La natura non federale del ‘federalismo municipale’

Un buon progetto di autonomia finanziaria dei Comuni che nulla ha però da spartire con il federalismo. Questo il giudizio di fondo che si ricava da una rapida lettura del decreto legislativo sul ‘federalismo municipale’; il decreto, che non è passato all’esame consultivo della ‘bicameralina’ per parità di voti (15 a 15 per il no decisivo del finiano Mario Baldassarri), verrà approvato tra pochi giorni in Parlamento per espressa volontà del governo, deciso a farlo passare con il voto di fiducia.

Quali sono in sostanza le linee di fondo di questa riforma? La normativa inciderà in misura notevole sull’autonomia dei Comuni. Oggi gli enti locali si finanziano potendo contare su proprie fonti di gettito e sui trasferimenti che lo Stato centrale attua in base al criterio della spesa storica. Tale criterio produce spesso inefficienza perché ogni anno i sindaci dei comuni male amministrati incassano la stessa ingente quantità di fondi; i cittadini di quei municipi, non avendo la percezione dei costi effettivi della macchina burocratica locale – costi oggi pagati in larga parte dallo Stato mediante i trasferimenti – non possono esercitare alcun controllo effettivo sulla destinazione di quei fondi. Con ogni probabilità le cose cambieranno sensibilmente con la nuova normativa.

I Comuni, soppressi i trasferimenti dello Stato centrale sulla base della spesa storica, potranno finanziarsi con una serie di strumenti che serviranno a pagare il fabbisogno standard, vale a dire il costo medio dei servizi essenziali che i Comuni dovranno sostenere tanto al Nord quanto al Sud. Il sindaco che vorrà incassare più risorse per garantire ulteriori servizi ai suoi cittadini, dovrà introdurre apposite “tasse di scopo”, il che lascia presupporre che sarà costretto ad operare in modo trasparente di fronte ai suoi amministrati.

La normativa predisposta dal governo ha il merito di decretare l’eliminazione o l’accorpamento di 10 delle 18 forme impositive attualmente esistenti. L’imposta municipale unica (IMU) raggrupperà gran parte delle attuali tasse comunali, a partire dall’Ici sulle seconde case e sugli esercizi commerciali. Val la pena ricordare, a tal proposito, che l’Ici sulle prime abitazioni non verrà reintrodotta come invece chiedevano i finiani.

Il secondo strumento cui potranno ricorrere i sindaci in seguito all’approvazione del decreto sul ‘federalismo municipale’ sarà l’imposta municipale secondaria (IMU2) nella quale verranno raggruppate altre tasse locali. I Comuni potranno poi beneficiare della cedolare secca sugli affitti, il cui gettito è stimato a un livello superore ai 15 miliardi di euro. E’ previsto inoltre lo sblocco dell’addizionale comunale Irpef, la cui soglia, come concordato dal governo con l’Anci (Associazione nazionale dei comuni italiani), non sarà superiore allo 0,4%. Dal 2014 i Comuni italiani, per finanziare la spesa standard, potranno infine ricorrere alla compartecipazione a una serie di tributi statali calcolata su base provinciale: l’imposta sul registro, l’imposta di bollo, l’imposta ipotecaria e catastale, l’Iva per 2,8 miliardi di euro.

Merita infine di essere ricordato che, a partire dal 2011, verrà costituito un fondo sperimentale di riequilibrio della durata di cinque anni: ad esso potranno attingere i Comuni che non saranno riusciti a coprire la spesa standard. Il fondo sarà alimentato dal gettito degli stessi tributi cui attingeranno i Comuni a partire dal 2014 mediante le già ricordate forme di compartecipazione.

Alcuni opinionisti hanno sostenuto che questa normativa finirà con l’aumentare il divario tra i Comuni del Nord e i Comuni del Sud. A ben vedere, se si tiene conto del fondo perequativo e delle varie forme di compartecipazione ai tributi erariali, è difficile pensare che i Comuni dei territori più poveri verranno considerevolmente penalizzati. Occorre invece riconoscere che il decreto del governo ha il merito di rendere più difficili sprechi di risorse pubbliche grazie all’introduzione della spesa standard che annullerà definitivamente l’opposto principio della spesa storica, causa di inefficienza e di spreco di risorse pubbliche.

Non c’è che dire: nel complesso è una buona normativa. Se una critica può esser mossa al governo, bisogna rilevare che il nome con cui è stata definita tale riforma (federalismo municipale) non ha niente da spartire con il suo contenuto, riguardante – come si è cercato di spiegare in questa sede – l’autonomia finanziaria dei municipi e nulla di più. Il decreto legislativo poggia sull’amministrazione finanziaria dello Stato unitario e presuppone l’esistenza di quest’ultima per la sua concreta realizzazione; il che, come è facile intuire, costituisce la palese negazione del federalismo. Nei decreti delegati approvati dal governo o in via di approvazione la fissazione delle imposte (dirette e indirette) e la loro riscossione non è competenza delle maggiori Comunità territoriali, come avverrebbe in un regime federale. Il presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo in un’intervista del 4 febbraio scorso, nel commentare la legge sul “federalismo municipale” ha rilevato opportunamente il marchiano errore terminologico compiuto dal governo: “il federalismo è un processo di unificazione progressiva di Stati che erano sovrani verso un unico Stato gestore. Che cosa c’entra questo con l’autonomia finanziaria dei Comuni decisa dal Parlamento nazionale? Con il termine federalismo si spaccia ciò che è autonomismo degli enti locali” (intervista a cura di Donatella Stasio per “Il Sole 24 Ore”). Per capire come l’autonomia finanziaria dei comuni possa essere realizzata in un regime autenticamente federale, varrà la pena ricordare il caso della Svizzera, dove la legislazione tributaria dei Comuni, lungi dall’essere competenza della Confederazione, viene regolata in via esclusiva dai Cantoni; la compartecipazione dei Comuni avviene in quel paese con addizionali poste sui tributi cantonali, non sulle imposte federali. Ora, nel sedicente “federalismo municipale” le quote di compartecipazione riguardano i tributi dello Stato, tributi che vengono decisi e riscossi dall’amministrazione centrale. Insomma, a me pare che siamo lontani anni luce dai principi del federalismo.

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