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Dalle tenebre alla luce: l’illuminazione pubblica

L’illuminazione pubblica è un servizio che rientra nella normalità di qualsiasi paese ad economia avanzata. Non è così nelle società povere. Non fu così in età medievale e per buona parte dell’età moderna quando il calar della notte spingeva i cittadini a rinchiudersi in casa per evitare di essere derubati o assaliti.

A Milano l’illuminazione notturna fu introdotta per la prima volta nel 1784, quando l’imperatore Giuseppe II decise di finanziare tale servizio con i fondi ricavati dai proventi del gioco del lotto e dalla tassazione sugli edifici.

Lampadee
Addetto all’accensione delle lanterne pubbliche. Incisione del primo Ottocento.

La visibilità risultava tuttavia scarsa perché la luce che proveniva dai lampioni era troppo debole, limitata a pochi metri di distanza. La situazione non mutò nel periodo napoleonico. Milano, pur essendo elevata al rango di capitale dello Stato italico, continuò a subire disagi. Il servizio d’illuminazione notturna, gestito direttamente dal Comune, mostrava gravi carenze. In una lettera al prefetto dell’Olona del 15 dicembre 1812, il ministro dell’interno rimarcava il pessimo servizio gestito dagli impiegati del Comune:

Intorno alla pubblica illuminazione notturna di questa capitale due principali inconvenienti si rimarcano…cioè la poca esattezza nella sua esecuzione, e quindi la negligenza di quelli, che sono incaricati d’accendere i fanali; secondo il cattivo sistema di non accendere le lampade nelle notti e nelle ore in cui dovrebbe risplendere la luna, il di cui raggio ci è impedito quando l’aria è nuvolosa, versando così sovente in tenebre le contrade della città.

(Il ministro dell’interno Luigi Vaccari al prefetto dell’Olona Gaudenzio Maria Caccia di Romentino, 15 dicembre 1812 pubblicata in E. Pagano, Il Comune di Milano in età napoleonica, Milano, Vita e Pensiero, 2002, pag.190).

Occorreva una luce più forte che, oltre ad assicurare un migliore decoro pubblico, fosse in grado di garantire la mobilità dei cittadini anche di notte. Negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, furono compiuti alcuni tentativi in questa direzione.

Carlo Cattaneo
Carlo Cattaneo (1801-1869)

Giovanni Battista Brambilla (nato nel 1803), titolare di una banca col fratello Pietro denominata “Brambilla & Compagno”, socio di un’azienda milanese specializzata in seta e spedizioni, in una lettera  del 23 marzo 1837 alla delegazione provinciale sosteneva di voler fornire un’illuminazione a gas derivante da combustibili fossili. Carlo Cattaneo fu incaricato da Brambilla di scrivere alcune lettere su questo tema. Il tratto innovativo del progetto consisteva nell’abbandono degli oli combustibili (olio di oliva e olio di noce) e nell’utilizzo dei combustibili fossili da cui trarre il gas con cui alimentare le lampade. Scriveva Cattaneo alla delegazione provinciale:

La Ditta…di questa Regia Città a termini della Sovrana Patente 31 marzo 1832 notifica colla presente un suo progetto di miglioramento che consiste nell’applicare alla illuminazione generale pubblica e privata di questa Regia Città il gas estratto dai combustibili fossili della Monarchia (mediante la costruzione di vasti serbatoi collocati all’aperto e forniti di gazometro e degli opportuni meccanismi di sicurezza praticati in Inghilterra e nel Belgio) il che deve alleviare la spesa giornaliera dei pubblici stabilimenti e delle famiglie e produrre un vantaggio allo Stato in preferenza all’uso delle materie oliacee…

(I Carteggi di Carlo Cattaneo, a cura di Maria Chiara Fugazza e Margherita Cancarini Petroboni, Serie I, volume I, Firenze-Bellinzona, Le Monnier – Casagrande, 2001, pp.80-81).

