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Un monumento all’Italia: la Galleria Vittorio Emanuele

La Galleria Vittorio Emanuele è senza dubbio uno dei monumenti più caratteristici di Milano. E’ considerata il Salotto della città. I turisti restano estasiati dalla sua architettura e dalle prestigiose boutique che si aprono al suo interno. La Galleria, i cui lavori erano iniziati il 7 marzo 1865, fu inaugurata il 15 settembre 1867 alla presenza del Re. L’architetto Giuseppe Mengoni, che aveva diretto i cantieri, morì dieci anni dopo, il 30 settembre 1877, precipitando da un ponteggio mentre tentava di ultimare l’arco verso piazza del Duomo: uno dei casi più famosi di morte sul lavoro.

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Giuseppe Mengoni

Come ho ricordato in un articolo di qualche mese fa, non era la prima volta che Milano si arricchiva di un passaggio coperto: la Galleria De Cristoforis, che collegava corso Vittorio Emanuele con via Monte Napoleone, costituì per alcuni decenni un luogo importante di socialità cittadina. Non presentava tuttavia una veste grandiosa.

La nuova Galleria fu qualcosa di diverso. Finanziata dal consiglio comunale, che ne affidò i lavori alla società inglese City of Milan Improvements Company, essa rappresentò nelle sue dimensioni imponenti, nei temi delle decorazioni, l’emblema dell’Italia risorta, gemma preziosa dello Stato nazionale monarchico. Giuseppe Verdi in una lettera scritta a un amico francese nel 1868, non nascondeva la sua ammirazione per questo ardito passaggio vetrato che collegava piazza del Duomo con piazza della Scala:

La nuova Galleria è proprio un cosa bella: un’opera artistica, monumentale. Nel nostro paese c’è ancora il senso del Grande congiunto al Bello.

IMG_6762Alla sua apertura la Galleria ospitava novantasei negozi, un numero certamente rilevante se consideriamo che la Galleria De Cristoforis ne aveva allora una settantina. I caffè rivestivano un ruolo significativo nella vita sociale dei milanesi in Galleria. Chi fosse entrato a fine Ottocento da piazza del Duomo, avrebbe trovato sulla destra il celebre Caffè Campari gestito da Gaspare Campari. Giunto a Milano nel 1863 dopo aver lavorato a Torino e a Novara, Campari fece fortuna con i celebri liquori: il Fernet e il Bitter all’uso d’Olanda come si diceva a quel tempo (oggi conosciuto come Bitter Campari). Nel 1915, anno dell’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra, Campari aprì un altro caffè sul lato opposto che dava sempre verso piazza del Duomo. Oggi questo spazio, tuttora adibito a caffé (nonché ristorante al piano superiore) non è più di Campari ma conserva il prezioso  bancone che gli antichi proprietari avevano fatto costruire in stile art nouveau.

Un altro caffè storico era quello aperto da Paolo Biffi nel 1867 al centro dell’Ottagono, nei locali in cui oggi si trovano gli stupendi negozi di Prada. Le vetrine di Biffi, che si era distinto per la produzione di panettoni artigianali, si estendevano lungo il braccio della Galleria verso via Ugo Foscolo.

Sul lato opposto si trovava una sede secondaria del caffè Gnocchi di Galleria De Cristoforis. Poi la proprietà passò alla Birreria Stocker, i cui gestori garantivano ai clienti la calda accoglienza di avvenenti cameriere in abito tirolese. Nel 1885 la proprietà fu acquistata da Virginio Savini, che ne fece la sede del suo celebre caffè frequentato dagli artisti del vicino teatro Manzoni. Dalla metà del secolo scorso il Savini divenne, com’è fin troppo noto, il centro della vita mondana: nelle sale lussuose di questo ristorante si ritrovavano politici, banchieri, intellettuali importanti nella storia nazionale.

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Il Ristorante Gambrinus – Gambrinus Halle in una immagine pubblicata nei primi anni del Novecento

Non possiamo chiudere questa rassegna sugli antichi ristoranti senza citare il secondo locale che Baldassarre Gnocchi aprì in galleria negli spazi ove oggi si trova la libreria Rizzoli. Si trattava di un caffé di notevole grandezza che acquisì una certa fama nella Milano di fine Ottocento: vi si tenevano regolarmente concerti ad opera di una solerte orchestra di signore viennesi.  L’atmosfera filotedesca – e più in generale filo germanica – che vi si respirava era certamente il risultato della politica conservatrice che il governo italiano seguì in quegli anni mediante la firma dei trattati della Triplice Alleanza con gli Imperi centrali (Impero germanico e Impero austro-ungarico). Una politica che recò i suoi frutti anche sul piano economico. Ricordiamo che a Milano furono istituite, grazie al contributo determinante di capitali tedeschi, le due più importanti banche del Paese: la Banca Commerciale Italiana (1894) e il Credito Italiano (1895) le cui sedi si trovavano a pochi passi dalla Galleria.

