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Gaetano Negri: un ateo affascinato dalla fede

In un articolo scritto l’anno scorso ho tracciato una breve biografia di Gaetano Negri, il “sindaco della micca” che amministrò Milano dal 1884 al 1889.

Oggi desidero soffermarmi su un lato poco conosciuto della vita di Negri: la sua cultura in campo scientifico, filosofico e letterario. Il “sindaco della micca” non era credente. La sua formazione rifletteva quella di una parte significativa della borghesia liberale che, formatasi nello scontro tra cattolicesimo romano e Stato nazionale negli anni dell’unificazione, aveva poi recepito le teorie materialiste e positiviste diffuse nell’Europa di fine Ottocento. La critica al dogma religioso era spinta fino alla negazione della fede e all’affermazione della sostanziale inconciliabilità tra scienza e fede.

Il senatore Gaetano Negri
Gaetano Negri  (1838-1902)

Negli anni Settanta Negri pubblicò alcuni saggi ove mostrava quale fosse il suo pensiero su questi temi della cultura europea, opere che gli guadagnarono una certa popolarità nella Milano laica di fine Ottocento. Esse riflettevano un pensiero attratto dalle teorie darwiniane sull’evoluzionismo, ma anche dal fascino che sulle giovani generazioni operavano testi informati al metodo del razionalismo critico quali la Vita di Gesù di Ernesto Renan o quella omonima di David Friedrich Strauss. Nel saggio La crisi religiosa pubblicato nel 1877, Negri notava il ruolo fondamentale che la riforma luterana aveva esercitato per la promozione in Europa di maggiori spazi di libertà nel pensiero, ravvisando in essa – con un giudizio un po’ semplicistico – l’iniziatrice della civiltà moderna. In un passo di quest’opera Negri mostrava quelle che a suo giudizio erano le ragioni dell’inconciliabilità del cristianesimo con il mondo moderno. A suo giudizio, la parola di Gesù era informata a un sostanziale pessimismo nei confronti della vita terrena, il che lo portava a concludere che il mondo moderno, spinto al contrario da una forza operosa tesa a cambiare le cose del mondo per migliorarle in un’ottica di perfettibilità umana, non poteva conciliarsi con una religione che riduceva l’importanza della vita terrena in vista della vita nell’aldilà. In queste sue considerazioni traspariva la fede positivista nel progresso e quella mentalità di fine Ottocento che, informata alle teorie darwiniane, concepiva l’esistenza come una lotta feroce in cui i migliori si affermano con la forza e consentono alla specie umana di evolvere in un mondo in perenne divenire. Scriveva Negri:

Se la società seguisse letteralmente i precetti e l’esempio di Gesù, essa ricadrebbe nella più spaventosa barbarie. Se ha progredito e progredisce tanto, ciò avviene in grazia di un precetto assolutamente opposto…cioè che il mondo è fine a se stesso, che l’uomo è l’artefice della realizzazione del proprio ideale, che i mezzi di cui egli, nella sua vita, può disporre a questo scopo, non sono né riprovevoli né disprezzabili, ma anzi preziosissimi, pur ch’ei sappia adoperarli al raggiungimento della meta che non deve perdere di vista. Sono cose sacre la famiglia, il lavoro, la proprietà, la ricchezza, lo studio, perché tutti strumenti che rendono l’uomo più potente, che cooperano al raggiungimento dello scopo principale della vita, che è quello di rendere l’intelligenza dominatrice assoluta della forze della natura.

[G. Negri, La crisi religiosa, Milano, Dumolard 1878, seconda edizione, pag.116]

La sua interpretazione riduttiva del cristianesimo era influenzata dalla giovanile adesione alle teorie del laicismo, del positivismo e dell’evoluzionismo. Negri non riusciva a comprendere il ruolo fondamentale che il Vangelo assegna all’uomo nella vita terrena; l’uomo che, agendo con libertà e responsabilità, opera per migliorare il mondo servendo Dio per la salvezza eterna.

