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Il “sindaco della micca”: Gaetano Negri

Il 31 luglio ricorre l’anniversario della tragica scomparsa di un grande sindaco e intellettuale: Gaetano Negri (1838-1902). Traccerò un breve profilo di questa importante personalità della vita pubblica milanese nel XIX secolo. Un uomo che acquisì notorietà per essere stato un esponente di punta della Destra moderata lombarda.

Gaetano Negri nell'uniforme di tenente del Regio esercito
Gaetano Negri nell’uniforme di tenente del Regio esercito

Laureato in legge all’Università di Pavia, il giovane Negri si arruolò nel regio esercito pochi mesi dopo l’annessione della Lombardia al Piemonte sabaudo: inviato nel Meridione per reprimere il brigantaggio, si guadagnò due medaglie d’argento al valore, nel 1861 e nel 1862 per la determinazione e il coraggio con cui represse alcune bande di malviventi in Campania.

Tornato a Milano, lavorò come giornalista per il quotidiano moderato La Perseveranza, ove  pubblicò alcuni interventi afferenti alla geologia, alla cartografia, alla geografia: interessi scientifici che aveva coltivato negli anni universitari grazie all’amicizia con il celebre patriota e scienziato Antonio Stoppani.

Consigliere comunale dal 1873 al 1898, Negri rivestì per alcuni anni l’ufficio di assessore all’istruzione nella giunta del sindaco Belinzaghi (1873-1884) mostrando ottime doti di amministratore. Si deve a lui la realizzazione della riforma scolastica prevista dalla legge Casati che portò al pieno funzionamento degli istituti educativi in città. Tale impegno gli guadagnò vasti consensi presso l’opinione pubblica. Negri raggiunse tuttavia la popolarità quando divenne sindaco di Milano nel 1884 in sostituzione di Belinzaghi, costretto a dimettersi per il suo coinvolgimento nella messa a punto di un piano urbanistico (fortunatamente rimasto sulla carta) che prevedeva la demolizione del Castello Sforzesco e la costruzione di nuovi edifici, due operazioni atte a favorire la nascente speculazione edilizia. Il nuovo sindaco seppe conciliare le ragioni di chi voleva tutelare l’integrità del patrimonio storico urbanistico con le richieste che provenivano dagli imprenditori dell’edilizia; richieste che partivano dalle esigenze di costruire case in periferia per gestire l’aumento significativo della popolazione cittadina. Ricordiamo che tra il 1884 e il 1911 Milano passò da 260.000 a quasi 600.000 abitanti.

Progetto del piano Beruto 1884
Il progetto originario del Piano Beruto (1884)

Il primo gennaio 1886 fu approvato il piano dell’ingegnere Cesare Beruto, la cui versione definitiva presentava notevoli modifiche rispetto al progetto originario, assai più radicale. Ad esempio, la prevista copertura del naviglio interno in centro città venne bocciata dalla giunta Negri, orientata alla conservazione di un’infrastruttura che costituiva un segno insopprimibile dell’identità cittadina. Inoltre, se nel progetto originario si proponeva la costruzione di una piazza centrale ad ovest rispetto a piazza del Duomo, collegata con nuove arterie stradali che avrebbero spianato molti isolati del centro, alla fine si decise per una piazza ellittica (il Cordusio) allargando le strade esistenti e costruendo la sola via Dante fino al Castello. Nella piazza d’Armi tra il Castello e l’arco del Sempione l’architetto Alemagna costruì quello che sarebbe poi diventato il parco Sempione. Si evitò poi di demolire l’antico fortilizio accogliendo le sagge indicazioni di Luca Beltrami, che propose di restaurarlo e farne la sede delle maggiori istituzioni storico culturali della città. Dobbiamo ringraziare Negri e Beltrami se il Castello Sforzesco è giunto fino a noi.

Tra i pregi del piano Beruto, varrà la pena ricordare che era prevista la divisione del Comune in zone per la costruzione di edifici appartenenti allo stesso genere: via XX settembre, vicino a Cadorna e a piazza Conciliazione, fu terreno per le ville, mentre la zona compresa tra piazzale Baracca e il Parco Sempione fu riservata ad eleganti abitazioni signorili. Il quartiere di Porta Tenaglia, le zone dell’antico Borgo degli Ortolani e dei Corpi Santi di Porta Comasina (oggi vie Canonica, Bramante, Paolo Sarpi) furono invece destinate all’edilizia popolare.

