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Perchè è opportuno ricordare Sant’Ambrogio

Nel discorso tenuto il 28 gennaio 1897 alla conferenza per il quindicesimo centenario della morte di Sant’Ambrogio, un giovanissimo Angelo Mauri (1873-1936), attivo in quegli anni presso il comitato cattolico diocesano assieme a figure quali Filippo Meda e Bernardino Nogara, tracciava un efficace profilo della popolarità che il santo aveva rivestito nel corso dei secoli presso i milanesi. Noi oggi ricordiamo Mauri soprattutto come docente di storia delle dottrine economiche all’Università Cattolica del Sacro Cuore, titolare di questa cattedra per volontà di padre Gemelli dalla metà degli anni Venti al 1933.

Angelo Mauri
Angelo Mauri fu eletto deputato alla Camera dei deputati negli anni 1905-09; 1919-21 e 1921-24.

Nell’intervento tenuto alla conferenza del 1897, il Mauri tesseva un vivido quadro della storia milanese facendo notare come la figura di Ambrogio fosse stata evocata dai milanesi negli episodi cruciali della storia cittadina: dalla battaglia di Parabiago (1339) alla repubblica ambrosiana (1447-1450); non mancava di ricordare perfino un istituto di credito che per tre secoli, dal 1593 all’arrivo dei francesi comandati dal generale Bonaparte, gestì le risorse del patriziato milanese: il banco di Sant’Ambrogio. Mauri osservava che i milanesi si erano appellati ad Ambrogio nei momenti più difficili, richiamando una memoria del patrono che “non illanguidita mai nell’intimità della coscienza popolare, pur d’ora in ora, a periodi, a ricorsi, manda attraverso la storia milanese vividi guizzi di luce nei momenti più gravi e decisivi della vita cittadina, nelle sue più solenni manifestazioni politiche e sociali” (A. Mauri, La memoria di S. Ambrogio in Conferenze santambrosiane, gennaio-febbraio 1897, Milano, Libreria Religiosa Editrice di G. Palma, 1897, pag.196).

Quale insegnamento possiamo trarre oggi dalla vita di questo santo, a pochi giorni dalla sua celebrazione? Anzitutto cerchiamo di collocarlo nel contesto storico in cui visse, vale a dire l’Impero Romano d’Occidente. Ambrogio (333 o 340-397 d.C.) nacque a Treviri, figlio di un funzionario dell’amministrazione imperiale romana, forse un prefetto del pretorio. Trasferitosi a Roma con la famiglia, si formò negli studi giuridici per seguire la carriera burocratica sull’esempio del padre. Sotto l’imperatore Valentiniano I, nel 370 d.C., fu nominato governatore delle province dell’Emilia e della Liguria che interessavano un territorio corrispondente pressappoco alle attuali regioni Lombardia, Piemonte, Liguria e la parte occidentale dell’Emilia Romagna.  Ma cosa significava essere governatore in età tardo antica? I governatori avevano poteri civili afferenti all’ordine pubblico e alla fiscalità. Esercitavano la giustizia in prima istanza fatta eccezione per i senatori. Avevano alle loro dipendenze non meno di 100 impiegati pubblici.

Il  governatore Ambrogio attivo a Milano dal 370 al 374, anno in cui venne proclamato vescovo della città dopo la morte dell’ariano Aussenzio, era un uomo che conosceva bene l’amministrazione civile romana; sapeva quali fossero i problemi di una società  come quella tardo antica, divisa tra più fedi religiose in conflitto tra loro. A Milano, che Diocleziano aveva elevato assieme a Treviri al rango di capitale dell’Impero romano d’Occidente, oltre ai cattolici c’erano gli ariani che riconoscevano la sola natura umana di Gesù, non quella divina presente in Dio padre; c’erano poi i pagani legati agli antichi culti. Una situazione di conflitto che sfociava spesso in persecuzioni e scontri.

Nell’esercizio della funzione di governatore Ambrogio si guadagnò una certa popolarità presso i cristiani. Lui stesso si avvicinò al culto come catecumeno, preparandosi a ricevere il battesimo. Il 7 dicembre del 374 non fu soltanto battezzato, fu proclamato vescovo della città, segno dell’autorità indiscussa che aveva saputo conquistarsi presso la cittadinanza milanese.

