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Date milanesi

Il 3 settembre 1402 moriva a Melegnano Gian Galeazzo Visconti, primo duca di Milano. Sotto il suo governo lo Stato milanese conseguì la sua massima estensione territoriale.
Fu uomo di Stato e politico spregiudicato. Nel 1385 uccise lo zio Bernabò conquistando la signoria su Milano e sulle altre città lombarde. Negli anni seguenti condusse un’audace e brillante campagna di espansione territoriale, ottenendo il dominio sulle città di Verona, Vicenza, Padova, Pisa, Siena, Perugia, Assisi e Bologna.
Sotto il suo governo Milano divenne una città ricca e popolosa. A lui si deve la costruzione del Duomo di Milano e della Certosa di Pavia.

Per volontà testamentaria, il suo corpo venne smembrato: le viscere portate nella chiesa di Sant’Antonio di Vienne in Francia, il cuore conservato nella chiesa di San Michele di Pavia, il corpo nella Certosa. Il funerale fu grandioso e spettacolare. La cura per gli allestimenti scenici era fatta per mostrare la potenza cui era giunto il ducato visconteo. Lo storico erudito Giorgio Giulini, nella sua storia di Milano pubblicata tra il 1760 e il 1775, ne fornì una memorabile descrizione.

“La gran processione cominciò dal castello di Porta Giovia (l’attuale Castello Sforzesco, ndr), e terminò nella chiesa maggiore (il Duomo), e così lunga fu la funzione che appena potette compirsi nello spazio di quattordici ore. […]
Fra i legati del Milanese v’ebbero luogo quelli di Varese, di Lecco e di Monza…a tutti questi aggiungevasi un gran numero di nobili delle medesime città e luoghi dello stato. Vennero poi tutti gli ordini religiosi, i canonici regolari, ed il clero secolare, e poi gli abati e i vescovi di tutte le città suddite. Seguivano le insegne delle medesime città e de’ luoghi principali, portate da dugento quaranta (240) uomini a cavallo, dietro ai quali otto uomini a cavallo con le insegne ducali. Dopo questi si videro 2000 uomini vestiti a bruno, colle armi della vipera del ducato di Milano e del contado di Pavia cucite nel petto e sulle spalle, portando in mano grossi torchi (torce) di cera. Quindi cominciò ad apparire il clero e i canonici ordinari della metropolitana, e per ultimo l’arcivescovo Pietro da Candia con altri arcivescovi e vescovi, avanti la cassa.

Quella cassa, per altro vuota, era portata da gran numero de’ signori principali forestieri, e così pure era portato il baldacchino di broccato d’oro foderato d’ermellini sopra di essa, circondato da ogni parte da gran numero di cortigiani tutti vestiti a lutto, dodici de’ quali, e poi dodici altri, portavano gli scudi delle varie insegne del duca e fra le altre la tortorella o piccione col raggio di sole ch’egli aveva eletta per suo simbolo, ed il simbolo della ginestra e quello dell’imperatore”.

G. GIULINI, Memorie di Milano ne’ secoli bassi, Milano, Cisalpino Goliardica 1975 (ristampa anastatica dell’edizione del 1857), vol. VI, pp.59-60