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“A comodo e ornamento” di Milano: la Galleria De Cristoforis

Nella prima metà dell’Ottocento le gallerie coperte, caratterizzate da eleganti soffitti in vetro, divennero frequenti in molte città europee. Erano passaggi che collegavano almeno due vie, al cui interno si affacciavano negozi, ristoranti, caffè, hotel. Milano, come ricorderò fra poco, non mancò di brillare con un’opera architettonica oggi purtroppo scomparsa.

Burlington Arcade
Burlington Arcade a Londra in una stampa ottocentesca

La prima galleria in vetro ad essere costruita fu la Burlington Arcade di Londra, opera dell’architetto Samuel Ware, tuttora esistente tra Piccadilly e Burlington Gardens, non molto distante da Buckingham Palace e Piccadilly Circus. Si tratta di un passaggio coperto che aprì al pubblico nel 1819 per iniziativa di Lord George Cavendish che aveva ereditato i terreni e le case della zona. Costruita per la vendita di gioielli e articoli esclusivi afferenti alla moda, la galleria è lunga 161 metri. In origine era costituita da 72 negozi distribuiti in due piani.

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Galierie Vivienne a Parigi

Pochi anni dopo, nel 1823, l’architetto Francois Jean Delannoy ricevette l’incarico di costruire una galleria vetrata nel centro di Parigi, a pochi passi dalla Borsa, dal Palazzo Reale e dai Grand Boulevards. Anche qui la finalità risiedeva essenzialmente nell’offrire alla nobiltà e alla ricca borghesia cittadina un punto esclusivo di ritrovo su cui si affacciassero negozi, ristoranti e i caffè più esclusivi. Anche questa galleria esiste ancora oggi. Gli ingressi sono da rue des Petit-Champs, rue de la Banque e rue Vivienne. La Galerie Marchoux, denominata poi Vivienne, è lunga 176 metri e larga appena tre.

La prima galleria coperta costruita a Milano, la Galleria De Cristoforis, presentava nella sua struttura alcune caratteristiche presenti nei casi appena richiamati; fu aperta nel 1832 su iniziativa dei fratelli Giovanni Battista e Vitaliano De Cristoforis che, acquistate le case poste tra gli isolati dell’ultimo tratto della corsia dei Servi (oggi corso Vittorio Emanuele II) e di via Monte Napoleone, intendevano donare alla città un monumento – come recitava l’iscrizione posta in uno dei tre ingressi – “a comodo ed ornamento della patria”. I lavori, affidati all’architetto Andrea Pizzala, furono condotti da 450 operai che li portarono a compimento entro l’anno. La galleria somigliava alla Galerie Vivienne di Parigi: lunga 110,67 metri, larga poco più di 4, aveva un ingresso da corsia dei Servi ove il passaggio si allungava in un lungo rettilineo fino a dividersi in due bracci: a sinistra verso via San Pietro all’Orto, a destra verso via Monte Napoleone. Come la londinese Burlington Arcade, anche la Galleria De Cristoforis ospitava una settantina di negozi.

L’estensore di una guida di Milano pubblicata nel 1838 informava i turisti che nella Galleria si trovavano un caffè, un lussuoso albergo, trenta appartamenti, alcuni spazi espositivi di porcellane e bronzi dorati:

DeCristoforis4Fu di recente eretta la Galleria e Cristoforis e porta il nome di una benemerita famiglia milanese, che distinta già nelle lettere e nelle scienze aggiunse con questo edificio nuovo lustro a Milano…settanta botteghe ed altrettanti magazzini superiori compongono la galleria oltre una spaziosa bottega da caffè al punto centrico dei bracci. Rimarchevoli sono i depositi delle porcellane lombarde del nobile Tinelli, e dei bronzi dorati di Aubry e Ronchi. Il fabbricato interno unito alla galleria comprende circa trenta appartamenti oltre il nuovo albergo Elvetico che gareggia nel lusso cogli altri primari, ma di fresca data, non ha ancora quella rinomanza che giustamente merita. [Guida di Milano in otto passeggiate, 1838. Nuova edizione Milano, Il Polifilo, 2005, pp.27-28].