Sant'Ambrogio (339/340-397)
Sant’Ambrogio (339/340-397)

Come vescovo Ambrogio fu un ardente propugnatore del cristianesimo; occorre ricordare che l’editto di Milano emanato da Costantino nel 313 d.C. aveva reso questo culto la religione dell’impero, soggetta quindi alla protezione dell’autorità civile. Eppure, quasi preannunciando gli scontri medievali tra papato e impero, nella difesa e nella salvaguardia dell’ortodossia Ambrogio non esitò a scontrarsi con il potere politico contestando il diritto d’ingerenza dell’imperatore in materia ecclesiastica. Un’ingerenza d’altra parte inevitabile visto lo status di religione protetta che era stato fissato, come si è ricordato, dall’editto di Milano.

Qual era la concezione politica di Sant’Ambrogio? Essa rifletteva le linee del cristianesimo della tarda antichità e dell’Alto Medioevo: si trattava di una concezione della vita politica e sociale intrisa di un tendenziale pessimismo nei confronti della natura umana; una concezione secondo la quale l’uomo, a causa del peccato originale, deve essere governato da un potere pubblico che eserciti la forza coercitiva per il rispetto delle leggi e per il bene comune. Le autorità secolari – che ai tempi di Ambrogio si identificavano con l’imperatore romano – erano quindi legittime perché la loro autorità era riconosciuta da Dio come mezzo necessario per correggere una natura umana corrotta dal peccato.

Ambrogio, che era stato uno zelante funzionario dell’amministrazione imperiale, si richiamava all’insegnamento dell’Apostolo: non est potestas nisi a Deo (ogni potere è derivato da Dio). E’ però significativo che la sua interpretazione della parola apostolica si discostasse notevolmente dai padri cristiani dei secoli precedenti o dallo stesso Agostino che egli stesso battezzò a Milano nella Pasqua del 387 d.C. Secondo il cristianesimo della tarda antichità quelle parole erano interpretate come segno di un obbligo incondizionato verso i detentori del potere. Se il potere politico avesse agito bene, ciò era da riconoscere come un segno della clemenza divina; se avesse agito male, occorreva subire passivamente la malvagità o la corruzione perché vi si ravvisava un segno della collera di Dio per i peccati degli uomini.

Teodosio
Teodosio (347-395 d.C.). Da un ciondolo bizantino del IV secolo d.C.

Ambrogio, da fine giurista qual era, si discostava da questa concezione distinguendo tra l’istituzione politica in sé e il singolo atto amministrativo compiuto dalla persona. In caso di azione malvagia – asseriva il vescovo – la responsabilità non colpisce l’istituzione, bensì l’uomo che si comporta male. Il dovere di obbedienza non è quindi incondizionato, bensì legato al corretto esercizio delle funzioni pubbliche che devono rispettare il diritto positivo, il diritto naturale e il diritto divino. Ne derivava quella concezione del potere imperiale come delega, come mandato divino ad operare per il bene della comunità, che sarebbe stato alla base del Medioevo europeo. Coerentemente con tale pensiero, egli non esitò a condannare l’uccisione in massa della popolazione di Tessalonica ordinata dall’imperatore Teodosio in risposta a un atto di sedizione. All’imperatore, che era giunto a Milano, Ambrogio vietò risolutamente di entrare in chiesa: lo avrebbe potuto fare solo a condizione di chiedere perdono a Dio per i peccati commessi perché, come scrisse in quell’occasione in una lettera a Teodosio, “peccatum non tollitur nisi lacrimis et paenitentia”. Colpito dalla fermezza e dall’autorità del vescovo, l’imperatore fece pubblica penitenza nel Natale del 390 d.C.

Il diritto di natura era essenziale nella filosofia politica di Sant’Ambrogio. Gli uomini tendono a reggersi in pace in società in base al principio di non fare agli altri quel che non vorresti fosse fatto a te. Il vescovo di Milano credeva tuttavia che il solo diritto di natura non fosse sufficiente perché la natura umana era corrotta dal peccato originale. Di qui il richiamo alla legge scritta che obbliga l’uomo al rispetto dei patti: dalla legge mosaica alla legge emanata dai poteri secolari (l’Impero). Contro le ingiustizie e il disordine, solo il potere politico ha il dovere di usare la forza per obbligare gli uomini a vivere pacificamente nella comunità secondo le parole dell’Apostolo: non sine causa gladium portat qui judicat (non senza motivo tiene la spada colui che giudica).