Il senatore Gaetano Negri
Il senatore Gaetano Negri

Il nome di Negri è poi legato alla riforma amministrativa che portò alla definitiva fusione del Comune dei Corpi Santi con la città di Milano. Come ho ricordato in un precedente articolo, i Corpi Santi erano stati annessi a Milano con decreto reale del 1873. La città restava tuttavia divisa in due zone separate, regolate da norme fiscali e politico-amministrative che finivano per privilegiare il centro cittadino. Una realtà che traspariva ad esempio nella materia elettorale: negli anni successivi all’annessione, la città antica poteva eleggere 61 consiglieri comunali mentre la città nuova (i vecchi Corpi Santi) poteva esprimerne solo 19 nonostante contasse una popolazione decisamente superiore rispetto al centro. Negri ebbe il merito di rimediare in parte a queste ingiustizie. Grazie al suo impegno fu compiuta la piena unificazione elettorale del Comune.

Il sindaco non volle toccare invece il diverso regime fiscale esistente nelle due parti della città. Gli alimenti e le altre merci continuarono ad essere più costose dentro la cerchia dei bastioni. Lo sapevano bene i milanesi che, abitando in periferia, si recavano ogni giorno in centro per lavoro: quelli che, mossi dall’esigenza di risparmiare, si portavano il cibo da casa, erano costretti a pagare il dazio all’ingresso delle vecchie porte cittadine. Negri difese strenuamente questo regime fiscale, il che finì per alienargli il favore dei ceti popolari, oltre a suscitare numerose proteste. In questa circostanza il primo cittadino di Milano fu soprannominato ironicamente il “sindaco della micca”. Solo nel 1897-98 il Comune avrebbe realizzato finalmente la piena unificazione tributaria.

Costretto a dimettersi nel 1889 per le sue posizioni impopolari in merito alla citata questione daziaria, Negri fu nominato senatore l’anno seguente, carica che rivestì fino alla morte. Occorre tuttavia ricordare che il moderato lombardo nutrì nei confronti della politica nazionale una certa estraneità, non sentendosi portato alla vita parlamentare, agli equilibri tra i partiti, ai giochi di potere. Alla faziosità e ai proclami della politica preferiva l’impegno concreto nell’amministrazione locale, nella gestione del suo patrimonio immobiliare, nei suoi studi filosofici e letterari.

Lasciò la guida della Destra milanese all’industriale Giuseppe Colombo che in un commosso intervento tenuto nel 1908, a sei anni dalla morte, volle ricordare l’amico con queste parole:

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La tragica morte di Gaetano Negri da “Il Secolo Illustrato della Domenica”, 10 agosto 1902.

si ritrasse in disparte, come fanno ormai, in proporzione sempre più grande, molti spiriti eletti, disgustati dalla vita pubblica, dall’acerbità delle passioni di parte, dalla crescente insincerità della politica e dall’opportunismo invadente.

Ma il rifugio veramente caro al suo cuore era la sua casa; era il salotto in cui, attorno alla eletta famiglia che egli adorava e dalla quale era adorato, si riunivano periodicamente gli amici più intimi; era lo studiolo, lindo, semplice e chiaro, dove egli passava ore deliziose nei lavori a cui lo portava la natura del suo spirito geniale.

Gaetano Negri morì nel corso di un’escursione mentre si trovava in vacanza nella cittadina ligure di Varazze. 

Alle origini del trasporto pubblico milanese

Oggi ricorre un anniversario importante. L’8 luglio 1876 veniva costituita la prima linea extraurbana di tram a cavalli che collegava Milano con Monza: la società che gestiva il servizio, la SAO (Società Anonima degli Ombibus), operava da alcuni anni nel trasporto cittadino. In quell’estate di 139 anni fa, la società puntava verso traguardi più ambiziosi, attivando linee di collegamento tra Milano e i Comuni circostanti.

Da chi era diretta la SAO e quale fu l’origine del trasporto pubblico milanese? Oggi i trasporti cittadini sono gestiti da Atm, l’azienda municipalizzata del Comune di Milano di cui si servono ogni giorno milioni di cittadini dell’area metropolitana. A quei tempi le cose stavano diversamente.

Omnibus1In una città il cui territorio era limitato alla cerchia dei bastioni, il Comune decise inizialmente di autorizzare servizi di Omnibus, anziché di Tramways. Difatti gli Omnibus, formati da cavalli che trainavano vagoni su ruota, consentivano una maggiore facilità di spostamento all’interno della città ambrosiana, il cui impianto urbanistico medievale era caratterizzato, entro la cerchia del naviglio interno, da una fitta rete di vie strette e tortuose. La SAO, fondata dal cavaliere Emilio Osculati, gestiva dal 1861 il trasporto pubblico cittadino.