La “spaziosa bottega” menzionata nella guida era il caffè del signor Teodoro Gottardi, la cui proprietà sarebbe passata alla metà dell’Ottocento a Baldassarre Gnocchi. In un album dal titolo Milano illustrata, risalente al 1850, il caffè Gnocchi era così descritto:

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Il Caffé Gnocchi in Galleria De Cristoforis in una stampa ottocentesca

Taluni siedono su gli scranni dell’elegante caffè che si affaccia di prospetto alla Galleria ed abbraccia tutte le sale dell’ala che mette alla contrada del Monte. Un tempo questo caffè era quasi deserto; ma ora mercé l’ottimo e decoroso servigio che somministra il Gnocchi, fa sì che da alcuni anni vedesi assai frequentato…le sale del caffè sono bene addobbate…qui crocchi di vecchi che parlano d’affari e d’antiche reminiscenze, là giovani che discorrono di novità, di avventure galanti, di matrimoni,di teatri, di cantanti, di ballerine…

Al Caffè Gnocchi si ritrovarono, negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia, i poeti del celebre sodalizio letterario della Scapigliatura: Emilio Praga, Eugenio Bermani, Luigi Conconi, Iginio Ugo Tarchetti.

Nei cento anni della sua esistenza (la galleria venne demolita negli anni Trenta del XIX secolo), molti negozi aprirono in questo elegante e riservato salottino milanese. Varrà la pena ricordare la profumeria Dunant, che attirava i visitatori con un’abile disposizione di specchi tesi a produrre riflessi bizzarri. Inoltre, tra la fine dell’Ottocento e il primo Novecento, nella galleria aprì la famosa libreria fondata da Ulrico Hoepli. A quell’epoca c’era anche un cinematografo, il Volta.

Cesare Cantù
Cesare Cantù (1804-1895)

Tornando alle origini della galleria De Cristoforis, occorre tener presente che la sua posizione, vicino a piazza San Babila, suscitò alcune perplessità nei contemporanei. Alcuni ritenevano opportuno costruire una galleria in posizione più centrale. Nei volumi Milano e il suo territorio pubblicati nel 1844 in occasione del congresso degli scienziati italiani, il celebre storico Cesare Cantù riteneva ad esempio che un passaggio coperto tra piazza del Duomo, via Santa Margherita e piazza San Fedele avrebbe attirato un maggior numero di visitatori rispetto alla galleria De Cristoforis, che appariva troppo defilata. Cantù espresse comunque i suoi apprezzamenti verso la nuova opera, simbolo di una Milano ricca e intraprendente:

Capitali, industria, coraggio sono tre elementi della prosperità materiale di un paese: e tutt’e tre potrebbero dirsi simboleggiati nella Galleria De Cristoforis, primo di tal genere in Italia, che una privata famiglia osò intraprendere a comodo ed ornamento della patria…

Avrebbe incontrato miglior fortuna se si fosse potuto collocare allato al Duomo, sicché mettesse in Santa Margherita con un braccio, coll’altro a San Fedele; ma la scelta dei luoghi non è sempre in arbitrio deg’intraprenditori, come la destinazione delle fabbriche fa dagli architetti sagrificar parte del bello.

Esternamente presentasi come un’ampia casa a tre piani, colla facciata adorna di stipiti marmorei, e di ferro fuso sì i fregi che il parapetto dei terrazzini, tre porte introducono ad un vestibolo quadrilungo, adornato dalle statue di Marco Polo, Flavio Gioia, Colombo e Vespucci, lavoro di Puttinati. Ne parte la via vetriata…che all’estremo dilatasi in un atrio ottagono, di fronte al quale s’apre un ben inteso caffè.

Ventitre anni dopo, il 15 settembre 1867, veniva inaugurata la Galleria Vittorio Emanuele II tra piazza Duomo e piazza della Scala: non era propriamente l’idea del Cantù ma l’opera architettonica, a pochi passi dalle vie che  aveva suggerito, sarebbe stata destinata a miglior fortuna. In breve tempo i negozi più esclusivi fecero a gara per stabilirsi nella nuova galleria mentre la vecchia decadeva lentamente ma inesorabilmente. E’ significativo che la guida in francese del 1906, pubblicata dal Comune per i turisti stranieri che accorrevano a Milano per l’Esposizione internazionale di quell’anno, dedicasse largo spazio alla nuova opera architettonica mentre era assente qualsiasi riferimento alla galleria De Cristoforis.

La nuova Galleria si discostava sensibilmente dalla sua “progenitrice” per le dimensioni imponenti della struttura, il cui stile obbediva a una finalità educativa tesa ad esaltare gli ideali politici dello Stato nazionale monarchico costituito nel 1861.  Questo sarà argomento per un altro articolo del Monitore.

