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“Amo vestire, non sopporto chi si copre”

Lino Ieluzzi si racconta: “Sono cresciuto in una famiglia severa vecchio stampo. Mia mamma era una sarta e mi ha trasmesso la passione per i vestiti. Ho iniziato a lavorare presto”

Per chi proviene dal centro, via Antonio Scarpa è una delle prime strade che si incrociano sul lato destro con corso Vercelli. Siamo in una fascia della città vicinissima alla cerchia dei Bastioni, che un tempo faceva parte del Comune dei Corpi Santi, a due passi dal sestiere di Porta Vercellina. Una zona il cui paesaggio, fino all’Unità d’Italia, era dominato da campi, rogge, canali ai lati dell’antica strada verso Vercelli. All’inizio del corso si trovava l’Osteria della Berta Filava, ritrovo per cacciatori e compagnie di amici che ne apprezzavano la vicinanza alle campagne circostanti. L’area fu densamente urbanizzata nel periodo successivo e divenne – a partire dagli anni Ottanta del Novecento – uno dei quartieri più importanti della città. Oggi, corso Vercelli, con le sue vie laterali, resta un ricco quartiere di Milano, anche se negli ultimi anni ha cambiato la sua identità. 

Mercoledì entro in via Scarpa, la percorro per alcuni metri e subito vedo, sulla soglia della sua boutique, Lino Ieluzzi, con cui ho un appuntamento alle 15 per un’intervista. Due taxi sono in sosta davanti a questo negozio di notevoli dimensioni: cinque vetrine ben riconoscibili dalle eleganti tende parasole di colore verde scuro, ove risaltano i fregi dello stemma dell’azienda: “AB” (Al Bazar). Lui mi saluta con affabilità, scambiamo quattro chiacchiere con i dipendenti della sua boutique. Vedo alcuni clienti aggirarsi per questi ambienti eleganti, tra raffinate scrivanie in legno, tavolini, mensole, armadi di squisita fattura. Ieluzzi mi accompagna in un piccolo spazio nel cortile sul retro: ci sediamo ai lati di un semplice tavolino da giardino a forma circolare. Qui ha luogo l’intervista. 

Lino Ieluzzi in una foto recente tratta dal suo account Instagram

Chi è Pasquale Ieluzzi conosciuto come “Lino Ieluzzi”,  insignito il 27 dicembre 2010 del titolo di  “Commendatore” dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano su iniziativa del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi?  Classe 1945, Ieluzzi con la sua boutique “Al Bazar” è da tempo una istituzione nella Milano dell’alta moda uomo. Intervistarlo mi consente di accedere alla preziosa testimonianza di un imprenditore che si è fatto da sé, si è costruito una posizione nel commercio di vestiti e questo unicamente grazie alla passione, alla cura meticolosa nel lavoro, nel lanciare il suo stile di abbigliamento.

In che tipo di famiglia sei cresciuto? Quale mestiere facevano i tuoi genitori?

“Sono nato in una famiglia vecchio stampo di origini pugliesi. I miei genitori abitavano a Baggio. Io, mio fratello e mia sorella siamo cresciuti in un ambiente povero ma dignitoso, in una famiglia in cui vigevano le dure regole di mio padre, che lavorava nel corpo della guardia di finanza. A lui dovevamo sempre dare del ‘voi’ quando ci rivolgevamo alla sua persona.  Mia madre invece lavorava in casa, faceva la sarta. Ero certamente più legato a lei, che mi ha trasmesso il gusto per il vestire”.  

Come sono stati gli anni della tua adolescenza? Qual è stato il tuo percorso di studi prima di lavorare?

