I Colombitt di Santa Caterina alla Ruota

E’ stata di grande interesse la conferenza organizzata dalla Società Storica Lombarda il 2 febbraio scorso presso l’Archivio di Stato di Milano. Relatrice la storica Flores Reggiani, che ha svolto una relazione sul tema dell’infanzia abbandonata a Milano dall’antico regime alla fine dell’Ottocento. Muovendo da un esame rigoroso della documentazione conservata presso gli archivi del brefotrofio e dell’Ospedale Maggiore di Milano, la Dottoressa Reggiani ha ripercorso le tappe dell’assistenza all’infanzia abbandonata in età moderna, un tema che è stato al centro dei suoi studi negli ultimi anni. Si segnalano in proposito il volume F. Reggiani, “Sotto le ali della colomba”. Famiglie assistenziali e relazioni di genere a Milano dall’Età Moderna alla Restaurazione. Milano, Viella 2014 e, per l’argomento che qui interessa, “Si consegna questo figlio”. L’assistenza all’infanzia e alla maternità dalla Cà Granda alla Provincia di Milano (1456-1920), a cura di F. Reggiani, M. Canella, L. Dodi, Milano, Skira 2008.

Oggi il tema della povertà è particolarmente sentito in Italia. Nei secoli dell’Età Moderna (XVI-XVII-XVIII e XIX secolo), la situazione era per molti versi simile se non addirittura peggiore: gran parte delle persone viveva in condizioni di estrema indigenza. L’ambiente familiare era fragile. Nulla di simile al tipo di famiglia europeo del Novecento, basato sulla permanenza dei piccoli nella casa dei genitori e fondato sulla sfera sentimentale degli affetti che lega i membri del nucleo familiare. Nell’antico regime e ancora nell’Ottocento la situazione era diversa. Si pensi all’istituto del baliatico: l’usanza di fare allattare i figli da una balia retribuita era diffusa tanto presso la nobiltà quanto presso le famiglie della borghesia e dei contadini.

D’altra parte, i figli di una famiglia povera lasciavano la casa paterna per lavorare nelle botteghe degli artigiani già all’età di 6 o 7 anni. Il quadro non cambiava nelle cerchie della nobiltà ove molti bambini erano collocati a corte come paggi. La separazione dei figli in età precoce dai genitori era quindi un fenomeno diffuso.

L’alto tasso di mortalità, esistente a quell’epoca, rendeva assai facile restare orfani in tenera età. C’erano poi i neonati abbandonati, lasciati dai genitori nelle pubbliche vie o portati nei luoghi pii. E’ il tema centrale affrontato dalla storica Reggiani, che ha spiegato come questo fenomeno assunse in Età Moderna dimensioni talmente ampie da essere percepito dai contemporanei come un fatto comune.

Chi erano esattamente gli esposti? Nella società d’antico regime, intrisa da una profonda cultura cristiana che si manifestava nelle forme della pietà e della devozione popolare, era nota la vicenda di Mosè: la cesta contenente il bimbo Mosé era stata lasciata dai genitori non già sul Nilo, ma sulle rive del fiume affinché potesse essere trovata. Questo spiega per quale motivo, sulle orme di una tradizione religiosa che aiutava a percepire il fenomeno come non estraneo alla cultura occidentale, nel Medioevo e nell’Età Moderna le famiglie che abbandonavano i bambini non lo facevano con l’intento di ucciderli, bensì con il fine di affidarli a qualcuno che potesse esercitare quel ruolo ch’essi non potevano svolgere per ragioni economiche.

Se esaminiamo il decreto del 17 gennaio del 1812 emanato nel Regno d’Italia napoleonico, troviamo una definizione precisa degli esposti: “nati da padri e madri sconosciuti, sono trovati in un luogo qualunque, ovvero sono portati nei luoghi pii destinati a riceverli”. Seguiva la descrizione del Luogo Pio: “In ogni Luogo Pio, destinato a ricevere figli esposti, vi sarà una ruota o torno in cui saranno deposti”.

I genitori potevano quindi lasciare il bambino in un luogo pubblico, come nella vicenda di Mosé, affinché il neonato fosse trovato facilmente. Spesso tuttavia il padre o la madre preferivano lasciare il bimbo a un’istituzione assistenziale specializzata, il luogo pio ove “la ruota o torno” consentiva la consegna del bimbo mantenendo l’anonimato dei genitori.

Quale ruolo aveva il brefotrofio nella cura di questi bambini? Scriveva Vincenzo Borghini (1515-1580), spedalingo (direttore) dell’Ospedale degli Innocenti di Firenze:

L’ospedale piglia cura di quelli che so’ gettati via dal proprio padre et madre, et diviene loro padre in tutto e per tutto per averne cura come padre de’ suoi figliuoli.

Le persone che vivevano e lavoravano nel luogo pio accudivano i bimbi con la stessa cura di un genitore.

A Milano il primo istituto dedito all’infanzia abbandonata fu lo xenodochio fondato dal sacerdote Dateo (741-799 d.C.) nel 787 d.C. E’ significativo che tuttora, in piazzale Dateo, abbia sede un brefotrofio attivo dal primo decennio del Novecento. Nel Medioevo si aggiunsero altri hospitali finché nel 1456 la costruzione dell’Ospedale Maggiore rese possibile la formazione di una fitta rete di istituti assistenziali: essi garantirono ai milanesi, almeno fino al 1780, una protezione sociale tra le più avanzate in Europa.

