Archivi categoria: Sant’Ambrogio

Lo Stradone e i chiostri di Sant’Ambrogio nel sestiere di Porta Vercellina

Lo "Stradone di Sant'Ambrogio" quale appare oggi dopo i lavori urbanistici.
Lo “Stradone di Sant’Ambrogio” quale appare oggi dopo i lavori urbanistici.

Guardando la basilica di Sant’Ambrogio, costeggiando l’attigua piazza sulla sinistra si accede all’ampio viale che corre parallelo all’antico naviglio di San Girolamo (oggi via Carducci). Quel viale era conosciuto come Stradone di Sant’Ambrogio. Oggi, dopo i lavori urbanistici che hanno interessato l’isolato per molti anni, è divenuto finalmente una piacevole area pedonale intervallata da spazi verdi fino alla Caserma Garibaldi. A quel punto il viale, dopo aver costeggiato i giardini e le case della basilica ambrosiana, piega a gomito sulla destra per terminare in Largo Gemelli.

La strada è percorsa in prevalenza dagli studenti della vicina Università Cattolica. L’ateneo ha sede proprio lì, in quei magnifici chiostri dietro la basilica di Sant’Ambrogio che facevano parte anticamente di un convento abitato dai monaci benedettini dal 789 d.C. fino alla fine del Quattrocento. I canonici, vale a dire i chierici addetti al servizio in chiesa, abitavano invece nelle case vicine all’altra area della basilica. I rapporti tra i monaci e i canonici furono a dir poco complessi, segnati da rivalità che nel Medioevo erano assai diffuse tra corporazioni gelose dei loro diritti particolari.

Sant'Ambrogio4
La basilica di Sant’Ambrogio e la Caserma San Francesco. Litografia ottocentesca a cura di Giuseppe Elena e Pietro Bertotti.

Vi siete mai chiesti per quale motivo la basilica di Sant’Ambrogio ha due campanili? Semplice: perché i canonici, stanchi di suonare le campane con i monaci del vicino convento, convinsero l’arcivescovo Anselmo V della Pusterla, nel 1128, a costruire a spese del Comune un secondo campanile sul lato opposto della facciata. E pazienza se per completare i lavori fu necessario abbattere il fianco sinistro della chiesa: per i canonici era più importante salire sul “loro” campanile. Chissà quante risate si saranno fatte i monaci quando guardavano i loro vicini dall’alto del “loro” campanile!

I benedettini risero meno quando alla fine del Quattrocento, accusati di cattivi costumi, furono costretti a sloggiare. I chiostri di Sant’Ambrogio furono affidati in commenda al cardinale Ascanio Sforza: uomo colto e raffinato, fratello del duca Ludovico il Moro, l’abate Ascanio affidò la ristrutturazione di quegli edifici religiosi all’architetto Donato Bramante, al cui stile dobbiamo la linea sublime dei capitelli a due ordini, nonché le raffinate logge in pietra e in cotto. Il cardinale assegnò questi spazi ai cistercensi di Chiaravalle, che vi abitarono fino all’arrivo degli eserciti francesi del generale Bonaparte: l’edificio, ora demaniale, divenne un ospedale militare. A tale uso continuò ad essere destinato fino agli inizi degli anni Trenta quando vi fu trasferita l’Università Cattolica. Questa però è un’altra storia che vi racconterò in un altro post….

 

Quando i Milanesi festeggiavano Sant’Ambrogio armato di staffile…

Il 21 febbraio 1339, nei pressi di Parabiago, le truppe del signore di Milano, Azzone Visconti, si scontrarono contro l’armata guidata dal cugino Lodrisio, deciso a spodestare il parente e ad impadronirsi del potere.

Come si svolse la battaglia?
Azzone poteva contare sullo zio Luchino, ottimo comandante militare. Lodrisio invece era appoggiato dal signore di Verona, Martino della Scala, che gli aveva fornito una nutrita schiera di soldati tedeschi, molti dei quali appartenevano probabilmente all’esercito dell’imperatore Ludovico il Bavaro. Lodrisio era anche conte del Seprio e in tale veste, entrato nel milanese dopo aver varcato l’Adda, si era diretto nei suoi domini per procurarsi risorse e reclutare nuovi armati.

