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Riapre il Lirico sulle orme di un illustre passato

Il Comune di Milano ha affidato la gestione del Teatro Lirico alla società olandese Stage enterteinment Srl per un periodo di 12 anni. Il teatro, rimasto chiuso dal 1999, dovrebbe riaprire nei primi mesi del 2018. La società olandese ha messo a punto un nutrito piano di iniziative. La programmazione degli spettacoli sarà affidata a diversi direttori a seconda dei tipi di iniziative messe in campo: Renato Pozzetto si occuperà della parte relativa alla comicità e al cabaret, mentre J-Ax curerà gli eventi di musica leggera per giovani. Gli eventi di musica classica e di musica lirica saranno affidati a Roberto Favaro, vicedirettore di Brera. I concerti Jazz  ad Enrico Intra, mentre Chris Baldock si occuperà degli spettacoli legati alla danza.

Il Teatro Lirico risorgerà quindi a nuova vita dopo quasi vent’anni di chiusura al pubblico. Ci auguriamo che esso saprà restituire al quartiere di via Larga quell’anima culturale che si era venuta definendo nel corso dei secoli in modo del tutto originale.

Difatti, se ci soffermassimo su questo tema inforcando le lenti della storia, rimarremmo colpiti nel constatare che l’isolato compreso tra via Larga e via Rastrelli ebbe un ruolo di assoluto rilievo nella società milanese tra antico regime ed età moderna. Le istituzioni culturali e ricreative che vi operarono nel corso dei secoli diedero al quartiere tre anime: una prima di tipo educativo-formativo, una seconda di tipo melodrammatico operistico di livello quasi paragonabile al Teatro alla Scala, una terza infine legata a un sfera più circoscritta nei contenuti, spesso bando di prova per realizzazioni sceniche destinate in alcuni casi a far discutere, in altri ad incidere in profondità nel panorama culturale italiano.

Qui però occorre chiarirsi subito perché l’edificio che vediamo oggi non corrisponde a quello antico del Teatro della Cannobiana. A ben vedere, neppure via Rastrelli, che costeggia un lato dell’edificio, corrisponde a quella di un tempo: questa strada, che oggi collega via Larga con Piazza Diaz, aveva inizio anticamente da un piccolo incrocio con via Cappellari, a pochi metri dall’antica piazza del Duomo medievale che era assai più piccola dell’attuale. Da quell’incrocio era possibile avere una veduta assai suggestiva della cattedrale. Via Rastrelli costeggiava quindi il Palazzo Ducale – divenuto in epoca napoleonica il Palazzo Reale – e terminava all’incrocio tra le attuali vie Pecorari a sinistra e Paolo da Cannobio a destra, che in antico regime corrispondevano all’incirca alla contrada delle Ore e alla contrada del Pesce. Fu in una casa situata in fondo a questa via, in contrada delle Ore, che furono trasferite nella seconda metà del Cinquecento le Scuole Cannobiane.

Proposta seicentesca di riassetto delle Scuole Cannobiane

L’umanista Paolo da Cannobio (1513-1556) con testamento del 1553 (e codicillo del 1554) aveva assegnato all’Ospedale Maggiore un cospicuo lascito per la costruzione di due scuole di etica e di logica. Aperte nel 1557 in piazza Sant’Ambrogio, furono traslocate nel 1564 in via delle Ore. Quindici anni dopo, l’Ospedale Maggiore decise di installare in quello spazio anche le scuole – fondate da Tommaso Piatti nel 1503 – che si trovavano in via Soncino Merati (via oggi scomparsa, copriva all’incirca il primo tratto dell’attuale corso Matteotti, collegando via San Pietro all’Orto con via San Paolo nel sestiere di Porta Orientale). La gestione in capo alla Cà Granda durò fino al 1671, quando le spese dell’istituto, superando le rendite del lascito Cannobio, impedirono ai membri dell’amministrazione ospedaliera di proseguire nell’attività educativa. La gestione delle Scuole Cannobiane passò al Collegio dei Nobili dottori che finanziò la ricostruzione dell’edificio, ampliato fino ad incorporare una proprietà confinante con via Larga. Alle scuole si accedeva da un piccolo passaggio all’inizio di via delle Ore, passaggio che permetteva agli scolari di accedere alla sala principale, sormontata da una cupola a forma ottagonale-tonda. Le scuole continuarono a svolgere le loro funzioni fino alla fine degli anni Sessanta del Settecento quando il governo asburgico, messo a punto il piano di studi del 1769-70, decise di incorporarle nelle Scuole Palatine di Piazza dei Mercanti. Poco dopo, in seguito alla soppressione dei Gesuiti nel 1773, le scuole secolari milanesi furono concentrate nel Palazzo di Brera che, per volontà dell’imperatrice Maria Teresa, divenne il nuovo “campus” milanese gestito dallo Stato, con finanziamenti adeguati all’alta formazione culturale e scientifica. L’edificio delle Scuole Cannobiane, adibito a magazzino, era destinato a scomparire nel periodo napoleonico, quando gli isolati compresi tra quella parte di via delle Ore (oggi via Pecorari) e via Larga , furono demoliti per costruire l’ala meridionale del Palazzo Reale secondo i disegni dell’architetto Tazzini.

