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Banca d’Italia: Lombardia in (lenta) ripresa nel 2015

Quando si afferma che la crisi ha segnato profondamente l’economia italiana, che non siamo ancora usciti dal tunnel, che la ripresa è minima, bisogna riconoscere che ci si muove spesso su percezioni della realtà settoriali, su impressioni che spesso ricaviamo dalle nostre relazioni o dalla conoscenza di alcuni eventi specifici di cui siamo venuti a conoscenza: l’azienda che chiude o licenzia, i giovani laureati che vanno all’estero, il flebile aumento del Pil previsto per quest’anno.

Qual è la situazione effettiva? Il Paese è in ripresa oppure è vero quello che si dice da più parti, ossia che arranchiamo ancora nella crisi? Uno sguardo sull’economia della Lombardia, conosciuta come la locomotiva del Paese, può forse aiutarci a capire di più.  Uno studio di Banca d’Italia apparso nel bollettino n.3/giugno 2016 dedicato alle analisi regionali fornisce un quadro definito su quanto avvenuto nell’anno passato.

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A sinistra, il palazzo della Banca d’Italia a Milano in via Cordusio 5 in una vecchia cartolina

I dati disponibili, relativi al 2015, confermano una ripresa per l’economia lombarda, il cui Pil è cresciuto dell’1,1%. Rispetto al dato nazionale, che è dello 0,8%, si tratta però di un aumento tenue.

Le aziende manifatturiere hanno registrato una crescita di fatturato che si è consolidata rispetto all’anno precedente. Su un campione di quasi 360 imprese industriali con almeno 20 addetti, il fatturato a prezzi costanti è aumentato del 3,3% rispetto al 2014, quando si era attestato a +0,7%. La produzione industriale è cresciuta nel 2015 dell’1,5% confermando il dato dell’anno precedente. Si tratta di un risultato positivo ma ancora insufficiente per recuperare il livello pre-crisi: basti ricordare a tal proposito che l’indice della produzione industriale è ancora sotto di 9 punti percentuali rispetto al picco del terzo trimestre 2007. Insomma, c’è ancora molta strada da fare per tornare ad essere competitivi.

I comparti che hanno registrato i migliori incrementi di fatturato nel 2015 hanno interessato le imprese del settore della gomma, dei mezzi di trasporto e della meccanica. In Lombardia – come nel resto del Paese – la crisi ha operato tuttavia una selezione feroce. Le aziende in difficoltà sono quelle che operano nei comparti tradizionali, che non sono riuscite ad innovare a sufficienza: operano nei settori dell’abbigliamento e del tessile, nel comparto dei minerali non metalliferi, ove è impiegata metà della forza lavoro totale nella manifattura.

Le imprese che son riuscite a resistere e ad espandersi guadagnando nuovi mercati sono invece quelle che hanno saputo investire in ricerca e sviluppo, aggiornando soprattutto i sistemi informatici e quelli di automazione. Molte di queste aziende usa sistemi quali internet mobile e Cloud, spesso introdotti da più di due anni. Le imprese che hanno mostrato maggiore vitalità sono quelle specializzate nel settore high-tech, situate in larga parte nella Città metropolitana di Milano e nella provincia di Monza e Brianza: si tratta in molti casi di aziende attive nel campo dei medicinali e della farmaceutica che danno lavoro a 20.000 persone. Si è stimato che per queste aziende il fatturato è cresciuto del 24,2% tra il 2007 e il 2014, registrando le migliori performance nel settore manifatturiero. Le vendite all’estero sono cresciute qui del 19,3% tra il 2013 e il 2014.

Incrementi positivi nel fatturato – ma ancora deboli – si sono registrati invece, secondo Banca d’Italia, nei settori industriali caratterizzati da una produzione a tecnologia medio bassa: ad esempio le aziende attive nella lavorazione dei metalli, dei prodotti chimici e della plastica. Il fatturato del 2014 è in questo caso lievemente superiore rispetto a quello del 2007 .