Eppure, nonostante l’ateismo lo portasse a negare in via assoluta l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima, egli restava attratto dalle celebrazioni religiose lasciando trasparire un irresistibile affetto per le tradizioni cristiane, per l’umile atto della preghiera compiuta dai fedeli. Sembrava che in questi passi Negri avesse abbandonato il freddo ragionare del filosofo materialista per vestire i panni dell’uomo spirituale, attratto dalla semplicità degli umili credenti:

Ogni uomo che abbia l’animo gentile, di qualunque opinione egli sia, non può che nutrire una simpatia profonda per tutti coloro che praticano un culto con la fede accesa di un ingenuo credente, perché si sente di affratellarsi a loro, se non nella forma, nell’essenza almeno delle loro aspirazioni. Oh canti delle litanie nella chiesa del villaggio, ombre tranquille delle nostre cattedrali, profumi dell’incenso! Oh cerimonie sacre! Voi avete perduto ogni valore per la mia mente, eppure, nel ripensarvi, mi si rimescola il cuore e mi accorgo che il sentimento che v’ispira è qui nell’animo mio e gli impenna le ali. E quando vedo un bambino che, con le mani giunte innalza la sua candida preghiera, una madre inginocchiata alla culla, una donna accasciata dal dolore e prostrata a un altare, sento di esser davanti a qualche cosa di sacro e piego riverente il capo, e mi abbandono a visioni, a speranze infinite.

[G. Negri, La crisi religiosa…cit., pag.168]

Il Negri viveva un conflitto interiore tra ragione e sentimento, tra una cultura che l’adesione alle teorie positiviste aveva spinto all’ateismo e una sensibilità dell’animo che lo spingeva a nutrire sentimenti d’affetto verso il culto religioso.

Desidero soffermarmi in questa sede sul forte legame che unì Negri al celebre scrittore Antonio Fogazzaro, uomo credente, animato da una profonda fede in Dio, persuaso come altri cattolici quali Tommaso Gallarati Scotti, monsignor Bonomelli, padre Gazzola che scienza e fede fossero due realtà conciliabili tra loro, la prima aiutando l’uomo a conoscere in profondità quel libro della vita la cui causa ultima risiede nel mistero di Dio.

Fogazzaro
Antonio Fogazzaro (1842-1911)

Gaetano Negri conobbe il Fogazzaro nel 1888 durante una gita in alta montagna, nei pressi di San Bernardino. La loro fu un’amicizia profonda, resa ancor più forte dall’ammirazione di Negri per le opere letterarie dello scrittore vicentino: basti ricordare ad esempio Piccolo mondo antico, un romanzo che ebbe uno straordinario successo nell’Italia di fine Ottocento. Tra i due restava però la distanza nel modo di concepire la religione e la scienza: il Fogazzaro si sforzava di ridurre quella distanza nella speranza che l’amico potesse trovare quella Fede che illumina il sentiero della vita dando un senso alla fragile condizione umana. Il Negri, che negli anni Novanta si era ritirato dalla vita politica (nonostante la sua nomina a senatore del Regno) ed era tornato a coltivare i suoi studi, quantunque avesse abbandonato certe posizioni radicali, constatava la sua incapacità di credere in una religione basata sui dogmi. Nel 1897 l’ex sindaco di Milano pubblicò un libro, Meditazioni vagabonde, in cui raccoglieva alcuni saggi di svariato argomento: dopo aver rilevato il tramonto delle teorie scientiste e il rinascere di correnti idealiste e spiritualiste in quell’ultimo decennio dell’Ottocento, Negri tornava a ribadire la sua posizione recisamente contraria a riconoscere l’esistenza di Dio. Il Fogazzaro, dopo aver letto il libro, gli rispose confessando un giudizio che lasciava trasparire l’affetto e al contempo la sua preoccupazione per un testo “il più potente, il più desolante, il più commovente, il più crudele… che abbiate scritto”. Pubblicando nel 1898 un saggio su Lucrezio, Negri illustrava una concezione informata a un panteismo cosmico che non si spingeva oltre l’ipotesi del permanere di una “coscienza” dopo la morte, non però “come esistenza distinta” ma come “sua partecipazione all’essere infinito che in essa rientra e in cui tutto si comprende e si confonde”. Anche in questo caso il Fogazzaro, dopo aver letto il saggio, scrisse a Negri confessandogli la sua fiducia ostinata in una conversione, anche se gli appariva impossibile date le ferme convinzioni dell’amico:

L’ho letto con particolare interesse perché vi amo ambedue, voi e Lucrezio. L’ho letto con ammirazione perché l’avete scritto voi. Se dicessi ora che l’ho letto anche con piacere, voi lo sapete bene, mentirei. Voi direte che ho torto di aspettare da voi parole diverse dalle idee vostre; ma io sono un stupido che da ragazzo ho riletto cento volte il racconto della battaglia di Waterloo sperando sempre che una volta o l’altra vi avrei trovato alla fine la vittoria del mio eroe. Ohimé, aveo quod abest, per dirla lucreazianamente.