Il progetto di Brambilla parve avere esito positivo: il 19 maggio l’imperatore Ferdinando gli concesse il privilegio di gestire il servizio in via esclusiva per un tempo di 15 anni. Seguì la fondazione di una società che avrebbe operato a Milano e a Trieste. Nell’atto di costituzione, risalente al 10 gennaio 1838, figurano un negoziante di Lione, Jacques Joseph Rast, tre architetti civili sempre di Lione (i fratelli Jules e Prospère Renaux e Jean Bonnin), i fratelli Giuseppe, Pietro e Giovanni Battista Brambilla.  Il ruolo di Cattaneo può sembrare marginale in questa vicenda. In realtà, pochi giorni dopo, egli stesso si aggiunse come socio alla società fondata dal Brambilla, mostrando di credere nel progetto.

Il banchiere si mise all’opera per assicurare ai milanesi un’adeguata illuminazione pubblica. Il privilegio del governo non era però sufficiente. Occorreva l’autorizzazione del Comune, rappresentato in questa vicenda dalla Congregazione municipale. In una lettera scritta da Cattaneo il 20 gennaio 1838 per convincere le autorità locali, si assicurava: “la luce che tramanderà continuamente la fiamma del Gas illuminante sarà almeno una mezza volta più vivace e potente del miglior fanale possibile ad olio; di maniera che si potrà facilmente leggere alla distanza di venti metri” (I Carteggi di Carlo Cattaneo…cit., pag.109).

Rassicurazioni che non bastarono a convincere la Congregazione municipale, alla quale pervenne in quel medesimo periodo una proposta alternativa da parte dell’ingegnere francese Jules Achille Guillard. Questi promise di garantire l’illuminazione pubblica a gas mediante un metodo di gran lunga più efficiente, già sperimentato con successo a Grenoble e in un quartiere di Lione.  Si trattava del metodo Selligue. Consisteva nell’utilizzo dei cosiddetti “schisti bituminosi”, un tipo di roccia facilmente sfaldabile che a contatto con l’acqua provocava una reazione chimica da cui era possibile ottenere gas idrogeno.

La Congregazione municipale formò una commissione per capire quale dei due metodi fosse da preferire e di conseguenza a quale società fosse opportuno dare l’appalto: se a quella del Brambilla o a quella del Guillard. Furono condotti in città due esperimenti d’illuminazione compiuti l’uno con il metodo Selligue, l’altro con il metodo di estrazione del gas dal carbone fossile. Il primo ebbe luogo nei pressi del Teatro dei Filodrammatici, l’altro al Dazio di Porta Orientale, non molto distante dai giardini pubblici di Porta Venezia. Un curioso articolo apparso sulla Biblioteca Italiana, nel numero di luglio-settembre 1838, così descriveva gli esperimenti:

Due società egualmente rispettabili si sono presentate a contendersi l’onore ed il guadagno di quest’impresa. Assistite e l’una e l’altra da valenti artefici hanno entrambe dato un saggio del loro diverso sistema d’illuminazione, l’una al teatro de’ Filo-drammatici, l’altra alla birreria vicina al dazio di porta Orientale. Distinguendo le società dal sito ove ebbero luogo gli esperimenti, diremo che per quanto comunemente si disse, e per quanto si è potuto arguire dagli effetti dell’esterna illuminazione, sembra che la Società del teatro abbia seguito il nuovo processo di Selligue estraendo il gas dalla decomposizione dell’acqua, combinata coll’idrogeno prodotto da materie oleose, e si sa che la Società della Birreria ha adoperato in parte il carbon fossile delle miniere di Saint-Etienne, ed in parte la lignite indigena del Vicentino, servendosi egualmente per combustibile di lignite nostra….l’una e l’altra società hanno dimostrato come l’arte d’illuminare a gas è in oggi portata ad un grado tale di perfezione da potere senza esitanza applicarla ai bisogni nostri.

La commissione optò alla fine per il metodo Selligue. Il contratto con la società Guillard venne firmato nel giugno 1843. Costruita la fabbrica fuori Porta Lodovica nei corpi Santi di Porta Romana (ove oggi si trova la Centrale del Latte), Guillard curò la graduale posa dei tubi al di sotto delle vie. Il 31 luglio 1845 i milanesi del centro poterono assistere alla nuova illuminazione. Dicevano finalmente addio alla “incomoda e pericolosa oscurità” in cui erano rimasti avviluppati per secoli.