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La Darsena ritrovata

Sono stato anch’io tra i 70.000 visitatori che domenica scorsa hanno assistito alla riapertura della Darsena dopo anni di lavori. Il giudizio è nel complesso positivo. In un perodo difficile come quello attuale, la riqualificazione dell’area, decisa due anni fa dalla Giunta Pisapia, consente a Milano di presentarsi degnamente all’appuntamento di Expo.

Darsena1Oggi i milanesi possono fruire di uno spazio tra i più pittoreschi della città, un bacino ripensato in chiave turistica con alcune novità di rilievo. Penso ad esempio al mercato coperto. Inoltre, vicino all’arco di Porta Ticinese, è stato aperto un breve tratto del Ticinello: i visitatori possono ammirare i tre antichi archetti in pietra che collegano il canale alla Darsena, oggi visibili grazie a un sapiente lavoro di recupero.

Anch’io non posso esimermi da alcune critiche. Discutibile è stata la scelta di non conservare il tratto dei bastioni confinante con la Darsena. Discutibile la copertura del ponte verso la storica Conca di Viarenna. Discutibile la scelta di autorizzare nel naviglio grande quei box galleggianti che, gestiti da negozianti e ristoratori, occupano quasi metà del canale compromettendo la visuale pittoresca della zona.

Come ho detto all’inizio, il mio giudizio è tuttavia positivo. Mi auguro che l’amministrazione comunale, nei prossimi anni, sappia proseguire nella valorizzazione sociale e culturale dei navigli milanesi.

Che rapporto ha la Darsena con Milano? Partiamo anzitutto dalla parola. Il lemma, risalente all’arabo dar as-sina’a entrò nella lingua italiana mediato dal genovese nel corso del XVI secolo. La parola ha assunto il significato di “fabbrica”, intesa come area interna di un porto ove si effettuano riparazioni di barche e hanno sede officine e bacini di carenaggio.

IMG_5961In effetti, se studiamo la storia di Milano, ci accorgiamo che la nostra Darsena rientra bene in questa definizione. Il laghetto di Sant’Eustorgio fu certamente un porto per la città – anche se porto sui generis, come vedremo – ma funse soprattutto da deposito di merci; merci che, giunte in città mediante le imbarcazioni provenienti dal Naviglio Grande e dal Naviglio Pavese, erano depositate nelle banchine e nei quartieri vicini.

Ricordo che la Darsena, come il quartiere di San Gottardo e i due navigli nel tratto urbano, erano compresi fino al 1873 nel Comune dei Corpi Santi.

La Darsena fu insomma un grande deposito di materie prime per l’industria cittadina: pensiamo alla sabbia o alla ghiaia per la costruzione delle case. Nell’Ottocento vi erano anche trasportate le forme di parmigiano che si producevano nelle cascine della bassa, in particolar modo a Fombio, un paese in provincia di Lodi che era compreso nel territorio del ducato di Parma e Piacenza. Ecco una possibile chiave di lettura per capire l’origine del “parmigiano”! ;))).

Cesare Cantù, nella Grande Illustrazione del Lombardo Veneto pubblicata verso la metà del XIX secolo, stimava in 300.000 le forme di parmigiano depositate nelle ricevitorie di finanza di Codogno, Lodi, Pavia e nel borgo di San Gottardo. Questo borgo era chiamato dai milanesi burg de’ furmagiatt in ragione delle innumerevoli casere, le tipiche case milanesi – molte tuttora esistenti – costruite tra corso San Gottardo e il naviglio pavese per collocarvi il cacio da invecchiare.

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La Conca di Viarenna in una foto del primo Novecento

Dalla fine del Quattrocento, quando le acque del Naviglio Martesana vennero congiunte con quelle del Naviglio Grande grazie alla piena navigabilità della fossa interna in centro città, la Darsena divenne un vero e proprio porto cittadino. Il numero delle imbarcazioni crebbe a dismisura facendo dell’area un bacino equiparabile per volume di traffico ai principali porti della penisola. Le barche che solcavano i navigli appartenevano a diverse tipologie. Le “zeppate” o “ceppate” erano zattere di varia lunghezza che trasportavano per lo più legname. Discendevano il naviglio Martesana e, mediante il naviglio interno, raggiungevano la Darsena passando per la conca di Viarenna. C’erano poi i burchielli: quelli della Martesana erano lunghi 22 metri e larghi nel punto di maggiore ampiezza 4,65; quelli del Naviglio Grande, chiamati anche cagnoni, erano lunghi 23.50 metri, larghi 4,75.