“Ho iniziato a lavorare presto, prima in un negozio di mobili a Baggio, poi in una ditta di traslochi. Ricordo bene quando che mi chiamavano per smontare e montare mobili. Era un modo per guadagnare qualcosina. Certo, un periodo minimo di formazione ho dovuto farlo: frequentai le scuole serali. Avevo una gran voglia di riuscire, di farcela nella vita, di guadagnarmi una posizione che mi potesse consentire di vivere bene. Era la voglia di farcela a spingermi in avanti. Non mi facevo problemi nel tentare un lavoro che attirava la mia curiosità: mi mettevo in gioco. Ho seguito anche un corso di parrucchieri da donna in corso Vercelli. Non stavo mai con le mani in mano, come si dice. Tieni presente che provenivo da una famiglia che non navigava nell’oro: i miei genitori facevano sacrifici per mantenerci. Sentivo l’esigenza di uscire dalla povertà, seppur dignitosa, in cui ci trovavamo”. 

Quando hai capito che il commercio nell’alta moda uomo sarebbe stata la tua strada?

“La moda mi è sempre piaciuta. Come ti dicevo, mia mamma era sarta. Con i primi soldi che feci con i lavoretti di cui ti parlavo, iniziai ad acquistare grandi stock di abiti e li vendevo fuori dalle scuole e dalle università. Gli anni Sessanta sono stati per me un periodo di continua sperimentazione: ho lavorato in un parrucchiere da donna, poi in una ditta di orologi petrolio, finché sono stato impiegato come commesso in un negozio di abbigliamento uomo, qui, in via Scarpa”. 

Ieluzzi mi accompagna in uno dei molti ambienti della sua boutique e mi dice:

Lino Ieluzzi in una foto dei primi anni Settanta

“Vedi questo spazio?  Qui si trovava il negozio di appena 20 metri quadri, con una sola vetrina sulla via, in cui iniziai a lavorare come commesso. Allora – anni Sessanta e primi Settanta – era una semplice jeanseria. I titolari erano una famiglia romagnola: eravamo in due a lavorare come commessi. Vendevamo, oltre ai jeans, camicie indiane, giacche usate. Era un mondo sideralmente opposto rispetto a quello che sarebbe arrivato di lì a poco. La gente si vestiva in modo semplice, l’uomo era completamente dimenticato nella cura del vestire. Dominava la cultura hippie, il culto della libertà interiore senza regole,  le simpatie di tanti giovani andavano verso forme di egalitarismo e di comunitarismo, per non parlare di tanti fanatici ubriacati dall’ideologia comunista o da quella fascista”.

Quelli sono stati anni difficili. La contestazione nel 1968, la bomba di piazza Fontana nel 1969 e gli anni Settanta, gli anni di Piombo con le violenze dei gruppi terroristici. Tu come li hai vissuti?

“Vero, sono stati anni controversi, di passaggio ma anche pieni di sfide e di opportunità. Quando i titolari della jeanseria si ritirarono, nel 1971, ebbi l’opportunità di proseguire nell’attività rilevando il negozio. Nel 1975 chiamai Maurizio Morazzoni, un mio caro amico d’infanzia che aveva fatto alcune esperienze sul campo e gli chiesi di entrare come socio nella società Al Bazar Srl. Fu allora che iniziò la nostra impresa in un mondo completamente nuovo: trasformammo radicalmente quel piccolo spazio di 20 metri quadrati. Da attività commerciale di jeanseria diventammo un negozio completamente diverso.

Fu un’intuizione. Capii che la moda stracciona non sarebbe durata a lungo: in quella Milano di metà anni Settanta intravedevo il profilarsi di una società nuova, fatta di uomini nuovi, che sentivo avrebbero contato moltissimo di lì a poco; una generazione di imprenditori tanto ambiziosi quanto determinati nel lavoro per conseguire il successo nell’intrapresa privata. Capii in anticipo che l’uomo, tanto smitizzato fino ad allora, sarebbe stato più ambizioso e avrebbe meritato di essere vestito con la stessa cura e attenzione ai particolari che si seguono nell’abbigliamento femminile. Abbassai la saracinesca e, quando la rialzammo, il negozio era completamente diverso: sobrio, elegante, con abiti gessati, giacche raffinate al posto delle vecchie ceste ove prima erano ammassate le semplici camicie americane. 