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Il Freyung Passage a Vienna

Più semplice e dimesso, legato ai fini commerciali di una borghesia lombarda sensibile al decoro pubblico, era stato per converso lo spirito informatore con cui i fratelli De Cristoforis avevano costruito la loro galleria trent’anni prima. Un’opera che divenne in breve tempo uno degli esempi più significativi di passaggi coperti. Essa continuò ad influenzare in modi diversi l’architettura europea del XIX secolo: dalle Galeries Royales Saint Hubert di Bruxelles (1846) al Passage sulla Nevsky Prospekt di San Pietroburgo (1848). Occorre ricordare infine il Freyung Passage di Vienna, costruito nel 1860.

20 maggio 1930: apre il planetario di Porta Venezia

Chi arriva in corso Venezia da corso Buenos Aires, trova sulla destra i giardini pubblici. Costruiti negli anni Ottanta del Settecento dall’architetto Giuseppe Piermarini sui terreni dell’ex monastero di Santa Maria Addolorata  – chiamato monastero “delle Carcanine” dal nome del fondatore, Giovanni Pietro Carcano –  e della chiesa di San Dionigi, i giardini vennero ingranditi nel 1856 ad opera dell’ingegnere Giuseppe Balzaretto: questi procedette all’unione della proprietà Dugnani, facendo della vasta area un parco in stile inglese caratterizzato da cascate, dirupi, laghetti, grotte. A proposito della chiesa di San Dionigi, ove si trovava la pietra misteriosa di San Barnaba , clicca qui se vuoi saperne di più! 😉

Oggi i giardini pubblici sono uno dei principali parchi di Milano con una superficie di 177.000 metri quadrati: uno spazio considerevole in cui i milanesi possono trascorrere il tempo libero camminando tra gli alberi, i prati e gli ameni viottoli. E’ un luogo di relax e divertimento per molte famiglie. Nel weekend (e non solo…) il parco si popola di tanti amanti della corsa. Inoltre, durante la settimana, è frequentato nelle ore di punta dagli impiegati che lavorano nel quartiere (zona via Senato, via Marina, via Fatebenefratelli, via Manin, via Turati..): li trovi ai giardini mentre mangiano un panino in pausa pranzo.

Nel luogo ove era il chiostro delle Carcanine si trova il Museo civico di storia naturale. Oggi mi soffermerò però su un altro edificio situato all’interno del parco: il planetario. La scelta non è casuale perché il 20 maggio di ottantacinque anni fa, nel 1930, la palazzina veniva inaugurata alla presenza del Duce in persona.

Benito Mussolini inaugura il Planetario
Benito Mussolini inaugura il Planetario, 20 maggio 1930

Come fu resa possibile la costruzione del planetario? La presenza delle autorità fasciste non deve indurci a considerazioni semplicistiche. Gli uomini che resero possibile questo progetto furono eminenti personalità della classe dirigente milanese. Convissero con il fascismo come larga parte della popolazione italiana, costretta a rinunciare alle libertà politiche e civili pur di continuare a lavorare in patria.

Il finanziatore del planetario fu l’editore e libraio di origine svizzera Ulrico Hoepli (1847-1935). Superati gli ottant’anni, giunto a un’età in cui si è soliti tirare i remi in barca, l’editore si dedicò ad iniziative filantropiche che fossero utili al progresso della società. Con quest’opera volle rendere omaggio a quella che era divenuta la sua “patria di adozione”, la “generosa Milano” come definì la città ambrosiana in un intervento letto il giorno dell’inaugurazione.

Hoepli si dimostrò un infaticabile promotore della vita culturale cittadina. Amava Milano perché le doveva molto: qui tentò la sorte come emigrato, qui fece fortuna lavorando sodo come libraio ed editore, qui allargò i suoi orizzonti entrando in contatto con i maggiori uomini di cultura. Del tutto indicativo, a tal proposito, il rapporto di Hoepli con il noto astronomo Giovanni Virginio Schiaparelli (1835-1910), le cui opere furono pubblicate dalla sua casa editrice a partire dal 1929. Per inciso gli Schiaparelli, un’importante famiglia della borghesia italiana tra Otto e Novecento, diedero al Paese noti scienziati e uomini di cultura: dal professor Ernesto Schiaparelli (1856-1928), cugino di Giovanni Virginio, egittologo, studioso di formazione cattolico liberale, a Luigi Schiaparelli (1871-1934), insigne paleografo e medioevalista.