Veniamo alla seconda vita del quartiere. Agli ultimi anni del riformismo teresiano risale la fondazione del Teatro della Cannobiana e della via omonima che fu costruita in prosecuzione di via Rastrelli verso via Larga. Il teatro, costruito negli stessi anni del Teatro alla Scala, era più piccolo rispetto a quest’ultimo. L’edificio presentava tuttavia dimensioni notevoli nel panorama dei teatri cittadini. Nelle intenzioni delle autorità asburgiche, la Cannobiana avrebbe dovuto rivestire un ruolo importante nella vita culturale cittadina. Non a caso esso fu conosciuto dai milanesi come “picciol Teatro”, mentre il “Teatro grande” era ovviamente quello della Scala. I due teatri furono pensati entrambi quali poli d’eccellenza della vita culturale e artistica. Giuseppe Piermarini fu scelto per dirigere la costruzione di entrambi gli edifici. Inoltre, non diversamente da quanto era avvenuto nel giorno di apertura del Teatro alla Scala nell’agosto 1778, anche per l’inaugurazione del Teatro della Cannobiana, avvenuta nel luglio 1779, fu scelta un’opera di Antonio Salieri, La Fiera di Venezia su libretto di Boccherini. Quanto a dimensioni, se la Scala poteva contenere 3600 spettatori, la Cannobiana ne ospitava 2300. La platea era composta da 14 file di sedie (in tutto 450).

Il Teatro alla Cannobiana (o Canobbiana) da “I Teatri di Milano”, particolare da L. Cherbuin dis. ed inc., prima metà XIX secolo

Nei primi anni di attività, la Cannobiana rivestì quindi un’importanza quasi pari a quella del Teatro alla Scala nell’allestimento degli spettacoli. D’altra parte, quanto al pubblico, essa fu frequentata non solo dalla ricca borghesia ma anche dalle più importanti famiglie del patriziato milanese. Avveniva spesso che i nobili disponessero di due palchi: uno al Grande Teatro, l’altro al Picciol Teatro. Del tutto indicativo, in proposito, il caso dei Visconti Ajmi che ho preso in esame nel mio libro Via Filodrammatici prima di Mediobanca (Milano, Scalpendi Editore 2015): questo casato risultava proprietario a fine ‘700 del palchetto N.17 in terza fila alla sinistra nel Teatro alla Scala e del palchetto n.1 in terza fila alla destra nel Teatro della Cannobiana. Nel periodo rivoluzionario, il “Picciol Teatro” divenne un punto di ritrovo per i patrioti lombardi. Vi si tennero tragedie di Alfieri e di Salfi che inneggiavano alla virtù repubblicana. Nel 1798 i patrioti cisalpini lo scelsero per rogare solennemente (presente il notaio Zamperini) l’atto di sovranità del popolo, verosimilmente in opposizione alle ingerenze francesi che avvenivano in quei mesi negli affari di politica interna della Repubblica Cisalpina. Sotto il Regno d’Italia napoleonico e il Regno Lombardo Veneto austriaco, la Cannobiana ritornò al suo antico splendore. Varrà la pena ricordare a tal proposito che Gaetano Donizetti scrisse le scene dell’Elisir d’amore affinché fossero tenute in questo teatro, il che avvenne nella “prima” del 12 maggio 1832. Il calendario era diviso in due stagioni: nel carnevale venivano allestite le commedie, mentre in estate le opere in musica e i balli.