La battaglia di Parabiago, svoltasi sulla neve, fu particolarmente atroce. La vittoria parve arridere inizialmente alla compagnia di San Giorgio: a questo santo, particolarmente diffuso nei paesi nordici, Lodrisio aveva infatti dedicato il suo esercito. I milanesi scelsero invece di inalberare le insegne di Sant’Ambrogio. Insomma, quello che fu in realtà lo scontro di due bande di armati assunse ben presto i segni di una guerra tra santi.
Luchino cadde prigioniero di Lodrisio e, legato a un albero, fu costretto ad assistere impotente allo svolgersi degli eventi. Tuttavia, nel corso della giornata, nuove truppe accorsero in aiuto dei milanesi. Essi poterono rovesciare le sorti del conflitto e annientare il nemico. Secondo l’eminente storico di Milano, Giorgio Giulini,
“In quella terribile battaglia più di tremila uomini, fra una parte e l’altra, e settecento cavalli restarono morti. Due mila e cento cavalli furono presi da’ vincitori, oltre quelli che fuggirono, e quelli che furono rubati. Quasi tutti i militi, che restarono vivi, riportarono qualche ferita”
(G. GIULINI, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e compagna di Milano ne’ secoli bassi, Milano, Francesco Colombo 1856, vol. V, pag.263).
La storia, come si sa, viene scritta dai vincitori, quasi mai dai vinti. I milanesi, come da manuale, tramandarono gli eventi di Parabiago raccontando che il 21 febbraio 1339 i soldati del perfido Lodrisio erano stati scacciati non solo grazie al valore dei loro avi, ma anche per l’apparizione miracolosa di Sant’Ambrogio, vestito in abito bianco, armato di una sferza o staffile con cui non esitò a percuotere le schiere del traditore di Milano.
Cesare Cantù, nella Grande Illustrazione del Lombardo Veneto, ricordò la curiosa tradizione del 21 febbraio riconoscendo l’incredibile popolarità di quel giorno: “Tanto terrore aveva incusso quella masnada che la battaglia di Parabiago restò nelle tradizioni popolari più viva che non quelle di Legnano o d’Alessandria, e consacrandola col meraviglioso, si disse che Sant’Ambrogio era stato veduto in aria a cavallo collo staffile percotendo gli stranieri”. (C. CANTU’, Grande illustrazione del Lombardo Veneto, Milano, Corona e Caimi, 1858, vol.I., pag. 117).
Nel luogo ove Luchino era stato fatto prigioniero e dove si diceva fosse apparso Sant’Ambrogio, i Visconti fondarono una chiesa dedicata al protettore della città. I signori di Milano stabilirono inoltre che il 21 febbraio le autorità e il popolo cittadino si recassero in pellegrinaggio a Parabiago perché fosse serbata perenne memoria di quell’evento.
Pietro Verri, nella sua Storia di Milano, non esitò a commentare con ironia la festa milanese di Sant’Ambrogio alla Vittoria:
Come mai questo fatto d’armi si rendesse tanto celebre, e come ne’ giorni fausti siasi tanto distinto il 21 di febbraio, e nessuna menzione trovisi fatta del giorno, ben più memorando, 29 di maggio, in cui l’anno 1176 venne totalmente battuto Federico Primo dai Milanesi, potrebbe essere il soggetto d’un discorso. Nel primo caso un ribelle, che non aveva Sovranità o Stati, fu sconfitto da un Principe che dominava dieci Città (Milano, Pavia, Cremona, Lodi, Como, Bergamo, Brescia, Vigevano, Vercelli e Piacenza NdR); nel secondo, una povera Città, che aveva sofferto mali estremi, sconfisse un potentissimo Imperatore che aveva fatto tremare la Germania, l’Italia e la Polonia. Nel primo caso si combatté per ubbidire più ad Azone che a Lodrisio; nel secondo si combatté per essere liberi, o per essere schiavi. Pare certamente che meritasse celebrità assai maggiore la giornata 29 maggio. Ma la fortuna ha molta parte nel distribuire la celebrità. E vero che una nascente Repubblica nel secolo duodecimo non aveva né l’ambizione né i mezzi che poteva avere un gran Principe nel secolo decimoquarto per tramandare ai posteri un’epoca gloriosa. (P. VERRI, Storia di Milano, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, pp.312-313).
Bisogna riconoscere tuttavia che i milanesi non avevano tutti i torti a festeggiare il 21 febbraio con tanta solennità. Essi ritenevano che Lodrisio avesse combattuto per ambizioni personali con un esercito composto in larghissima parte di stranieri (tedeschi e veronesi). Anche Azzone e i suoi parenti combatterono per interessi personali: essi difesero la signoria viscontea in una città che aveva perso ormai le libertà comunali. Tuttavia, diversamente da Lodrisio, Azzone governò Milano come legittimo signore della città, riconosciuto come tale dai milanesi. Per questo motivo la festa di Parabiago venne percepita come una festa autenticamente meneghina.
La difficoltà di recarsi a Parabiago in una stagione che a quei tempi rendeva particolarmente difficili gli spostamenti, indusse San Carlo Borromeo, nella seconda metà del XVI secolo, a riformare il calendario abolendo quella festa. I milanesi continuarono tuttavia a celebrare la ricorrenza, che venne sentita come una vera e propria festa civica. Fu così stabilito che il 21 febbraio, giorno della festa di Sant’Ambrogio alla Vittoria, la processione si svolgesse entro la città di Milano e terminasse nella basilica di Sant’Ambrogio.