Meritano infine di essere considerate le osservazioni di Ambrogio nei confronti del bene comune. Il vescovo di Milano non condivideva la posizione di quanti ritenevano che tra interessi privati e interessi pubblici andasse operata una netta divisione. Si trovava anche in disaccordo con quanti ritenevano che l’agire degli uomini in società dovesse limitarsi al divieto di far male agli altri. Non fare male al prossimo – ricordava – è un modello di condotta ovvio per qualunque cristiano che segue l’insegnamento di Gesù. Il diritto naturale e il diritto divino impongono invece di far prevalere l’interesse comune su quello individuale operando concretamente con azioni a sostegno dei più deboli.

Difensore della fede cristiana, spinto da uno spirito missionario per la conversione dei pagani e dagli ariani, Ambrogio volle che fuori dalle mura di Milano fossero costruite quattro chiese in direzione dei punti cardinali, affinché i ministri del culto potessero svolgere un’efficace opera di evangelizzazione: Sant’Ambrogio ad ovest (poi nel sestiere di Porta Vercellina), San Nazaro a sud (nel sestiere di Porta Romana), San Simpliciano a nord (nel sestiere di Porta Comasina), San Dionigi ad est, (chiesa oggi scomparsa, situata un tempo nel sestiere di Porta Orientale, ove oggi si trovano i giardini pubblici).

Il Tredesin de Marz e una pietra misteriosa

Ieri si è festeggiato il Tredesin de Marz, tradizionale festa dei fiori milanese che sembra quasi propiziare l’avvento della primavera. La festa sarà ripetuta domani, domenica 15, nel quartiere in zona Porta Romana, tra via Crema, via Piacenza e via Giulio Romano: si terrà un mercato di fiori con tante iniziative legate al mondo della floricultura.

Da cosa trae origine questa festa? Come cercherò di spiegarvi in questo articolo, l’evento si lega probabilmente ad antichi culti pagani che vennero cristianizzati nel corso del Medioevo.

Nell’Ottocento e ancora nella prima metà del secolo scorso il Tredesin si festeggiava a non molta distanza dalla zona che ho ricordato. La festa aveva il suo fulcro nella chiesa di Santa Maria al Paradiso e interessava il corso di Porta Vigentina fino all’incrocio con via Beatrice d’Este. Emilio De Marchi (1851-1901) ricordava: “E qui giornad del tredesin de Marz? Gh’era la fera, longa longhera, giò fina al dazi, coi banchitt de vioeur, de girani, col primm roeus…”.

Se entrate in Santa Maria al Paradiso troverete sul pavimento un’enorme pietra circolare ove al centro si trova un foro; vi sono incisi tredici segni. Quale significato abbiano è un mistero.

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La misteriosa pietra nella chiesa di Santa Maria del Paradiso

Partiamo da un dato certo: questa pietra, risalente all’epoca romana (se non addirittura pre-romana), si trovava anticamente in un’altra chiesa, oggi scomparsa: San Dionigi. Era situata nell’area dei giardini pubblici di Porta Venezia, quasi a ridosso delle mura spagnole: difatti la festa del Tredesin veniva celebrata nei pressi di quella basilica prima di “traslocare”, alla fine del XVIII secolo, nel sestiere di Porta Romana. La prima costruzione di San Dionigi vien fatta risalire all’epoca di Sant’Ambrogio, alla fine del IV secolo dopo Cristo, nel periodo in cui Milano fu capitale dell’Impero romano. Com’è facile immaginare, non esistevano a quei tempi né giardini pubblici né mura spagnole. La zona era circondata da campi perché le mura della Milano romana, relativamente al settore orientale, non oltrepassavano il tracciato delle attuali vie Durini, piazza San Babila e via Monte Napoleone.

Che senso poteva avere dunque una chiesa in mezzo ai campi, distante un chilometro dalle mura?

Sant'Ambrogio (339/340-397)
Sant’Ambrogio (339/340-397)

Una risposta potrebbe esserci. Quando Ambrogio divenne vescovo di Milano, il cristianesimo era una religione che interessava soprattutto le classi cittadine medio-alte. La conversione dell’imperatore Costantino aveva spinto l’alta burocrazia dell’impero ad abbandonare la fede pagana. Nel IV e V secolo dopo Cristo si era venuta a determinare una situazione paradossale: il cristianesimo, che nei primi secoli aveva conquistato i ceti popolari, nel tardo-impero divenne parte integrante della formazione culturale dell’aristocrazia romana che risiedeva in città. Milano, capitale dell’impero romano d’Occidente dal 286 al 402 d.C., costituiva un esempio lampante. Ambrogio non era forse stato un alto funzionario romano prima di diventare vescovo della città? Si giunse così al paradosso che il paganesimo, sconfitto nella capitale dell’impero, sopravviveva nelle campagne ove i contadini erano rimasti fedeli ad antiche tradizioni del folclore sorte in epoca pre-romana. Come ha scritto lo storico Jacques Le Goff, il laicato rurale, sprovvisto della formazione culturale cristiana diffusa nelle classi cittadine: “divenne sempre più vulnerabile agli urti di una cultura primitiva rinascente”.