Dallo studio di Banca d’Italia emergono inoltre due dati importanti. Il primo si lega al mercato immobiliare, che nel 2015 è tornato ad espandersi dopo anni di contrazione. Il numero delle compravendite è aumentato del 9% ma resta ancora lontano dai livelli pre-crisi del 2006.

Expo 2015Il secondo dato verte sul terziario, che nell’anno preso in esame ha registrato una netta ripresa, soprattutto grazie ad Expo 2015. L’affluenza dei visitatori  nei sei mesi di apertura è stata pari a 21,5 milioni di persone. Le strutture alberghiere di Milano hanno registrato un aumento di clientela del 17,8% nel 2015, mentre in Lombardia è stato del 9,2%. Banca d’Italia – che cita in proposito l’indagine Travel condotta da Unioncamere Lombardia, CERST e Regione Lombardia – stima che i visitatori italiani hanno speso mediamente 150-200 euro pro-capite, mentre gli stranieri 250-300 euro. Relativamente a questi ultimi, si è stimato che un terzo è giunto in Italia appositamente per Expo, dedicando ad esso quasi quattro giorni di visita; il resto della permanenza in Italia ha premiato le principali città d’arte italiane: Venezia, Firenze, Roma. Expo ha quindi svolto una funzione di traino per la crescita del turismo in Italia. Gli stranieri hanno concentrato le loro spese nella Città metropolitana di Milano per una percentuale attestata sul 69,6%: a dimostrazione che l’Esposizione Universale ha contribuito in misura notevole alla crescita del turismo a Milano nel 2015.

Dal focus di Banca d’Italia emerge inoltre il grande ruolo che Expo 2015 ha avuto nell’economia lombarda: le imprese della regione si sono aggiudicate gli appalti nel 21% dei casi per la costruzione del sito (588 milioni di euro: fonte OpenExpo) e nel 52% per la fornitura di beni e servizi (216,5 milioni).

Nel sito della Esposizione Universale, ben collegato con Milano sul piano dei mezzi di trasporto, si pensa nei prossimi mesi di costruire Human Technopole, un parco tecnologico dotato di sette centri di ricerca attivi nei campi della genomica, della scienza dei dati, dei modelli computazionali, delle valutazioni di impatto sociale, delle nanotecnologie; un parco che potrebbe dare lavoro a più di 1500 addetti. Si tratta di un tema importante per Milano che dovrà essere affrontato dal prossimo sindaco, chiunque vinca le elezioni.

Rilanciare la manifattura per far decollare l’Italia

Come può l’Italia tornare a crescere in questo 2015? Nell’interessante convegno organizzato ieri dal Centro Studi Grande Milano presso il Palazzo dei Giureconsulti di via Mercanti è emersa la convinzione che il Paese può ripartire puntando sul manifatturiero.

Ford Electric Car Plant Builds Electric Focus And Hybrid VehiclesSpesso sentiamo dire che l’Italia potrà riprendersi agendo a sostegno della cultura o del turismo. Vero. Ma pensiamoci bene: cosa rende il nostro Paese una delle economie più avanzate al mondo nonostante la crisi? Un ruolo importante è rivestito dalle piccole e medie imprese del manifatturiero, che in questo settore fanno ancora guadagnare all’Italia il secondo posto nella classifica europea dopo la Germania. Tale patrimonio imprenditoriale non può essere disperso, deve essere posto nelle condizioni di crescere. Oggi la manifattura costituisce nel complesso il 15% del Pil.  Gli imprenditori italiani, presenti in gran numero alla convention, hanno sostenuto l’esigenza di portare il manifatturiero al 20% del Pil. Un compito assai difficile. Sappiamo infatti che le condizioni per fare impresa in Italia sono oggi difficili. Il livello di tassazione resta eccessivamente elevato. Come uscirne? Interessanti le relazioni presentate al convegno presieduto da Daniela Mainini.

I relatori hanno sostenuto che il rilancio del manifatturiero sarà possibile solo quando gli imprenditori saranno messi nelle condizioni di riportare in Italia le fabbriche che hanno delocalizzato all’estero, nei paesi dell’Europa dell’Est o in Cina. La necessità di riportare le fabbriche in Italia è dovuta al fatto che oggi i costi del lavoro e della logistica stanno salendo progressivamente in quei paesi. Riportare in patria gli stabilimenti, oltre a creare nuovi posti di lavoro, può assicurare un rapporto diretto con i centri di ricerca dell’azienda e fare in modo che la produzione sia soggetta a un controllo di qualità più stringente ed efficace di quanto oggi non sia possibile all’estero.