La costruzione del planetario si poneva quindi in un progetto teso non solo ad abbellire la città, ma anche a favorire presso la cittadinanza la diffusione delle scoperte scientifiche in campo astronomico. Milano non era certo nuova all’astronomia. L’Osservatorio astronomico di Brera, costruito dal matematico Ruggero Boscovich nel 1764, negli anni in cui la Lombardia si trovò sotto il governo dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, continuava ad essere un’istituzione prestigiosa. Nell’Italia del primo Novecento si faceva sentire tuttavia la mancanza di uno strumento d’avanguardia che fosse in grado di proiettare su un muro circolare le figure dei pianeti e delle stelle. Varrà la pena ricordare che nella Germania di Weimar, il paese più progredito nel campo delle scienze sperimentali, tra il 1926 e il 1928 furono costruiti planetari a Lipsia, Dusseldorf, Jena, Dresda, Hannover, Mannheim.

L’Italia non poteva essere da meno. I lavori per la costruzione del planetario milanese furono affidati a Piero Portaluppi (1888-1967). Questi scelse i giardini di Porta Venezia perché i cittadini, entrando nel parco, lasciando per un attimo gli affanni del lavoro, potessero riposare la mente nell’assistere alla proiezione dei pianeti.

Così Portaluppi spiegava le ragioni che lo avevano spinto a costruire il planetario all’interno dei giardini pubblici:

Planetario in costruzione
Il Planetario in costruzione

Non era troppo facile cosa trovare in Milano la località adatta per costruirvi un planetario, una località che fosse inclusa nell’organismo della metropoli e in pari tempo appartata; scoprire quasi una zona di raccoglimento ai margini stessi della vita cittadina che mettesse in grado chiunque, non importa di quale classe sociale, di dimenticare per poco la febbre che spinge ciascuno di noi alla rincorsa folle di un suo particolare tormento e di lanciare il proprio pensiero…in scorribande incommensurabili dietro il pellegrinare delle stelle.

E il problema sembra risolto con la scelta di quel tratto di pubblico giardino folto di alberi posto verso Corso Venezia tra papà Stoppani [si riferisce al vicino Museo di Storia Naturale] e l’erma [statua] di Mosé Bianchi [pittore]; nel centro stesso di Milano, a due passi da un’arteria ampia e rumorosa in mezzo alla folla, e pur solitaria sotto la volta verdeggiante degli ippocastani antichi, si eleva la volta ridotta dei cieli.

I lavori, iniziati nel luglio 1929, durarono quasi un anno. All’interno del planetario fu posizionato uno strumento ottico di marca rigorosamente germanica: Zeiss modello II.

Planetario 1929L’edificio disegnato da Portaluppi è tuttora visitabile. Si caratterizza per la classicità delle forme architettoniche. La facciata, costituita da un colonnato con timpano triangolare sul modello dei templi antichi, è preceduta da un’ampia scalinata. La cupola è inglobata in uno stabile a pianta ottagonale le cui brevi facciate, come spiegò lo stesso Portaluppi in un suo intervento pubblicato nel 1930, “sembrano sgattaiolare tra i vecchi tronchi [dei giardini]  sfiorandoli senza urtare uno solo”.

La Società Svizzera: astro dell’associazionismo milanese di fine ‘800

Negli anni Ottanta del XIX secolo Milano vide il fiorire di molte associazioni attive nel campo della cultura, dello sport, della scienza. Questo fenomeno fu dovuto sostanzialmente a due ragioni. La prima si legava alla libertà di associazione garantita dall’articolo 32 dello Statuto Albertino, la Costituzione del Regno d’Italia sabaudo estesa alla Lombardia nel 1859: esso riconosceva il diritto di riunione in luoghi chiusi anche se questo era vincolato alla preventiva autorizzazione del governo. I milanesi poterono disporre in tal modo di un margine di libertà che trent’anni prima, sotto il dominio austriaco, sarebbe stato inimmaginabile.

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Apertura della ferrovia del San Gottardo (23 maggio 1882) da “Centotrentanni della Società Svizzera di Milano”, a cura di Renata Broggini, Jean Pierre Hardegger, Marino Viganò, Hoepli-Seb editrice 2013

L’aumento del fenomeno associativo era dovuto in secondo luogo al proliferare di una classe piccolo borghese bisognosa di spazi in cui condividere i propri hobby. A ben vedere, la formazione di società di questo tipo non riguardava solo i milanesi ma anche i tanti stranieri che, stabiliti a Milano per ragioni di lavoro, desideravano ritrovarsi nel tempo libero e condividere l’amore per la patria lontana. La Società Svizzera di Milano costituiva a tal proposito un caso emblematico. Fondata il 15 dicembre 1883, riuniva al suo interno le associazioni elvetiche esistenti in città. La data di nascita non fu casuale: il sodalizio nasceva infatti per aiutare i cittadini della Confederazione che, in seguito all’apertura della linea ferroviaria del San Gottardo (1882), giungevano numerosi a Milano dai cantoni di lingua tedesca in cerca di lavoro.