Tornando al ristorante Gnocchi, senza l’aiuto della casa  tedesca Siemens&Halsk esso non sarebbe certo riuscito ad illuminare i suoi locali con la luce elettrica, il 21 agosto 1880: fu un evento memorabile nella storia cittadina. Esso anticipava di alcuni anni l’illuminazione elettrica, che in città sarebbe stata possibile solo alcuni anni dopo grazie all’apertura della centrale Edison nella vicina via Santa Radegonda. Assunto nel 1882 il nome di Birreria Gambrinus, il ristorante Gnocchi continuò ad operare con tale denominazione fino all’entrata in guerra dell’Italia, nel 1915. A seguito delle campagne nazionaliste antitedesche,  le autorità obbligarono i gestori a chiamarlo “Grand’Italia”.

Se prendiamo in esame alcuni diari scritti da turisti stranieri in visita a Milano nella prima metà del Novecento, ci accorgiamo che il pubblico della Galleria era alquanto variegato. Del tutto indicative le riflessioni scritte nel 1923 dallo scrittore spagnolo Vicente Blasco Ibanez (1867-1928), che si soffermava sui tanti giovani artisti che puntavano sulla Galleria per incontrare un impresario che potesse fare la loro fortuna. La vicinanza al Teatro alla Scala sembrerebbe aver segnato l’identità del celebre edificio:

Vicente Blasco Ibanez
Vicente Blasco Ibanez

Qui si trattengono, mangiando maccheroni nelle trattorie a buon mercato, e aspettando il momento in cui il mondo farà loro giustizia cospargendo di milioni la strada della loro vita, tutte le reclute e i riservisti dell’arte musicale, gente infelice e degna di pietà che si prepara ad entrare nel tempio della gloria cantando per cinque o sei lire in qualunque teatrino municipale del “Milanesado”. Questo soltanto perché qualche giornale di infimo ordine scriva qualcosa su di loro così da poter inviare il ritaglio alla famiglia e agli amici, e convincerli dei grandi successi che ottengono nel paese dell’arte.

Qui ci sono anche i veterani, quelli che, dopo aver fatto la gioia di tutta una generazione in qualunque capitale d’Europa, mettono mano ai loro risparmi, e quelli che, più imprevidenti, debbono dedicarsi, in vecchiaia, a penose occupazioni per liberarsi dalla miseria, dopo aver trascinato sete e velluti sui palcoscenici e aver ricevuto deliranti ovazioni.

Non si può vivere a Milano senza imbattersi, ad ogni istante, nell’artista veterano, nel novellino o nell’audace che tira dritto, fresco come una rosa, di insuccesso in insuccesso e di fischiata in fischiata.

Trent’anni dopo, il quadro sembrava completamente mutato. Nelle brevi note scritte nel 1964 da Henry Vollan Morton (1892-1979), la Galleria assumeva le caratteristiche di un ambiente magico, staccato dalla convulsa vita cittadina dominata dal traffico e dalla frenesia lavorativa; ritrovo prediletto per innamorati, donne avvenenti, ricchi banchieri e politicanti.

Henry Vollan Morton
Henry Vollan Morton

La Galleria mi parve la moderna versione di un Foro romano. Non c’era il traffico viario, la gente poteva a suo piacimento fare acquisti, passeggiare, pettegolare o leggere le ultime notizie del mercato finanziario. Erano presenti tutte le figure tipiche dell’antico foro: gli innamorati che si incontravano nel luogo stabilito per l’appuntamento, i politicanti con l’ultima edizione del Corriere della Sera, le signore alla moda, i ricconi con la loro corte e perfino, come dubitarne, i seccatori! In Galleria non mi annoiavo di certo: là gli esseri umani, lontani dal fragore e dalla confusione del traffico, si pavoneggiavano come su una ribalta dove tutti sono, ad un tempo, attori e spettatori.  

“A comodo e ornamento” di Milano: la Galleria De Cristoforis

Nella prima metà dell’Ottocento le gallerie coperte, caratterizzate da eleganti soffitti in vetro, divennero frequenti in molte città europee. Erano passaggi che collegavano almeno due vie, al cui interno si affacciavano negozi, ristoranti, caffè, hotel. Milano, come ricorderò fra poco, non mancò di brillare con un’opera architettonica oggi purtroppo scomparsa.

