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La Milano di Sala: città modello per il Paese

La presentazione, avvenuta ieri, dei punti programmatici che la giunta Sala affronterà nel corso del suo mandato quinquennale mi ha fatto pensare al motto “conoscere per fare” concepito da Romagnosi e fatto proprio da Carlo Cattaneo. Scriveva Gian Domenico Romagnosi in un passo Dell’indole e dei fattori dell’incivilimento: “qui dunque, in ultima analisi, si tratta di fare, e se si vuol conoscere è per fare”. Una frase che da sola aiuta a capire le ragioni di quella progettualità concreta, fattiva, capace di confrontarsi con i problemi della società, che ha consentito ai milanesi di pensarsi in divenire, di reinventarsi nei grandi tornanti della storia senza perdere il treno del progresso.

Milano può contare oggi su quattro risorse. La prima riguarda una cultura del buongoverno che ha prodotto – soprattutto negli ultimi anni – una buona amministrazione. Certo, errori sono stati fatti in passato (tanto nelle giunte di centrodestra che di centrosinistra) ma se la situazione di oggi è quella che vediamo, ciò è dovuto a una cura per la cosa pubblica che ha radici storiche di lungo periodo. La seconda risorsa riguarda la ricerca scientifica di altissimo livello che ha il suo fulcro nelle università milanesi. La terza risorsa è il capitale umano: gli istituti educativi della metropoli forniscono ai giovani un patrimonio di competenze da mettere a frutto. Potremmo parlare di “una generazione incendiaria”, che ha tanta voglia di fare ma in Italia non trova le opportunità per crescere. La quarta risorsa è un fitto tessuto di imprese, attive soprattutto nel digitale, che trova a Milano e solo a Milano un ambiente fertile, aperto all’innovazione tecnologica. La giunta Sala e il governo nazionale avranno nei prossimi anni il compito immane di mettere a frutto queste risorse perché la città sia un modello di sviluppo in grado di contribuire alla crescita dell’Italia.

Il Sindaco di Milano, Giuseppe Sala

Il Sindaco ha una sua idea della città per i prossimi dieci – quindici anni. Non basta però avere visioni. Occorre saper costruire. Sala è uomo concreto, fattivo, pragmatico. Ama grandemente Milano. Ha già ottenuto un brillante risultato: ha convinto il governo a puntare sulla città ambrosiana. Tutto questo in un momento d’incredibile distanza tra Milano e Roma: nella capitale la Sindaca Raggi ha iniziato ad amministrare nel segno della pulizia morale e dell’onestà; fa i conti tuttavia con una giunta in cui gli assessori sembrano fare a gara per dimettersi prima degli altri. Insomma, l’impressione è che in Campidoglio si brancoli nel buio. Se guardiamo a Milano sembra di essere su un altro pianeta. Qui domina la concretezza sui paroloni, l’agire paziente diretto al risultato effettivo. Per dirla con Max Weber, domina a Milano una zweckmässige Verwaltung, un’amministrazione orientata a uno scopo. In fondo, la città non ha mai cessato di essere asburgica in questo operoso riformismo finalizzato al progresso e al bene comune.

Due stile di governo diversi. Se la Raggi non ha esitato a rinunciare al progetto delle Olimpiadi per evitare fenomeni di corruzione e di malgoverno – un progetto che, se ben gestito, sarebbe stato una risorsa importante per lo sviluppo urbanistico di Roma – Sala si è affrettato a far firmare a Renzi il Patto per Milano impegnando il governo nazionale in corposi finanziamenti pubblici destinati alla rigenerazione della città: pensiamo soltanto allo Human Technopole nell’ex area Expo, un progetto fondamentale che consentirà alle università milanesi di essere coinvolte in un centro di ricerca internazionale sulle scienze della vita. Tempismo azzeccato quello di Sala, che ha saputo muoversi bene perchè conosce bene i punti di forza di Milano. E’ riuscito ad impegnare il governo a spendere risorse qui, in una metropoli che collabora con lo Stato facendo la sua parte. E’ il “conoscere per fare” di Romagnosi da cui siamo partiti.