La conca di Viarenna costituiva un punto di passaggio cruciale per le barche perché si trattava dell’unica via d’acqua per trasportare le merci nel Naviglio Interno verso la Martesana o, all’opposto, per portarle nella Darsena in direzione di Pavia o di Abbiategrasso. La conca era ceduta dallo Stato ai privati mediante contratti di affitto di durata pluriennale.

Diamo un’occhiata al contratto firmato il 18 dicembre 1815 dal funzionario di finanza Gioacchino Frigerio con il signor Giovanni Molinari. In base a questo documento, conservato nel fondo notarile dell’Archivio di Stato di Milano, sappiamo che il Molinari ricevette in affitto la Conca di Viarenna per “anni sei continui che avranno il loro principio nel giorno primo gennaio 1816 prossimo futuro e termineranno nel giorno 31 dicembre dell’anno 1821 mediante la prestazione annua di lire 1.100…da corrispondersi di trimestre in trimestre”. Nel contratto era allegata la tariffa che l’affittuario era autorizzato a riscuotere al passaggio delle barche per la conca di Viarenna. L’elenco ci dà un’idea del traffico di imbarcazioni nel primo Ottocento:

  1. Per le Barche grosse, cioè di montagna, abbino da pagare soldi 10
  2. Le Barche di Bereguardo [provenienti dal Naviglio di Bereguardo, tra Abbiategrasso e Pavia] mezzane ed altri luoghi quali siano della medesima grandezza abbino da pagare soldi 7 e mezzo
  3. Li navetti ordinari hanno da pagare soldi 5
  4. Li Burchielli pagheranno soldi 2 e denari 6
  5. Le Zeppate intiere pagheranno soldi 15
  6. Le Zeppate mezzane pagheranno soldi 10
  7. Le mezze Zeppate pagheranno soldi 7 e denari 6

Le barche grosse erano probabilmente quelle provenienti dal Lago Maggiore o dal Lago di Como.

Nella seconda metà dell’Ottocento l’avvento della ferrovia portò a una drastica riduzione del traffico merci lungo i canali. Nel Novecento la Darsena fu notevolmente ridimensionata, anche se fino agli anni Cinquanta continuò a fungere da deposito di materie prime.

Una preziosa guida di Milano in lingua francese pubblicata dall’amministrazione comunale in occasione dell’Esposizione Internazionale del 1906, forniva un quadro indicativo della Darsena di Porta Ticinese. La navigazione milanese si era considerevolmente ridotta, anche a seguito della chiusura di alcuni canali avvenuta a fine Ottocento. Ricordo  ad esempio la copertura del Naviglio di San Girolamo (lungo le attuali vie Carducci e parte di via De Amicis) nel 1894-95. Scriveva l’estensore della guida descrivendo la Darsena:

IMG_5964A 420 mètres de longueur sur une largeur qui varie de 28 à 68 mètres, avec une profondeur moyenne de mét. 1,20. Ce Bassin, creusé au pied des remparts, est actuellement le centre de ce qui reste de la navigation milanaise, puisqu’il recoit, outre les eaux du Grand Canal [Naviglio Grande], celles du Canal Intérieur [Naviglio Interno] alimentant l’écluse de la rue Arène [Conca di Viarenna nell’allora via Arena, oggi via Conca del Naviglio] et qu’il sert de prise au Canal de Pavie [Naviglio di Pavia] et donne origine à cette voie navigable qui, dans le conditions actuelle, réunit au Po le réseau des canaux milanais. C’est aussi dans ce bassin que vient se jeter la riviére Olona [il fiume Olona, oggi interrato], qui aux abords de Milan se trouve généralement asses pauvre, ses eaux étant dérivées pour les usages industriels mais dont les crues sont néamoins parfois assez importantes.  

Traduzione

“Ha una lunghezza di 420 metri e una larghezza che varia tra i 28 e i 68 metri e una profondità media di 1,20 metri. Questo bacino, scavato ai piedi dei bastioni, è attualmente al centro di quel che resta della navigazione milanese  perché riceve , oltre alle acque del Naviglio Grande, quelle del Naviglio Interno che alimentano la chiusa di via Arena [la Conca Viarenna, oggi in via Conca del Naviglio]; la Darsena serve per convogliare l’acqua nel naviglio pavese e dà origine a questa via navigabile che, nelle condizioni attuali, unisce al Po la rete dei canali milanesi. In questo bacino si getta anche il fiume Olona, che nella periferia di Milano è generalmente povero d’acqua servendo ad usi industriali. A volte i suoi allagamenti sono però notevoli”.