Per evangelizzare le masse rurali Ambrogio fondò alcune chiese fuori dalle mura: la chiesa che venne poi intitolata al suo nome, ma anche San Nazzaro e San Dionigi.

So cosa stai per dirmi adesso: come si lega tutto questo con la pietra circolare??

Si può ipotizzare che la pietra fosse preesistente alla chiesa. Questo spiegherebbe per quale motivo il misterioso manufatto, forato al centro, sul quale sono incisi 13 segni  – forse ad indicare i 13 mesi lunari del calendario celtico? – si trovasse all’interno della chiesa nel sestiere di Porta Orientale.

San Barnaba
San Barnaba, anonimo lombardo, XVIII secolo.

Nel Medioevo le tradizioni pagane continuarono a sussistere nonostante la cristianizzazione dei secoli precedenti. Per contrastarle, a partire dall’XI secolo la chiesa ambrosiana diffuse la storia di San Barnaba, considerato il primo evangelizzatore di Milano. Il  13 marzo del 52 d.C., entrando in città da Porta Orientale, l’apostolo sarebbe passato nei campi e avrebbe piantato la sua prima croce di legno. Sapete dove? Nel foro della misteriosa pietra rotonda ovviamente. Tutto quindi lascia supporre che la chiesa ambrosiana mise in campo una raffinata operazione culturale tesa ad assimilare alla tradizione cristiana un rito preesistente risalente almeno al periodo romano, quando a marzo (il nome deriva da Marte) si festeggiava Marte per l’appunto, dio della Natura, della fecondità, della vegetazione primaverile oltre che della guerra.

La chiesa ambrosiana stabilì che l’apostolo fu il primo evangelizzatore di Milano: al suo passaggio, la neve si sarebbe sciolta per miracolo e i prati fuori porta Orientale si sarebbero riempiti di fiori. Gli storici sono però concordi nel ritenere una leggenda l’origine apostolica della chiesa milanese.

La storia di San Barnaba come “primo vescovo di Milano”, divenuta ben presto popolare, ebbe però l’effetto che la curia milanese si attendeva: contribuì ad elevare il prestigio di Milano, conferendole la dignità di “sede apostolica” quasi allo stesso livello di Roma.

La prima testimonianza di cui disponiamo oggi a proposito della festa del Tredesin è contenuta nel manoscritto trivulziano F35, copiato tra il 1450 e il 1461, negli anni del ducato di Francesco Sforza. Vi era ricordata la festa religiosa durante la quale veniva concessa l’indulgenza di tutti i peccati ai fedeli che si fossero recati a San Dionigi riconoscendo le colpe e facendo atto di pentimento: “Item quilibet bene confessus et contrictus visitans ecclesia infrascripta sancti Dionixi die XIII marti ut indulgentia plenaria omnium suorum peccatorum remissionem”. 

Nel 1583 San Carlo confermò il 13 marzo come dies festibus, giorno di festa.

Domenico Balestrieri
Domenico Balestrieri

Nella seconda metà del Settecento la zona compresa tra corso Venezia, via Senato e via Marina, continuò ad essere il centro della festa del Tredesin fino al 1783, quando le autorità procedettero alla demolizione di San Dionigi. A quell’epoca, in una società che andava secolarizzandosi,  la festa aveva perso in larga parte lo spirito religioso dei secoli precedenti. Il poeta dialettale Domenico Balestrieri (1714-1780) ricordò i milanesi, tutt’altro che pentiti e contriti, in una bella poesia dialettale di cui riporto alcune quartine:

Hoi da dilla? Hoo pavura, che ghe sia/ In cert dì d’Indulgenz, e de fonzion / Chi viva pesg per nostra confusion,/ Che in temp che gh’era anmò l’idolatria.  

L’è inscì pur tropp, e gh’avarev on mucc/ De coss de fatt in proeva del mè assont;/ Ma per sbrigà la predega in d’on pont,/ Gh’è ’l Tredesin, ch’el pò bastà per tucc.