A guidarmi è stata la passione, la fiducia nelle mie capacità, l’ottimismo e il desiderio di costruirmi una vita fatta di benessere economico. Con il nuovo negozio iniziammo a vendere bene: stavamo conseguendo ottimi risultati, il che non passò inosservato. Il risultato fu che ben presto fummo vittima di quello che all’epoca si chiamava “esproprio proletario”: una rapina a mano armata. Però, ripeto, fatta eccezione per quella brutta pagina, ricordo con piacere e un po’ di nostalgia gli anni Settanta! Sarà che ero anch’io un’altra persona: un ragazzo giovane, bello, con tanti capelli biondi e una voglia matta di affermarmi, di farmi strada. Volevo realizzarmi in quello che avevo ormai scoperto essere il lavoro per cui mi sentivo portato: il commerciante”.

Gli anni Ottanta hanno segnato un cambiamento nei costumi degli italiani, nel loro stile di vita. I cittadini volevano dimenticare gli anni della tensione, delle sparatorie, degli estremismi di destra e di sinistra. 

Raggiunsero il successo tante aziende nella moda, nel design, nell’artigianato: il Made in Italy si affermava con le produzioni di alta qualità. Gli italiani si arricchivano, spendevano di più. Nel privato si affermava una classe di piccoli e medi imprenditori di notevole livello, determinati nella realizzazione dei loro obiettivi.

Berlusconi, ad esempio, dopo aver costruito quartieri e case residenziali di notevole eleganza immerse nel verde, negli anni Ottanta investe con profitto nella tv commerciale. Il successo imprenditoriale del Cavaliere fu clamoroso. Cosa ricordi di quegli anni per quanto riguarda il tuo lavoro?

“La gente amava vestirsi con stile. Noi abbiamo vissuto bene quel periodo. Tante persone che lavoravano nelle tv e nelle aziende di Berlusconi venivano da noi per acquistare abiti eleganti. Il Cavaliere era attentissimo alla forma, all’eleganza nel vestire. Ci teneva: per lui lavorare sulla propria immagine, sapersi presentare in modo impeccabile era un requisito fondamentale perché, diceva, ‘voi grazie alla televisione entrate nelle case degli italiani’. 

Per noi furono anni di grandi guadagni. Raggiungemmo un volume di affari tale da consentirci di ingrandire la superficie del negozio arrivando alle dimensioni attuali: questo fu possibile perché acquistammo i locali di un colorificio e di un ristorante che nel frattempo avevano cessato l’attività. L’allestimento degli spazi e l’arredamento caratteristico che si vede ancora oggi con i mobili in legno di noce di alta finitura sono interventi che feci proprio allora. 

Cosa ricordi di quella Milano? La Milano socialista di Tognoli e Pillitteri? 

Era una città in cui le persone si aiutavano, sicura di notte, in cui era possibile – per capirci – farsi una partita a pallone per le vie del centro e tornare a casa facendo l’autostop. Un altro mondo rispetto alla Milano di oggi, sconvolta da tanti reati di microcriminalità con scippi e violenze che sono all’ordine del giorno.

Arrivano poi gli anni Novanta, che segnarono una svolta nel bene e nel male. Caduto il Muro di Berlino, scoppiò il caso Tangentopoli con decine di politici arrestati e messi sotto processo. Milano viene amministrata da giunte di colore politico assai diverso rispetto a quelle che erano state protagoniste della vita cittadina fin dal dopoguerra. È la Milano di Marco Formentini (primo sindaco leghista di una grande città ad essere eletto direttamente dai cittadini nel 1993), poi di Gabriele Albertini che amministrò Milano per ben due mandati dal 1997 al 2006. Come sono stati questi anni per il tuo lavoro?

Lino Ieluzzi nella sua boutique in una foto degli anni Novanta.

“Abbiamo continuato a fare affari”.