[Antonio Fogazzaro a Gaetano Negri, 5 novembre 1898]

Due amici, come si può agevolmente vedere, stretti da forti legami ma separati da due modi diversi di concepire la vita e il mondo. Negri amava la letteratura. I romanzi di Fogazzaro gli restituivano quella pace interiore di cui sentiva troppo spesso la mancanza nel suo animo. Nel 1898 l’autore di Piccolo mondo antico, pubblicò un volumetto, intitolato Ascensioni umane, in cui erano raccolti i testi di alcuni interventi tesi a mostrare come i concetti dell’immortalità dell’anima, di un Dio creatore, del libero arbitrio non fossero in contrasto con la teoria dell’evoluzione. Nella prefazione al volume, il Fogazzaro rivelava la sua fede in un Dio creatore che, agendo con intelligenza e Amore, ha creato il mondo affidando all’uomo la responsabilità di operare per il bene nel breve tempo della vita terrena. In questa prefazione il poeta illustrava il suo pensiero lasciando trasparire la forza del sentimento religioso che lo animava, spinto dall’umile volontà di mostrare la piena conciliabilità tra scienza e religione. Riflessioni accorate, scritte con animo sincero, che non mancarono di colpire nel profondo l’amico milanese, facendo nuovamente trapelare quel conflitto interiore tra ragione e sentimento che ho accennato poco sopra. Così scriveva Negri a Fogazzaro in una bella lettera dell’8 novembre 1898:

Finisco ora di leggere il Proemio delle Ascensioni umane, un titolo suggestivo per eccellenza e che ben si adatta al vostro libro. Voi mi dite che non avete ali. Perdonatemi se vi rispondo che voi non potete credere a quello che mi dite, poiché voi sapete che, le ali, le avete, e potenti, tanto è vero che il vostro proemio è una prosa tanto alata da non esserci nessun bisogno di metterla in versi perché sia poesia squisita. E la poesia ha questo gran vantaggio che gli uomini ci si possono trovar d’accordo, anche se in prosa hanno qualche idea diversa. Io non direi che la vostra parola ardente e commossa abbia sciolto le difficoltà razionali, per me insuperabili, che mi presenta l’idea del soprannaturale, applicate al problema della creazione o dell’altro dell’esistenza del male. Ma, intanto, l’onda armoniosa del vostro spirito desta una vibrazione simpatica nel mio, e quel soprannaturale a cui la mia ragione si ribella, voi me lo fate sentire.

Un conflitto interiore, quello del Negri, alle cui origini v’era forse stata la mancanza di un’attenta riflessione interiore. Come poteva negare recisamente l’esistenza di Dio un uomo la cui ragione era in grado di pensarlo ammettendone l’esistenza in ipotesi? V’era però un’altra contraddizione che era alla radice del suo pensiero: come poteva rifiutare l’esistenza dell’Assoluto e allo stesso tempo professare un ateismo assoluto, non soggetto ad essere messo in discussione? L’Assoluto, negato alle origini in via aprioristica, tornava ad affacciarsi dalla finestra del libero pensiero nell’atto stesso in cui lo enunciava, riflettendo il mai sopito anelito umano a scoprire la causa ultima dell’esistenza. Negri fu probabilmente incapace di rispondere a queste domande con animo sereno. Il Fogazzaro non riuscì a convincerlo. Eppure, nonostante la distanza che restava tra di loro, in una lettera dell’8 dicembre 1895, lo scrittore vicentino faceva notare all’amico come anche in lui vi fosse il segno dell’assoluto: “La verità è che l’Assoluto è nel vostro cuore, nella vostra onesta coscienza, nella vostra nobile vita e beati coloro che riconoscono l’assoluto così. Esso è pure in qualche modo, malgrado Voi stesso, nella vostra mente perché le vostre affermazioni, le vostre negazioni finali devono pur avere un carattere assoluto”.

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Pagina del Secolo illustrato che riporta la notizia della  morte di Gaetano Negri in un bosco presso Varazze.

Alla morte di Negri, avvenuta il 31 luglio 1902 in seguito a una fatale caduta durante una camminata nei boschi di Varazze, Fogazzaro scrisse il giorno dopo sul “Corriere della Sera” un ricordo commosso dell’amico ricordando l’onestà, la dirittura morale, la fine intelligenza orientata sempre alla ricerca del “vero e del bene”. Nonostante i limiti del suo pensiero gli avessero impedito di accettare razionalmente l’esistenza di Dio, possiamo dire che Negri, grazie all’amicizia del Fogazzaro, avesse sentito nel profondo del suo animo il sentimento della fede religiosa:

…l’onda armoniosa del vostro spirito desta una vibrazione simpatica nel mio, e quel soprannaturale a cui la mia ragione si ribella, voi me lo fate sentire…