Burlington Arcade
Burlington Arcade a Londra in una stampa ottocentesca

La prima galleria in vetro ad essere costruita fu la Burlington Arcade di Londra, opera dell’architetto Samuel Ware, tuttora esistente tra Piccadilly e Burlington Gardens, non molto distante da Buckingham Palace e Piccadilly Circus. Si tratta di un passaggio coperto che aprì al pubblico nel 1819 per iniziativa di Lord George Cavendish che aveva ereditato i terreni e le case della zona. Costruita per la vendita di gioielli e articoli esclusivi afferenti alla moda, la galleria è lunga 161 metri. In origine era costituita da 72 negozi distribuiti in due piani.

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Galierie Vivienne a Parigi

Pochi anni dopo, nel 1823, l’architetto Francois Jean Delannoy ricevette l’incarico di costruire una galleria vetrata nel centro di Parigi, a pochi passi dalla Borsa, dal Palazzo Reale e dai Grand Boulevards. Anche qui la finalità risiedeva essenzialmente nell’offrire alla nobiltà e alla ricca borghesia cittadina un punto esclusivo di ritrovo su cui si affacciassero negozi, ristoranti e i caffè più esclusivi. Anche questa galleria esiste ancora oggi. Gli ingressi sono da rue des Petit-Champs, rue de la Banque e rue Vivienne. La Galerie Marchoux, denominata poi Vivienne, è lunga 176 metri e larga appena tre.

La prima galleria coperta costruita a Milano, la Galleria De Cristoforis, presentava nella sua struttura alcune caratteristiche presenti nei casi appena richiamati; fu aperta nel 1832 su iniziativa dei fratelli Giovanni Battista e Vitaliano De Cristoforis che, acquistate le case poste tra gli isolati dell’ultimo tratto della corsia dei Servi (oggi corso Vittorio Emanuele II) e di via Monte Napoleone, intendevano donare alla città un monumento – come recitava l’iscrizione posta in uno dei tre ingressi – “a comodo ed ornamento della patria”. I lavori, affidati all’architetto Andrea Pizzala, furono condotti da 450 operai che li portarono a compimento entro l’anno. La galleria somigliava alla Galerie Vivienne di Parigi: lunga 110,67 metri, larga poco più di 4, aveva un ingresso da corsia dei Servi ove il passaggio si allungava in un lungo rettilineo fino a dividersi in due bracci: a sinistra verso via San Pietro all’Orto, a destra verso via Monte Napoleone. Come la londinese Burlington Arcade, anche la Galleria De Cristoforis ospitava una settantina di negozi.

L’estensore di una guida di Milano pubblicata nel 1838 informava i turisti che nella Galleria si trovavano un caffè, un lussuoso albergo, trenta appartamenti, alcuni spazi espositivi di porcellane e bronzi dorati:

DeCristoforis4Fu di recente eretta la Galleria e Cristoforis e porta il nome di una benemerita famiglia milanese, che distinta già nelle lettere e nelle scienze aggiunse con questo edificio nuovo lustro a Milano…settanta botteghe ed altrettanti magazzini superiori compongono la galleria oltre una spaziosa bottega da caffè al punto centrico dei bracci. Rimarchevoli sono i depositi delle porcellane lombarde del nobile Tinelli, e dei bronzi dorati di Aubry e Ronchi. Il fabbricato interno unito alla galleria comprende circa trenta appartamenti oltre il nuovo albergo Elvetico che gareggia nel lusso cogli altri primari, ma di fresca data, non ha ancora quella rinomanza che giustamente merita. [Guida di Milano in otto passeggiate, 1838. Nuova edizione Milano, Il Polifilo, 2005, pp.27-28].

La “spaziosa bottega” menzionata nella guida era il caffè del signor Teodoro Gottardi, la cui proprietà sarebbe passata alla metà dell’Ottocento a Baldassarre Gnocchi. In un album dal titolo Milano illustrata, risalente al 1850, il caffè Gnocchi era così descritto:

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Il Caffé Gnocchi in Galleria De Cristoforis in una stampa ottocentesca

Taluni siedono su gli scranni dell’elegante caffè che si affaccia di prospetto alla Galleria ed abbraccia tutte le sale dell’ala che mette alla contrada del Monte. Un tempo questo caffè era quasi deserto; ma ora mercé l’ottimo e decoroso servigio che somministra il Gnocchi, fa sì che da alcuni anni vedesi assai frequentato…le sale del caffè sono bene addobbate…qui crocchi di vecchi che parlano d’affari e d’antiche reminiscenze, là giovani che discorrono di novità, di avventure galanti, di matrimoni,di teatri, di cantanti, di ballerine…

Al Caffè Gnocchi si ritrovarono, negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia, i poeti del celebre sodalizio letterario della Scapigliatura: Emilio Praga, Eugenio Bermani, Luigi Conconi, Iginio Ugo Tarchetti.