 El dì tredes de marz, come se cred/ Generalment, l’è staa quel santo dì, / Che al temp di Apostel s’è piantaa anca chì / La primma Insegna della vera Fed./ 

Ora in sto dì se ’n celebra la Festa/ A Sant Dionis in fond de Porta Renza,/E gh’è foera el cartell dell’Indulgenz,/ Ma vaan là per tutt olter che per questa. …Signorìa in Gesa o no ghe n’è, o ben scarsa.

 Traduzione:

Devo dirla tutta? Ho paura che in certi giorni d’indulgenze e di messe si viva in un disordine peggiore rispetto ai tempi dell’idolatria. E’ così purtroppo e avrei molti fatti che provano il mio assunto. Ma per accorciare la predica, c’è il Tredesin: credo che possa bastare per tutti.  Il tredici di marzo, come si crede da tutti, è stato quel giorno santo in cui al tempo dell’Apostolo (San Barnaba) si è piantata anche qui a Milano la prima insegna della vera fede. Ora in questo giorno si celebra la festa a San Dionigi in fondo a Porta Renza [Porta Orientale]:  c’è fuori il cartello dell’indulgenza ma le persone vanno là per tutt’altre ragioni…signori in chiesa o non ci sono o sono molto pochi.

Lo Stradone e i chiostri di Sant’Ambrogio nel sestiere di Porta Vercellina

Lo "Stradone di Sant'Ambrogio" quale appare oggi dopo i lavori urbanistici.
Lo “Stradone di Sant’Ambrogio” quale appare oggi dopo i lavori urbanistici.

Guardando la basilica di Sant’Ambrogio, costeggiando l’attigua piazza sulla sinistra si accede all’ampio viale che corre parallelo all’antico naviglio di San Girolamo (oggi via Carducci). Quel viale era conosciuto come Stradone di Sant’Ambrogio. Oggi, dopo i lavori urbanistici che hanno interessato l’isolato per molti anni, è divenuto finalmente una piacevole area pedonale intervallata da spazi verdi fino alla Caserma Garibaldi. A quel punto il viale, dopo aver costeggiato i giardini e le case della basilica ambrosiana, piega a gomito sulla destra per terminare in Largo Gemelli.

La strada è percorsa in prevalenza dagli studenti della vicina Università Cattolica. L’ateneo ha sede proprio lì, in quei magnifici chiostri dietro la basilica di Sant’Ambrogio che facevano parte anticamente di un convento abitato dai monaci benedettini dal 789 d.C. fino alla fine del Quattrocento. I canonici, vale a dire i chierici addetti al servizio in chiesa, abitavano invece nelle case vicine all’altra area della basilica. I rapporti tra i monaci e i canonici furono a dir poco complessi, segnati da rivalità che nel Medioevo erano assai diffuse tra corporazioni gelose dei loro diritti particolari.

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La basilica di Sant’Ambrogio e la Caserma San Francesco. Litografia ottocentesca a cura di Giuseppe Elena e Pietro Bertotti.

Vi siete mai chiesti per quale motivo la basilica di Sant’Ambrogio ha due campanili? Semplice: perché i canonici, stanchi di suonare le campane con i monaci del vicino convento, convinsero l’arcivescovo Anselmo V della Pusterla, nel 1128, a costruire a spese del Comune un secondo campanile sul lato opposto della facciata. E pazienza se per completare i lavori fu necessario abbattere il fianco sinistro della chiesa: per i canonici era più importante salire sul “loro” campanile. Chissà quante risate si saranno fatte i monaci quando guardavano i loro vicini dall’alto del “loro” campanile!

I benedettini risero meno quando alla fine del Quattrocento, accusati di cattivi costumi, furono costretti a sloggiare. I chiostri di Sant’Ambrogio furono affidati in commenda al cardinale Ascanio Sforza: uomo colto e raffinato, fratello del duca Ludovico il Moro, l’abate Ascanio affidò la ristrutturazione di quegli edifici religiosi all’architetto Donato Bramante, al cui stile dobbiamo la linea sublime dei capitelli a due ordini, nonché le raffinate logge in pietra e in cotto. Il cardinale assegnò questi spazi ai cistercensi di Chiaravalle, che vi abitarono fino all’arrivo degli eserciti francesi del generale Bonaparte: l’edificio, ora demaniale, divenne un ospedale militare. A tale uso continuò ad essere destinato fino agli inizi degli anni Trenta quando vi fu trasferita l’Università Cattolica. Questa però è un’altra storia che vi racconterò in un altro post….