Come avveniva alla Scala, anche qui gli spettacoli non erano certo l’unica attività del teatro: il gioco d’azzardo nei ridotti, la preparazione di piatti e pietanze che potessero soddisfare il palato degli avventori, finivano con il distrarre il pubblico dalla rappresentazione dell’opera. Celebri le lamentele di Berlioz in occasione di una serata trascorsa alla Cannobiana, ove i pasti rumorosi a base di costolette e minestroni lo avevano distratto per il rumore delle stoviglie.

Restaurato nel 1844, il “picciol Teatro” declinò in modo irreversibile nella seconda metà dell’Ottocento, quando passò in gestione dallo Stato al Comune di Milano. La progressiva carenza di fondi segnò la fine di quella stagione memorabile che era iniziata assieme al Teatro alla Scala. L’introduzione dell’illuminazione elettrica non aiutò a risollevare una situazione che restava precaria; parve al contrario portare sfortuna: il prefetto Basile, richiamandosi all’incendio del Ring-Theater di Vienna avvenuto l’8 dicembre 1881 che aveva causato numerosi morti, ebbe buon gioco nel decretare la chiusura della Cannobiana alcuni anni dopo. Nel 1889, a pochi mesi dalla cessazione dell’attività, il poeta Ferdinando Fontana scrisse questi versi malinconici in dialetto milanese:

In via Larga sul canton

Che va dent in del volton

Gh’è ona veggia carampana

Che se ciamma Cannobiana,

Ma che l’è de quj veggett

Fa d’on stamp tanto perfett

Che conserva l’allegria

Anca a vess in agonia…

 

Interno del Teatro Lirico dopo i lavori di ristrutturazione compiuti da Antonio Cassi Ramelli nel 1938.

La seconda vita dell’isolato tra via Larga e via Rastrelli si era chiusa definitivamente ma un’altra se ne aprì in breve tempo. L’editore Sonzogno, le cui pubblicazioni erano in concorrenza con quelle della casa editrice Ricordi, acquistò dal Comune l’edificio ormai in rovina: la sua idea era di formare un nuovo polo teatrale che potesse favorire la sua attività di editore in campo musicale come i Ricordi avevano saputo fare rispondendo abilmente alle richieste di compositori, maestri e impresari del Teatro alla Scala. L’immobile fu ristrutturato in via radicale su disegno dell’architetto Sfondrini. Il 24 settembre 1894 l’edificio fu aperto al pubblico come nuovo Teatro Lirico Internazionale.

Benito Mussolini al Teatro Lirico il 16 dicembre 1944

Diversamente dal Teatro alla Scala, che rimase il tempio dell’opera, il Lirico non raggiunse i livelli di eccellenza cui mirava Sonzogno. Esso si segnalò tuttavia per l’originalità degli spettacoli e assurse ben presto a una certa fama nel panorama della vita artistica milanese. Tra le prime più importanti, si ricordano la Fedora di Umberto Giordano tenuta nel 1898 che lanciò la carriera del celebre tenore Enrico Caruso, nonché La figlia di Iorio di Gabriele d’Annunzio (1904). Un’altra serata memorabile fu quella che si svolse al Lirico il 15 febbraio 1910, quando i Futuristi presentarono al pubblico il loro celebre Manifesto destinato a suscitare scalpore nella società del tempo. L’interno fu devastato da due incendi: un primo nel 1938, un secondo nel 1943. Nonostante tali incidenti, il teatro, ricostruito e ampliato dall’architetto Cassi Ramelli (1905-1980), seppe svolgere una certa attività anche sotto il regime fascista e perfino in tempo di guerra: il 16 dicembre 1944 Mussolini scelse il Lirico per tenere il suo ultimo discorso ai milanesi.

Veniamo infine agli anni del Dopoguerra e del boom economico, durante i quali il Lirico svolse un ruolo importante quale centro culturale milanese, anche se non tornò certamente ai fasti dei primi anni del secolo. Wanda Osiris vi tenne i suoi spettacoli eccentrici e piumati. Verso la metà degli anni Sessanta il Lirico presentava al pubblico un calendario di spettacoli del tutto avvicinabili a quelli del Piccolo Teatro di Giorgio Strehler. Negli anni di piombo, in una Milano immersa nel dramma del terrorismo e della contestazione, suscitò grande impressione la presentazione al Lirico in prima mondiale, il 4 aprile 1975, dello spettacolo Al gran sole carico d’amore, opera di Luigi Nono con la regia di Jurij Ljubimov: vi furono rappresentate le grandi rivoluzioni operaie – dalla Comune parigina alle rivolte nell’Italia del 1943 – alle quali si aggiungeva un richiamo alla guerra in Vietnam.