La pia casa degli esposti e delle partorienti di Santa Caterina alla Ruota al di là del Naviglio in un acquerello di Giannino Grossi. L’edificio venne demolito agli inizi del Novecento per costruire il nuovo Ospedale Maggiore di via Francesco Sforza.

Al 1781 risale la fondazione della casa degli esposti e delle partorienti di Santa Caterina alla Ruota. L’istituto, eretto nei locali di un monastero soppresso, si trovava a pochi passi dall’Ospedale Maggiore, nella parte della città conosciuta come “borgo di Porta Romana” tra il Naviglio interno e i Bastioni. Questi spazi sono oggi occupati dai padiglioni del Policlinico. Il brefotrofio di Santa Caterina, attivo dal 1781 al 1863, era finanziato con donazioni ed elemosine private, il più delle volte – come avveniva per la Cà Granda – provenienti dalle ricche famiglie nobili o borghesi.

Il fenomeno dell’affidamento dei bambini alla casa degli esposti presentava diverse modalità. Un quarto degli ingressi avveniva mediante un incontro “ufficiale” tra la famiglia povera e i responsabili dell’istituto. Nel 50% dei casi i bimbi erano messi invece nella ruota, una modalità che garantiva l’anonimato dei genitori. Assieme al bimbo, il genitore lasciava un piccolo foglietto di carta tagliato a metà e una nota in cui spiegava il motivo dell’abbandono. Metà del foglietto era staccata perché, a distanza di tempo, la famiglia intenzionata a riprenderlo potesse riconoscerlo in base all’altra metà del contrassegno.

I bimbi allevati dal brefotrofio erano chiamati in dialetto milanese Colombitt, un soprannome che traeva origine dall’insegna di Santa Caterina costituita da una colomba. Le analisi della storica Reggiani mostrano che le richieste di assistenza nei luoghi pii e nei brefotrofi milanesi furono decine di migliaia dal 1659 fino agli anni Settanta del secolo scorso. Il picco fu raggiunto nel periodo 1781-1868, quando si toccarono ben 223.012 casi: un fenomeno che conferma ampiamente la definizione dell’Ottocento come “secolo dei trovatelli”. L’abbandono dei figli era dovuto non solo alla già citata povertà dei genitori, ma anche alla difficile condizione in cui si trovavano le madri, costrette a lavorare anch’esse per sopravvivere in un’epoca in cui non esistevano strutture ricettive come gli asili nido. Molte donne lasciavano i figli alla casa di Santa Caterina perché potessero essere allattati da una balia gratuita nei primi due anni. Al bambino era assegnato un numero progressivo che, a fianco dell’anno di consegna, accompagnava la sua pratica nel corso del tempo.

Interessanti i verbali in cui erano trascritti i biglietti lasciati dai genitori vicino al bimbo. Si legga ad esempio questa nota del 1679:

Illustrissimi Signori, la necessità grande di una povera vedova che pochi giorni sono che le è mancato il marito, ritrovandosi una figlia e non sapendo come tenerla, ha pensato ricorrere alla carità di lor signori…spera dopo bali ita [dopo che sia stata tenuta a balia] di tornare a ricuperarla per carità sia tenuta conto perchè è di legittimo matrimonio.

Non molto diversa la motivazione scritta nel 1839 da un altro genitore:

Io racomando questo mio figlio fu batezato in nome Martino è nasuto il giurno di Santo Martino …nato da legittimo matrimonio, che non ha mai avuto mal cattivo e faco questo per essere in gran bisogno…ho 8 figli viventi … raccomando di fare l’impossibile e di dare subito una balia…che prometto di venire a prendere…io sono abitante in Milano

I bambini erano mandati nelle campagne (spesso nell’alto milanese e nel varesotto…di qui la diffusione del cognome Colombo in quelle zone) presso famiglie affidatarie, le cui balie ricevevano un salario dall’ospedale per allattarli fino al secondo anno di età. Venivano quindi svezzati, educati e impiegati nei lavori agricoli.

Ai genitori che fossero tornati a riprendersi i figli dopo molti anni, la casa degli esposti non chiedeva alcun compenso, diversamente da altri istituti che operavano in Italia e in Europa. In molti casi i genitori se li riprendevano quando avevano raggiunto un’età di 6,7,9 o 11 anni per farli lavorare nell’economia domestica oppure per disporre di persone che fossero poi in grado di accudirli nella vecchiaia.

Dopo l’Unità d’Italia, l’amministrazione della pia casa di Santa Caterina alla Ruota passò in gestione alla Provincia di Milano, che la tenne in funzione fino al 1868. La chiusura della “ruota”, avvenuta in quell’anno, segnò un cambiamento profondo nelle abitudini dei milanesi che versavano in povere condizioni.

3 commenti su “I Colombitt di Santa Caterina alla Ruota”

  1. Oggi ho scoperto una cosa che non sapevo: l’origine del cognome COLOMBO!
    Così so che tutti i COLOMBO lombardi si vanno ad accompagnare agli INNOCENTI della Toscana ai PROIETTI romani, agli ESPOSITO napoletani, ai ROTA, ai DIOTAIUTI, OGNIBENE, AMODIO e a tutti i cognomi ispirati a qualche santo…
    Questo dà l’idea di quanto fosse vasto in tutt’Italia il fenomeno dei bambini “esposti…”

  2. Fascinating. I’m glad for the English translation. I have an 1859 letter from the director which I can email if you are interested. Is there a English quivalent of S. Caterina alla Ruota? I don’t see any St. Catherine English references.

    1. Thank you Michael! Yes, I think you can email me the letter you mention. I don’t know if there is an English equivalent of S.Caterina alla Ruota. We should ask to English historians…

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