Un’altra situazione che dimostra la fattiva operosità di Sala, la sua volontà di approfittare di ogni opportunità per il bene di Milano è stata la Brexit. Sala è andato a Londra, ha cercato di convincere i responsabili di importanti istituzioni europee a trasferire le loro sedi a Milano. Obiettivo ambizioso e al contempo difficile da raggiungere per le obiettive difficoltà in cui versa l’Italia. Eppure, una di queste istituzioni, l’Agenzia Europea per il Farmaco, sembra essere interessata a trasferirsi qui. Sala ha un dossier su questo tema. Milano è pronta a muoversi ma occorre il supporto del governo nazionale. Cosa farà Gentiloni? Sarà disposto a confermare l’asse di Renzi con Milano?

Nel segno di Romagnosi e di Cattaneo si pone infine il “Fare Milano”, il titolo che la giunta Sala ha scelto per riassumere il senso del suo operato nei prossimi 5 anni. Si tratta d’interventi complessi, che dovranno incidere in profondità affrontando in primo luogo il problema delle periferie. Grazie al “Patto per Milano” firmato dal Sindaco con il Governo nazionale, grazie anche all’intesa con il Governatore della Regione Lombardia Roberto Maroni, saranno destinati 356 milioni di euro per il recupero delle periferie. Fondi destinatati in gran parte, come hanno chiarito gli assessori Mirko Mazzali e Gabriele Rabaiotti, alla ristrutturazione delle case popolari nelle zone Lorenteggio-Giambellino e QT8-Gallaratese.

L’assessore all’urbanistica, Pierfrancesco Maran

Relativamente all’urbanistica verrà portato a compimento il recupero degli ex scali merci. La tabella di marcia fissata dall’assessore Pierfrancesco Maran è stringente: terminata la fase del confronto pubblico nel marzo 2017, l’accordo di programma verrà chiuso definitivamente nell’estate prossima per avviare le procedure dei concorsi, consentire gli usi temporanei degli spazi, elaborare i piani attuativi. I lavori per la rigenerazione degli scali verranno condotti tra il 2019 e il 2022. Come ho già avuto modo di ricordare in un articolo pubblicato in questa sede, il progetto è di fondamentale importanza per Milano. I diversi piani di edilizia sociale e residenziale, gli interventi per la realizzazione di vasti parchi verranno presentati dagli esperti di architettura e di urbanistica in incontri pubblici che si terranno a partire da dopodomani, dal 15 al 17 dicembre. Non mancate di iscrivervi e di partecipare numerosi!

L’assessore alla Mobilità, Marco Granelli

Importanti novità sono previste anche sul piano della mobilità, come ha sottolineato l’assessore Marco Granelli. Il completamento dei lavori della M4, è fissato per il 2022 con un anno di anticipo rispetto a quanto previsto originariamente. Il prolungamento delle linee metropolitane esistenti consentirà una migliore integrazione della città con l’area metropolitana. La M1 verrà portata da Sesto FS a Monza Bettola entro il 2020. Sul lato di Milano Bisceglie, i lavori per il collegamento con il quartiere Baggio-Olmi cominceranno nel 2021. Per la M5 si darà avvio agli interventi per le fermate Milano-Bignami-Monza città e Monza Ospedale San Gerardo. La tratta Milano Bignami-Monza città sarà attiva già nel 2020. Per quanto concerne la mobilità sostenibile, una novità importante sarà l’attivazione di una piattaforma tecnologica (MAAS: mobility as service) che consentirà via app o via Web di attivare alcune tipologie di abbonamento comprensive dell’utilizzo di treno, metro, autobus, bikemi, car-sharing, scooter sharing. Un servizio che andrà di pari passo con il potenziamento delle attuali dotazioni di biciclette, macchine e scooter e – dato più importante – con la costruzione di 55 aree di interscambio per la mobilità sostenibile.

