabbrica O.M. si fece conoscere per aver realizzato i primi esemplari di automobile, un’attività che le avrebbe procurato una certa fama nei primi decenni del Novecento.

Ettore Ponti (1855-1919)
Ettore Ponti (1855-1919)

Un’altra personalità che fece di tutto per assicurare il successo all’Esposizione del 1906 fu il sindaco Ettore Ponti, figlio dell’industriale tessile Andrea, titolare del Canapificio e Linificio Nazionale. Uomo moderato, colto, di specchiata onestà, animato da un sentimento di sincero amore per la cittadinanza, Ponti preparò con cura l’evento lavorando attentamente alla disposizione dei padiglioni. Questo sindaco liberale va ricordato per tante altre opere a sostegno di Milano. A lui dobbiamo il primo piano regolatore elaborato in funzione di una metropoli quale Milano si avviava a divenire. Il sindaco fondò un ente per la costruzione delle case popolari affinché i tanti cittadini giunti a Milano per ragioni di lavoro potessero trovare una sistemazione nel territorio del comune; Ponti realizzò per primo la pavimentazione delle strade utilizzando il catrame per la copertura dei marciapiedi; costituì l’Azienda elettrica municipale (AEM) perché le case dei milanesi potessero essere illuminate in linea con gli standard più avanzati all’epoca. Introdusse i taxi a Milano, fondò la Biblioteca Civica. Nel corso di un ricevimento organizzato nella sua casa di via Bigli, il Ponti venne insignito del titolo di “marchese” dal re Vittorio Emanuele III, che volle in tal modo premiare l’impegno straordinario profuso dal sindaco nell’allestimento dell’Esposizione internazionale.

Moratti bis? Non è il caso…

L’anno prossimo i milanesi saranno chiamati ad eleggere il sindaco. Il bilancio dell’amministrazione Moratti non è entusiasmante. Milano continua ad essere una città invivibile, inquinata e sporca. I lavori per l’Expo 2015 sembrano bloccati o in colpevole ritardo nella tabella di marcia. Le infiltrazioni della criminalità organizzata nel mondo degli appalti sono diventate comuni e restano per lo più impunite. La scelta di introdurre l’Ecopass facendo pagare agli automobilisti l’ingresso nel centro storico è stata a dir poco negativa: ha salassato i milanesi e non mi pare sia riuscita a ridurre in modo incisivo l’inquinamento, che resta il nemico più pericoloso per quanti abitano nella città del Duomo. D’altra parte bisogna riconoscere che nei quattro anni di amministrazione Moratti ci siano anche delle belle pagine. Ad esempio il bike sharing – il noleggio delle biciclette che il Comune ha reso disponibile da pochi anni –  costituisce per i milanesi un servizio importante. Eppure, anche qui, non mancano i dati negativi: le piste ciclabili non sono sufficienti a garantire una perfetta circolazione dei velocipedi e le stazioni ove è possibile noleggiare la bicicletta sono pressoché assenti nelle periferie. Insomma, c’è ancora molto da fare.

Il sindaco Moratti intende ricandidarsi alle elezioni amministrative del prossimo anno. Nel Pdl cittadino serpeggiano malumori. Evidentemente si devono essere accorti che la giunta attuale ha deluso una parte notevole di milanesi. La Lega Nord non ha esitato a render note, alcuni mesi fa, le più forti riserve nei confronti della nuova candidatura della signora Moratti. Alla fine Berlusconi, come al solito, riuscirà a sciogliere il nodo gordiano e preparerà accuratamente  la nuova scalata a palazzo Marino. A mio parere, è auspicabile che il centrodestra richiami il buon Gabriele Albertini, che ha già amministrato la città dal 1997 al 2006 e non mi pare che abbia fatto in quel periodo una pessima prova. I milanesi lo riconfermarono infatti nelle elezioni amministrative del 2001. Se verrà dato l’ok alla ricandidatura del sindaco Moratti, il centrodestra rischierà di perdere clamorosamente il Comune di Milano.                 

Dall’altra parte dello schieramento politico, nel centrosinistra, si sono fatti avanti Stefano Boeri e Giuliano Pisapia. Sono convinto che Philippe Daverio sia l’unica persona che potrebbe far vincere il centro sinistra. Brillante uomo di cultura,  milanese doc, Daverio saprebbe amministrare bene la città perché conosce a fondo la storia di Milano (il che, al giorno d’oggi, non è da tutti) e possiede quelle doti intellettuali che, messe adeguatamente a frutto, potrebbero contribuire a fare di Milano una capitale europea, una città più aperta all’innovazione di quanto lo sia ora, amministrata da una squadra impegnata a 360 gradi nella valorizzazione del patrimonio storico, artistico e paesaggistico (i Navigli in primis).

Mi chiedo se il dottor Daverio sia disponibile a ricoprire l’ufficio di Sindaco di Milano. Il sottoscritto, che non è elettore del centrosinistra ma appartiene ai federalisti milanesi parzialmente delusi dall’amministrazione Moratti, lo voterebbe senza esitazioni.