Nei cento anni della sua esistenza (la galleria venne demolita negli anni Trenta del XIX secolo), molti negozi aprirono in questo elegante e riservato salottino milanese. Varrà la pena ricordare la profumeria Dunant, che attirava i visitatori con un’abile disposizione di specchi tesi a produrre riflessi bizzarri. Inoltre, tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento, nella galleria aprì la famosa libreria fondata da Ulrico Hoepli. A quell’epoca c’era anche un cinematografo, il Volta.

Cesare Cantù
Cesare Cantù (1804-1895)

Tornando alle origini della galleria De Cristoforis, occorre tener presente che la sua posizione, vicino a piazza San Babila, suscitò alcune perplessità nei contemporanei. Alcuni ritenevano opportuno costruire una galleria in posizione più centrale. Nei volumi Milano e il suo territorio pubblicati nel 1844 in occasione del congresso degli scienziati italiani, il celebre storico Cesare Cantù riteneva ad esempio che un passaggio coperto tra piazza del Duomo, via Santa Margherita e piazza San Fedele avrebbe attirato un maggior numero di visitatori rispetto alla galleria De Cristoforis, che appariva troppo defilata. Cantù espresse comunque i suoi apprezzamenti verso la nuova opera, simbolo di una Milano ricca e intraprendente:

Capitali, industria, coraggio sono tre elementi della prosperità materiale di un paese: e tutt’e tre potrebbero dirsi simboleggiati nella Galleria De Cristoforis, primo di tal genere in Italia, che una privata famiglia osò intraprendere a comodo ed ornamento della patria…

Avrebbe incontrato miglior fortuna se si fosse potuto collocare allato al Duomo, sicché mettesse in Santa Margherita con un braccio, coll’altro a San Fedele; ma la scelta dei luoghi non è sempre in arbitrio deg’intraprenditori, come la destinazione delle fabbriche fa dagli architetti sagrificar parte del bello.

Esternamente presentasi come un’ampia casa a tre piani, colla facciata adorna di stipiti marmorei, e di ferro fuso sì i fregi che il parapetto dei terrazzini, tre porte introducono ad un vestibolo quadrilungo, adornato dalle statue di Marco Polo, Flavio Gioia, Colombo e Vespucci, lavoro di Puttinati. Ne parte la via vetriata…che all’estremo dilatasi in un atrio ottagono, di fronte al quale s’apre un ben inteso caffè.

Ventitre anni dopo, il 15 settembre 1867, veniva inaugurata la Galleria Vittorio Emanuele II tra piazza Duomo e piazza della Scala: non era propriamente l’idea del Cantù ma l’opera architettonica, a pochi passi dalle vie che  aveva suggerito, sarebbe stata destinata a miglior fortuna. In breve tempo i negozi più esclusivi fecero a gara per stabilirsi nella nuova galleria mentre la vecchia decadeva lentamente ma inesorabilmente. E’ significativo che la guida in francese del 1906, pubblicata dal Comune per i turisti stranieri che accorrevano a Milano per l’Esposizione internazionale di quell’anno, dedicasse largo spazio alla nuova opera architettonica mentre era assente qualsiasi riferimento alla galleria De Cristoforis.

La nuova Galleria si discostava sensibilmente dalla sua “progenitrice” per le dimensioni imponenti della struttura, il cui stile obbediva a una finalità educativa tesa ad esaltare gli ideali politici dello Stato nazionale monarchico costituito nel 1861.  Questo sarà argomento per un altro articolo del Monitore.

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Il Freyung Passage a Vienna

Più semplice e dimesso, legato ai fini commerciali di una borghesia lombarda sensibile al decoro pubblico, era stato per converso lo spirito informatore con cui i fratelli De Cristoforis avevano costruito la loro galleria trent’anni prima. Un’opera che divenne in breve tempo uno degli esempi più significativi di passaggi coperti. Essa continuò ad influenzare in modi diversi l’architettura europea del XIX secolo: dalle Galeries Royales Saint Hubert di Bruxelles (1846) al Passage sulla Nevsky Prospekt di San Pietroburgo (1848). Occorre ricordare infine il Freyung Passage di Vienna, costruito nel 1860.