In sinergia con i privati l’amministrazione Sala ha messo in campo svariati interventi nel campo del welfare e della cultura. Notevoli le iniziative culturali, dai city days (Bookcity a novembre, Prima Diffusa a dicembre, Museocity a marzo, Pianocity a maggio) alle settimane dedicate alle arti (Art Week in primavera, Music Week in autunno, Photo Week in estate, Movie week in inverno). Nel 2017 si terrà a Palazzo Reale una mostra dedicata ad Eduard Manet; le opere di Caravaggio saranno esposte nel biennio 2017/2018. Gli hub culturali gestiti da privati (Fondazione Feltrinelli in Porta Garibaldi inaugurata oggi, Fondazione Prada in Porta Romana/Ripamonti, Casva a QT8), i teatri pubblici alcuni dei quali riaperti al pubblico o costituiti ex novo (si pensi ad esempio al Teatro Lirico o al Teatro dell’infanzia e dell’adolescenza che verrà costruito ex novo in piazzale Maciachini), i musei e spazi espositivi (da Palazzo Citterio a Brera al Museo dell’Arte Etrusca in Corso Venezia) daranno alla città un’ulteriore visibilità internazionale, migliorando in prospettiva il già ottimo risultato di quest’anno: come ha osservato l’assessore alla cultura Filippo Del Corno, Milano è stata la città più visitata d’Italia nel 2016 (dati del Global Destination Cities Index).

L’unica mancanza, in questa visione concreta sul futuro della città illustrata da Sala, è stata l’indicazione di una data per il referendum sulla riapertura dei Navigli che, come il Sindaco ha annunciato in campagna elettorale, si terrà nel 2017. Attendiamo notizie su questo tema importante per il futuro urbanistico di Milano.

Rilanciare la manifattura per far decollare l’Italia

Come può l’Italia tornare a crescere in questo 2015? Nell’interessante convegno organizzato ieri dal Centro Studi Grande Milano presso il Palazzo dei Giureconsulti di via Mercanti è emersa la convinzione che il Paese può ripartire puntando sul manifatturiero.

Ford Electric Car Plant Builds Electric Focus And Hybrid VehiclesSpesso sentiamo dire che l’Italia potrà riprendersi agendo a sostegno della cultura o del turismo. Vero. Ma pensiamoci bene: cosa rende il nostro Paese una delle economie più avanzate al mondo nonostante la crisi? Un ruolo importante è rivestito dalle piccole e medie imprese del manifatturiero, che in questo settore fanno ancora guadagnare all’Italia il secondo posto nella classifica europea dopo la Germania. Tale patrimonio imprenditoriale non può essere disperso, deve essere posto nelle condizioni di crescere. Oggi la manifattura costituisce nel complesso il 15% del Pil.  Gli imprenditori italiani, presenti in gran numero alla convention, hanno sostenuto l’esigenza di portare il manifatturiero al 20% del Pil. Un compito assai difficile. Sappiamo infatti che le condizioni per fare impresa in Italia sono oggi difficili. Il livello di tassazione resta eccessivamente elevato. Come uscirne? Interessanti le relazioni presentate al convegno presieduto da Daniela Mainini.

I relatori hanno sostenuto che il rilancio del manifatturiero sarà possibile solo quando gli imprenditori saranno messi nelle condizioni di riportare in Italia le fabbriche che hanno delocalizzato all’estero, nei paesi dell’Europa dell’Est o in Cina. La necessità di riportare le fabbriche in Italia è dovuta al fatto che oggi i costi del lavoro e della logistica stanno salendo progressivamente in quei paesi. Riportare in patria gli stabilimenti, oltre a creare nuovi posti di lavoro, può assicurare un rapporto diretto con i centri di ricerca dell’azienda e fare in modo che la produzione sia soggetta a un controllo di qualità più stringente ed efficace di quanto oggi non sia possibile all’estero.