D’altra parte, in questi ultimi anni il ritorno delle fabbriche in patria (re-shoring) è già avvenuto negli Stati Uniti con effetti positivi per l’economia. Prima la situazione era diversa: tra il 1998 e il 2012 gli imprenditori americani delocalizzarono la produzione industriale con un’intensità pari al 4% del Pil, il che finì per provocare la perdita di quasi sei milioni di posti di lavoro. Negli ultimi anni il re-shoring ha consentito invece agli imprenditori di riportare in patria gli stabilimenti grazie alla politica industriale dell’amministrazione Obama. Questo, insieme a politiche non austere, ha permesso agli Stati Uniti non solo di reagire alla crisi, ma di tornare a crescere a ritmi impensabili fino a pochi anni fa.

In Italia occorre seguire quell’esempio, ma questo può avvenire se gli imprenditori e il governo faranno ciascuno la loro parte.

Claudio Gemme,  presidente del Comitato Strategico del Centro Studi Grande Milano, presidente di Anie
Claudio Gemme, presidente del Comitato Strategico del Centro Studi Grande Milano, presidente di ANIE

Claudio Gemme, presidente della Federazione Nazionale Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche (ANIE), rappresenta 1.250 imprese per un totale di 400.000 addetti, pari al 20% del comparto manifatturiero. Nel suo intervento ha sottolineato come la metà del fatturato di queste aziende sia realizzato all’estero. Il caso di Fincantieri, che produce manufatti nel settore navale, è impressionante: la produzione è indirizzata prevalentemente all’estero ma il 70% della componentistica viene comprato fuori dai confini nazionali.

Si capisce allora come sia importante, per rilanciare l’occupazione in questo Paese, riportare l’intera filiera di produzione in Italia. Questo sarà possibile quando le condizioni per fare impresa torneranno ad essere favorevoli. Qui il governo deve fare la sua parte. Oltre a ridurre la pressione fiscale sulle imprese, è necessario detassare gli utili reinvestiti nella ricerca e nell’innovazione.

Anche gli imprenditori devono fare la loro parte, il che è tanto più importante se si tiene presente che il progresso tecnologico nel campo della comunicazione via internet ha reso immediato il rapporto tra imprenditori e clienti. Lo ha rilevato Alberto Caprari, presidente delle Associazioni Nazionali dell’Industria Meccanica Varia ed Affini dove si contano 1.000 aziende per un totale di 200.000 addetti. Il modello di gestione dell’impresa – ha sottolineato Caprari – è cambiato radicalmente negli ultimi anni riflettendo il rapido progresso nelle comunicazioni: rispetto a pochi anni fa, un imprenditore segue con difficoltà il lancio di un prodotto perché i clienti, attivi in rete, cambiano di continuo nel bene e nel male.

Filippo Taddei, responsabile nazionale Dipartimento Economia e Lavoro del PD
Filippo Taddei, Responsabile Nazionale Dipartimento Economia e Lavoro del PD

Cosa hanno risposto i politici? Di particolare interesse è stato l’intervento del responsabile economico del Partito Democratico, Filippo Taddei.  Taddei, molto vicino a Matteo Renzi, ha messo in evidenza i due obiettivi che stanno informando l’azione del governo nella politica industriale: a) l’abbassamento della tassazione sul lavoro e sulle imprese per una percentuale pari al 2% del Pil affinché l’imposizione fiscale torni ad essere ai livelli dei maggiori paesi europei; b) investire nel lavoro stabile perché le imprese che crescono sono quelle ove i dipendenti dispongono di un nutrito bagaglio di competenze formatosi nel tempo. L’azione del governo sarà diretta a premiare le piccole e medie imprese che assumeranno sulla base del nuovo contratto di lavoro introdotto dalla riforma Poletti.