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Il volume pubblicato dalla Società Svizzera di Milano

L’anno scorso la Società Svizzera ha pubblicato un bel volume per festeggiare i 130 anni della sua attività. Il libro, Centotrentanni della Società Svizzera di Milano 1883-2013 (curato da Renata Broggini, Jean Pierre Hardegger e Marino Viganò, Hoepli-Seb Editrice 2013) prende in esame la storia del sodalizio mediante il ricorso ai preziosi documenti conservati dalla Società.

Ulrico Hoepli
Ulrico Hoepli

Tra i primi soci troviamo i nomi di tante personalità che diedero lustro a Milano. E’ il caso soprattutto di Ulrico Hoepli, presidente della Società Svizzera dal 1886 al 1889, fondatore della celebre libreria oggi in piazzale Meda. Originario del villaggio di Tuttwill (nel cantone di Turgovia), giunse a Milano all’età di 23 anni. Fissata la prima attività nel campo editoriale in Galleria De Cristoforis, Hoepli divenne famoso per aver fondato l’omonima casa editrice che pubblicò una fortunata serie di manuali nei più svariati campi delle scienze e delle arti.

Fu Hoepli a trovare i primi locali alla Società Svizzera: quattro stanze prese in affitto in via Silvio Pellico 6 con vista su piazza del Duomo. Qui il sodalizio tenne le riunioni dal 1886 al 1914, quando l’aumento dei soci rese necessario l’acquisto di una casa in via Disciplini 11, nel sestiere di Porta Ticinese. Il trasferimento nel nuovo stabile fu però contrastato. Oggi via Disciplini è una tranquilla strada del centro la cui importanza si collega al suo tracciato peculiare: assieme alla parallela via Cornaggia, essa infatti mostra tuttora alcuni ruderi delle antiche mura romane. La situazione era ben diversa nei primi anni del Novecento: l’isolato faceva discutere perché di fronte all’edificio acquistato dalla Società Svizzera si trovava una casa di tolleranza la cui fama non era certo legata a iniziative nel campo dello sport o della cultura. La decisione di trasferirsi in quella via provocò quindi un certo disaccordo tra i membri del sodalizio, sollevando polemiche che culminarono nell’abbandono di 30 soci. La Società Svizzera seppe tuttavia guadagnarsi nel tempo la simpatia dei milanesi, dando vita a tante iniziative che contribuirono a migliorare le condizioni dell’isolato.

La bandiera del "Mannerchor", 1887 da "Centrotrentanni della Società Svizzera di Milano"
La bandiera del “Mannerchor”, 1887 da “Centrotrentanni della Società Svizzera di Milano”

Negli anni Venti e Trenta la Società Svizzera era formata dalle Sezioni più antiche: il gruppo dello Schweizer Gesangverein (esistente dal 1869) riuniva i cultori dei canti patriottici immersi nell’atmosfera romantica di Friedrich Schiller e Wilhelm Tell. Gli appassionati del gioco dei birilli o Kegelspiel (dal 1875) contribuirono a far conoscere ai milanesi uno sport tipico della Svizzera che può essere considerato – nonostante alcune differenze nel regolamento di gioco – l’antenato del bowling britannico. V’era poi la Sezione Ginnasti (1874) che riuniva giovani sportivi legati in amicizia con la milanese “Forza e Coraggio”. La sezione Tiratori (1889) consentì di mantenere vivo a Milano l’amore per un altro sport di origine svizzera. Nel 1914 venne costituita la Sezione Signore su iniziativa di Sophie Vonwiller: nata poco dopo lo scoppio della Grande Guerra, questa sezione procurò il vestiario ai soldati in partenza per il fronte.

La Società Svizzera ebbe sede in via Disciplini fino alla seconda guerra mondiale, quando i bombardamenti spinsero il sodalizio a cercare un altro edificio. Nel 1951, grazie al sostegno della Confederazione, venne inaugurata la parte bassa dell’attuale sede in piazza Cavour. Si tratta di un complesso imponente, costruito dagli architetti Armin Meili di Zurigo (1892-1981) e Giovanni Romano (1905-1990) per ospitare le istituzioni elvetiche: oltre alla Società Svizzera, vi hanno sede oggi il Consolato generale, la Camera di Commercio e l’Ufficio nazionale svizzero del turismo. Nel 1952 venne ultimata la torre tra piazza Cavour e via del Vecchio Politecnico: un edificio di 20 piani, alto 78 metri, che costituiva a quell’epoca il più alto grattacielo di Milano.