D’altra parte, in questi ultimi anni il ritorno delle fabbriche in patria (re-shoring) è già avvenuto negli Stati Uniti con effetti positivi per l’economia. Prima la situazione era diversa: tra il 1998 e il 2012 gli imprenditori americani delocalizzarono la produzione industriale con un’intensità pari al 4% del Pil, il che finì per provocare la perdita di quasi sei milioni di posti di lavoro. Negli ultimi anni il re-shoring ha consentito invece agli imprenditori di riportare in patria gli stabilimenti grazie alla politica industriale dell’amministrazione Obama. Questo, insieme a politiche non austere, ha permesso agli Stati Uniti non solo di reagire alla crisi, ma di tornare a crescere a ritmi impensabili fino a pochi anni fa.

In Italia occorre seguire quell’esempio, ma questo può avvenire se gli imprenditori e il governo faranno ciascuno la loro parte.

Claudio Gemme,  presidente del Comitato Strategico del Centro Studi Grande Milano, presidente di Anie
Claudio Gemme, presidente del Comitato Strategico del Centro Studi Grande Milano, presidente di ANIE

Claudio Gemme, presidente della Federazione Nazionale Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche (ANIE), rappresenta 1.250 imprese per un totale di 400.000 addetti, pari al 20% del comparto manifatturiero. Nel suo intervento ha sottolineato come la metà del fatturato di queste aziende sia realizzato all’estero. Il caso di Fincantieri, che produce manufatti nel settore navale, è impressionante: la produzione è indirizzata prevalentemente all’estero ma il 70% della componentistica viene comprato fuori dai confini nazionali.

Si capisce allora come sia importante, per rilanciare l’occupazione in questo Paese, riportare l’intera filiera di produzione in Italia. Questo sarà possibile quando le condizioni per fare impresa torneranno ad essere favorevoli. Qui il governo deve fare la sua parte. Oltre a ridurre la pressione fiscale sulle imprese, è necessario detassare gli utili reinvestiti nella ricerca e nell’innovazione.

Anche gli imprenditori devono fare la loro parte, il che è tanto più importante se si tiene presente che il progresso tecnologico nel campo della comunicazione via internet ha reso immediato il rapporto tra imprenditori e clienti. Lo ha rilevato Alberto Caprari, presidente delle Associazioni Nazionali dell’Industria Meccanica Varia ed Affini dove si contano 1.000 aziende per un totale di 200.000 addetti. Il modello di gestione dell’impresa – ha sottolineato Caprari – è cambiato radicalmente negli ultimi anni riflettendo il rapido progresso nelle comunicazioni: rispetto a pochi anni fa, un imprenditore segue con difficoltà il lancio di un prodotto perché i clienti, attivi in rete, cambiano di continuo nel bene e nel male.

Filippo Taddei, responsabile nazionale Dipartimento Economia e Lavoro del PD
Filippo Taddei, Responsabile Nazionale Dipartimento Economia e Lavoro del PD

Cosa hanno risposto i politici? Di particolare interesse è stato l’intervento del responsabile economico del Partito Democratico, Filippo Taddei.  Taddei, molto vicino a Matteo Renzi, ha messo in evidenza i due obiettivi che stanno informando l’azione del governo nella politica industriale: a) l’abbassamento della tassazione sul lavoro e sulle imprese per una percentuale pari al 2% del Pil affinché l’imposizione fiscale torni ad essere ai livelli dei maggiori paesi europei; b) investire nel lavoro stabile perché le imprese che crescono sono quelle ove i dipendenti dispongono di un nutrito bagaglio di competenze formatosi nel tempo. L’azione del governo sarà diretta a premiare le piccole e medie imprese che assumeranno sulla base del nuovo contratto di lavoro introdotto dalla riforma Poletti.