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Quando il falso è figlio del vero che si brama…

“Chi deve falsificare documenti deve sempre documentarsi, ed ecco perché frequentavo le biblioteche”: così confessava candidamente l’agente segreto Simone Simonini, il protagonista del romanzo Il Cimitero di Praga, mentre raccontava le circostanze che lo avevano portato a “fabbricare” il falso dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion destinato ad avere una sinistra influenza nella storia europea.

L’altro ieri, mentre assistevo all’interessante convegno del “Centro Studi Grande Milano” su “La storia dell’arte vera: la bellezza dell’autentico”, il mio pensiero è corso al compianto Umberto Eco, il quale ha dedicato al falso pagine indimenticabili nei suoi romanzi: da Il pendolo di Foucault  all’appena citato Cimitero di Praga.

All’incontro di giovedì, tenuto a Palazzo Turati presso la Camera di Commercio di Milano, hanno partecipato gli ex sindaci di Milano Piero Borghini e Carlo Tognoli, l’assessore al lavoro, sviluppo economico, università e ricerca Cristina Tajani, il presidente di Confindustria Anie Claudio Andrea Gemme ed Enrico Valdani, professore ordinario di economia e gestione delle imprese presso l’Università Bocconi.

Un folto pubblico di appassionati ha seguito la lezione dei due relatori: l’avvocato Daniela Mainini e il professor Flavio Caroli.

Daniela Mainini, esperta di diritto penale industriale, presidente del Centro Studi Grande Milano e del Centro Studi Anticontraffazione, oggi consigliere regionale nel Patto civico con Umberto Ambrosoli, ha tenuto un’interessante relazione sul falso nella storia dell’arte, mostrando con efficacia il ruolo per nulla marginale che questa realtà ha avuto nella storia.

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Daniela Mainini, Presidente del Centro Studi Grande Milano

“Nel 1990 – ricorda Mainini – “mi recai a Londra ove al British Museum era stata allestita una provocatoria mostra sul falso curata dal celebre studioso Sir Mark Jones e dai suoi assistenti. L’obiettivo di quella esposizione era stato di rendere consapevole il pubblico di una verità elementare: ogni società falsifica ciò che brama. Fu una mostra di grande valore storico perché gli oggetti e le opere d’arte esposte fecero capire ai visitatori il mutamento dei gusti culturali che avviene nella società nel corso dei secoli”.

In realtà, come ha precisato la relatrice, l’opera d’arte non è falsa in sé. Lo diviene nel momento in cui viene attribuita. La copia di manufatti di pregio era praticata già nella civiltà greco-romana. Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, raccontava come un oggetto venisse falsificato in molti modi (adulteratur multis modis). I romani distinguevano tra l’imitatio e l’emulatio: la prima consisteva in una pedestre attività tesa alla copia meccanica di un modello, la seconda in un’opera di alto rilievo artistico.

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Due collezionisti “stregati” dalla Cena di Emmaus

La storia della contraffazione non può farsi tuttavia nell’alto Medioevo, quando gli artisti non avevano ancora una loro individualità. L’identità degli autori di opere d’arte si affermò nel basso Medioevo e in età rinascimentale. I primi casi di contraffazione avvennero soprattutto nel corso del Settecento, in seguito alla scoperta di Ercolano e Pompei. Uno dei primi falsificatori fu il napoletano Giuseppe Guerra (morto nel 1761), pittore e restauratore, che riprodusse alcune pitture pompeiane con tale maestria da ingannare famosi collezionisti europei. La Mainini ha saputo catturare l’attenzione del pubblico nell’esposizione ragionata di tanti casi di opere adulterate. La storia fu un continuo susseguirsi di falsari fino al secolo scorso: da Icilio Federico Joni (1866-1944) ad Alceo Dossena (1878-1937) fino al celebre Han Van Meegeren (1889-1947): questi, seguendo una tecnica esposta in un vecchio trattato di pittura, dipinse su una tela del Seicento la Cena di Emmaus: opera destinata ad essere clamorosamente attribuita al celebre pittore olandese Jan Vermeer (1632-1675).

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Il Professor Flavio Caroli

All’intervento della Mainini è seguita la lezione magistrale del critico d’arte Flavio Caroli che, commentando le immagini di celebri dipinti dal Rinascimento al Novecento, ha mostrato la bellezza dell’autentico nel corso dei secoli: da Masaccio a Piero della Francesca, da Ludovico Carracci a Giuseppe Maria Crespi, da Turner a Monet fino a Morandi.

Resta da spiegare la ragione della straordinaria fortuna che il falso ha avuto nella storia dell’arte e più in generale nella storia della cultura. Forse, richiamandoci a Umberto Eco, questo si spiega perché l’immaginazione, satura di iper-realtà, pretende la cosa vera e, per ottenerla, fabbrica il falso assoluto.

Rilanciare la manifattura per far decollare l’Italia

Come può l’Italia tornare a crescere in questo 2015? Nell’interessante convegno organizzato ieri dal Centro Studi Grande Milano presso il Palazzo dei Giureconsulti di via Mercanti è emersa la convinzione che il Paese può ripartire puntando sul manifatturiero.