Erano gli anni in cui l’amministrazione comunale vietava la libera circolazione di auto introducendo le “targhe alterne”; nel 1990-91 scoppiò la prima guerra del Golfo con l’aumento del prezzo del petrolio e le conseguenti ricadute nella contrazione dei consumi. In un’intervista rilasciata al “Corriere del Sera” nel 1990 sostenevi che, diversamente da altri negozianti, voi eravate riusciti ad uscirne bene e motivavi il buon andamento delle vendite con il rapporto di fiducia con la clientela. Affermavi: “le vendite nel 1990 sono state uguali all’anno passato…credo che i risultati vengono quando alla base c’è un buon servizio e una serietà nel rapporto con la clientela. Noi, per esempio, non abbiamo mai fatto e non faremo mai i saldi. Per correttezza verso chi compra sempre da noi”.

Confermo quello che dissi 35 anni fa. Mentirei tuttavia se ti dicessi che quelli sono stati anni facili. Nel 1990 una banda di criminali siciliani telefonò in negozio chiedendomi il pizzo e minacciandomi di morte. È stato un periodo difficile, in cui vissi per sette-otto mesi con la scorta che mi accompagnava in tutti i miei spostamenti, in particolar modo da casa al negozio. La questura mise sotto controllo i telefoni per intercettare le chiamate dei criminali. Tutto alla fine si risolse senza danni. Consapevoli che la polizia era sulle loro tracce, quei criminali mi lasciarono in pace. 

Il periodo tra la fine degli anni Novanta e gli anni Duemila è stato memorabile. Anzitutto ho introdotto nuove collezioni di abiti, che hanno ulteriormente arricchito il negozio con le ormai celebri giacche colorate in doppiopetto e monopetto. 

Ricordo poi le iniziative imprenditoriali all’estero, dove iniziarono a conoscermi negli ambienti del commercio: ho venduto le mie collezioni Al Bazar nei mall in Corea del Sud, in Giappone. In Corea mi recavo mediamente due volte all’anno: rimanevo là venti giorni per controllare l’esposizione dei miei prodotti nei negozi con cui avevamo stipulato affari. In quei paesi fui accolto con tutti gli onori e mi riservarono un trattamento speciale. Ricordo che venivano a prendermi in aeroporto con un auto di lusso, come se fossi un capo di Stato. Pensa che in Corea del Sud mi fecero ottenere un permesso di poche ore per visitare una fabbrica di vestiti che aveva sede in Corea del Nord: fu un’esperienza istruttiva. 

Lino Ieluzzi in uno scatto fotografico di Scott Schumann in S. Schumann, “The Sartorialist”, 2009.

Le mie apparizioni sulle riviste di moda iniziarono ad essere numerose. Quelli furono anni in cui mi ritrassero fotografi del calibro di Scott Schumann, le cui immagini apparvero nella rivista “The Sartorialist”. 

So che abiti in centro, in zona Porta Ticinese, non molto distante da piazza XXIV maggio. Perché hai scelto questa parte della città invece della zona di corso Vercelli dove hai il negozio?

Sono molto legato alla casa in cui abito: me la sono acquistata con i guadagni di una vita. Ho scelto questa zona perché mi piace passeggiare lungo la Darsena e i Navigli. È una parte di Milano che mi è particolarmente cara: in fondo mi ricorda Parigi e il fluire della Senna”.  

Cosa pensi della zona in cui ci troviamo, il quartiere che ti ha formato come imprenditore, in cui hai mosso i primi passi e in cui sei rimasto con la tua splendida boutique?  

“Corso Vercelli era fino a quindici anni fa la seconda via più importante di Milano nel campo delle boutique di alta moda, dopo via Montenapoleone. Oggi la realtà è un po’ cambiata”. 

E via Antonio Scarpa?

“Io sono qui da più di cinquant’anni e contribuisco tuttora a mantenere elevata la qualità dell’offerta nel campo del commercio. Da alcuni anni hanno aperto altri negozi che contribuiscono ad assicurare alla via questi livelli.