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Con il federalismo Roma non sarà l’unica capitale d’Italia

Ieri il presidente della repubblica Giorgio Napolitano ha commemorato il centoquarantesimo anniversario della breccia di Porta Pia. Roma, conquistata dalle truppe italiane il 20 settembre 1870, cessava di essere la sede del potere temporale del Papa e diveniva la nuova capitale del regno d’Italia sabaudo.

Le conseguenze di tale avvenimento furono notevoli e bene ha fatto il Capo dello Stato a ricordarne l’importanza storica. La capitale del regno italiano, che fino a quel momento era stata Firenze, veniva fissata in una città i cui abitanti avevano accolto con scarso entusiasmo i nuovi arrivati, ritenuti quasi responsabili di aver  interrotto la pace secolare del paterno governo pontificio. Ora il nuovo status della città pareva aver esaltato i romani, inducendoli a rivolgere al governo una serie di richieste che potessero degnamente salvaguardare i loro interessi. Ne scriveva amareggiato un uomo politico che aveva voluto ardentemente l’annessione di Roma, Bettino Ricasoli: “i Romani, invece di ringraziare Iddio che senza virtù loro, sono esciti (sic!) da una situazione intollerabile per un popolo che senta un poco di sé, son in piazza di continuo disposti ad agitarsi e ad agitare, e ad imporsi, ultimi aggiunti, alla grande famiglia, con le loro impazienze, con le loro bambocciate. V’è dunque in questa Roma una fatalità che deve rendersi maledetta per l’Italia?” (Ricasoli a Luigi Torelli, 20 novembre 1870). Poche ore prima il generale piemontese Alfonso La Marmora aveva scritto stizzito al primo ministro Giovanni Lanza: “Se i romani anziché esser liberati dagli Italiani, avesser loro fatta l’Italia, non avevano ancor il diritto di elevare tante pretese, e imporsi orgogliosamente alle rimanenti Provincie. A furia di gridare che senza Roma capitale l’Italia non poteva sussistere, questi Signori l’hanno preso sul serio. Ma non mi stupirebbe che tali smodate pretese provocassero una reazione contro Roma” (La Marmora a Lanza, 19 novembre 1870).

Centoquarant’anni dopo la breccia di Porta Pia, le lettere di La Marmora e Ricasoli rivelano una straordinaria attualità. Il governo Berlusconi ha approvato da pochi giorni un decreto legislativo ove sono accresciuti i poteri del Sindaco di Roma in un quadro di speciali autonomie riconosciute alla capitale. Insomma, i discendenti dei romani ex papalini paiono aver degnamente corrisposto ai desideri dei loro avi. Ma il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, dopo aver votato in consiglio dei ministri a favore di quel decreto, ha sostenuto la necessità di istituire un’altra capitale nel Nord Italia. Il Capo dello Stato, nel discorso tenuto ieri, ha respinto in via categorica la legittimità di tale ipotesi, sostenendo che Roma continuerà ad essere la sola capitale dello Stato unitario nazionale. Le parole di Napolitano, com’è facile immaginare, hanno finito per deludere quanti si augurano una riforma quasi integrale della Costituzione in chiave confederale.

Ma il presidente della repubblica ha fatto molto di più. Egli ha svelato la sua natura di convinto unitarista e antifederalista, non foss’altro perché, in un ordinamento informato al principio del pluralismo politico territoriale, esiste certamente una capitale sede del potere centrale, ma in essa hanno sede solo una parte dei dicasteri pubblici, essendo gli altri ministeri dislocati nelle città che continuano ad essere capitali di Stati regionali.

Finché non modificheremo l’articolo quinto della Costituzione, la nostra repubblica resterà uno Stato unitario, non federale. L’articolo quinto riconosce infatti l’esistenza di una sola Italia indivisibile, fondata sul decentramento amministrativo e su una vigilata autonomia degli enti locali. Ma un vero ordinamento federale è  informato a princìpi diversi:  le comunità territoriali membri della confederazione, lungi dal rinunciare alla loro sovranità, ne delegano una parte soltanto al potere federale, il quale, per questo motivo, non può  presentare in alcun modo i caratteri di unitarietà e indivisibilità tipici dello Stato moderno.

La proposta di Bossi mi sembra quindi sensata in un quadro di riforma costituzionale in senso autenticamente federale. Plausibile d’altra parte sarà anche ogni proposta che i politici centro meridionali volessero avanzare in Parlamento o in Consiglio dei Ministri per restituire a Napoli, a Firenze, o a Palermo il loro antico status di capitali.