Ford Electric Car Plant Builds Electric Focus And Hybrid VehiclesSpesso sentiamo dire che l’Italia potrà riprendersi agendo a sostegno della cultura o del turismo. Vero. Ma pensiamoci bene: cosa rende il nostro Paese una delle economie più avanzate al mondo nonostante la crisi? Un ruolo importante è rivestito dalle piccole e medie imprese del manifatturiero, che in questo settore fanno ancora guadagnare all’Italia il secondo posto nella classifica europea dopo la Germania. Tale patrimonio imprenditoriale non può essere disperso, deve essere posto nelle condizioni di crescere. Oggi la manifattura costituisce nel complesso il 15% del Pil.  Gli imprenditori italiani, presenti in gran numero alla convention, hanno sostenuto l’esigenza di portare il manifatturiero al 20% del Pil. Un compito assai difficile. Sappiamo infatti che le condizioni per fare impresa in Italia sono oggi difficili. Il livello di tassazione resta eccessivamente elevato. Come uscirne? Interessanti le relazioni presentate al convegno presieduto da Daniela Mainini.

I relatori hanno sostenuto che il rilancio del manifatturiero sarà possibile solo quando gli imprenditori saranno messi nelle condizioni di riportare in Italia le fabbriche che hanno delocalizzato all’estero, nei paesi dell’Europa dell’Est o in Cina. La necessità di riportare le fabbriche in Italia è dovuta al fatto che oggi i costi del lavoro e della logistica stanno salendo progressivamente in quei paesi. Riportare in patria gli stabilimenti, oltre a creare nuovi posti di lavoro, può assicurare un rapporto diretto con i centri di ricerca dell’azienda e fare in modo che la produzione sia soggetta a un controllo di qualità più stringente ed efficace di quanto oggi non sia possibile all’estero.

D’altra parte, in questi ultimi anni il ritorno delle fabbriche in patria (re-shoring) è già avvenuto negli Stati Uniti con effetti positivi per l’economia. Prima la situazione era diversa: tra il 1998 e il 2012 gli imprenditori americani delocalizzarono la produzione industriale con un’intensità pari al 4% del Pil, il che finì per provocare la perdita di quasi sei milioni di posti di lavoro. Negli ultimi anni il re-shoring ha consentito invece agli imprenditori di riportare in patria gli stabilimenti grazie alla politica industriale dell’amministrazione Obama. Questo, insieme a politiche non austere, ha permesso agli Stati Uniti non solo di reagire alla crisi, ma di tornare a crescere a ritmi impensabili fino a pochi anni fa.

In Italia occorre seguire quell’esempio, ma questo può avvenire se gli imprenditori e il governo faranno ciascuno la loro parte.

Claudio Gemme,  presidente del Comitato Strategico del Centro Studi Grande Milano, presidente di Anie
Claudio Gemme, presidente del Comitato Strategico del Centro Studi Grande Milano, presidente di ANIE

Claudio Gemme, presidente della Federazione Nazionale Imprese Elettrotecniche ed Elettroniche (ANIE), rappresenta 1.250 imprese per un totale di 400.000 addetti, pari al 20% del comparto manifatturiero. Nel suo intervento ha sottolineato come la metà del fatturato di queste aziende sia realizzato all’estero. Il caso di Fincantieri, che produce manufatti nel settore navale, è impressionante: la produzione è indirizzata prevalentemente all’estero ma il 70% della componentistica viene comprato fuori dai confini nazionali.

Si capisce allora come sia importante, per rilanciare l’occupazione in questo Paese, riportare l’intera filiera di produzione in Italia. Questo sarà possibile quando le condizioni per fare impresa torneranno ad essere favorevoli. Qui il governo deve fare la sua parte. Oltre a ridurre la pressione fiscale sulle imprese, è necessario detassare gli utili reinvestiti nella ricerca e nell’innovazione.

Anche gli imprenditori devono fare la loro parte, il che è tanto più importante se si tiene presente che il progresso tecnologico nel campo della comunicazione via internet ha reso immediato il rapporto tra imprenditori e clienti. Lo ha rilevato Alberto Caprari, presidente delle Associazioni Nazionali dell’Industria Meccanica Varia ed Affini dove si contano 1.000 aziende per un totale di 200.000 addetti. Il modello di gestione dell’impresa – ha sottolineato Caprari – è cambiato radicalmente negli ultimi anni riflettendo il rapido progresso nelle comunicazioni: rispetto a pochi anni fa, un imprenditore segue con difficoltà il lancio di un prodotto perché i clienti, attivi in rete, cambiano di continuo nel bene e nel male.

Filippo Taddei, responsabile nazionale Dipartimento Economia e Lavoro del PD
Filippo Taddei, Responsabile Nazionale Dipartimento Economia e Lavoro del PD

Cosa hanno risposto i politici? Di particolare interesse è stato l’intervento del responsabile economico del Partito Democratico, Filippo Taddei.  Taddei, molto vicino a Matteo Renzi, ha messo in evidenza i due obiettivi che stanno informando l’azione del governo nella politica industriale: a) l’abbassamento della tassazione sul lavoro e sulle imprese per una percentuale pari al 2% del Pil affinché l’imposizione fiscale torni ad essere ai livelli dei maggiori paesi europei; b) investire nel lavoro stabile perché le imprese che crescono sono quelle ove i dipendenti dispongono di un nutrito bagaglio di competenze formatosi nel tempo. L’azione del governo sarà diretta a premiare le piccole e medie imprese che assumeranno sulla base del nuovo contratto di lavoro introdotto dalla riforma Poletti.