Tra i capolinea più frequentati occorre ricordare la piazza antistante alla stazione di Porta Nuova, aperta nel 1864 ove oggi si trova piazza della Repubblica. In piazza Duomo, al civico 23, venne costituita una sala d’aspetto per passeggeri. Le prime vetture erano assai contenute nelle dimensioni: basti pensare che i posti a sedere erano appena otto. Il costo di un biglietto era di 10 centesimi. Le linee urbane non superavano le undici unitò, mentre le vetture in funzione erano appena 35.

Con il passare degli anni furono fabbricati vagoni più spaziosi, il cui numero aumentò considerevolmente. L’annessione a Milano del Comune dei Corpi Santi, avvenuta nel 1873, rendeva necessaria l’attivazione di nuove linee verso i quartieri periferici. Furono così messe a disposizione della società vagoni da 14-16 posti, mentre quelli più piccoli erano riservati ai percorsi in centro.

Omnibus2Ma torniamo a quell’8 luglio 1876, quando il cavaliere Osculati inaugurò la prima linea extraurbana. Il traguardo, come si è detto, era ambizioso: assicurare il collegamento dell’ippovia tra Milano e Monza. La novità risiedeva nel trasporto su rotaia che la SAO intendeva sperimentare nei tragitti fuori Milano, ove le distese dei campi consentivano la posa delle rotaie senza grossi ostacoli. Non era certo la prima volta che si costruiva una linea per quella tratta; com’è noto, il tratto di ferrovia tra Milano e Monza era stato inaugurato nel 1840 sotto il dominio austriaco. Occorre però tener presente che questa ferrovia non era alla portata di tutti. Si capisce quindi come la nuova linea di Omnibus Milano/Monza avesse finito per attirare un notevole interesse nell’opinione pubblica milanese, rendendo possibile lo spostamento dei cittadini tra le due città a costi più contenuti rispetto al treno.

Alla festa d’inaugurazione era presente, oltre al prefetto e al sindaco, il principe Umberto di Savoia. In quell’occasione la SAO tirò fuori i suoi assi migliori: otto vetture di nuova fabbricazione a due piani che, trainate da cavalli, avrebbero percorso il tragitto in poco più di due ore. Le cose però andarono diversamente. Il giornale “La Lombardia”, quantunque avesse cura di descrivere l’evento in toni trionfalistici, informava i lettori di alcuni incidenti dovuti al deragliamento dei vagoni:

Sabato mattina, alle ore 9 partivano per Monza dalla sede della Società Anonima degli Omnibus, a Porta Venezia, otto eleganti carrozze ornate di bandiere, capaci ciascuna di quaranta o quarantacinque persone e pesanti in tutto, veicolo e viaggiatori, cinque tonnellate. Il primo, dove avevano preso posto il Principe Umberto, il Prefetto, il Sindaco e parecchi Assessori e che con gentile pensiero era guidato dall’egregio Direttore della Società, il cavaliere Emilio Osculati, corse in modo assai soddisfacente i tredici chilometri che passano dal punto di partenza alla stazione dei tramway a Monza, non essendovi stato che un leggero sviamento, tosto riparato, in vicinanza di quella città. A pochi minuti di distanza l’uno dall’altro, vi tenevano dietro gli altri sette veicoli, che qual più qual meno, ebbero a subire lo stesso momentaneo inconveniente”.

Il principe Umberto si complimentò con Osculati per l’impegno con cui aveva reso possibile l’attivazione del nuovo servizio extraurbano. In realtà, spente le luci della retorica tesa ad esaltare l’industria nazionale – quattro delle otto carrozze erano prodotte dalla ditta Felice Grondona – quella giornata fu una delusione. L’ippovia aveva impiegato più di tre ore a fare un tragitto su rotaia la cui lunghezza non superava i tredici chilometri. Se ne accorsero subito i milanesi, attenti come sempre a valutare concretamente costi e benefici di una innovazione. Basterà ricordare il sapido ritornello che il direttore dell’Osservatore Cattolico, Don Davide Albertario, scrisse a commento della nuova linea di Omnibus:

Morettina dove vai? Vado a Monza sul tramway…so e giò per i rutai che a Monza el riva mai.

Omnibus3Quando nel 1880 il Comune di Milano decise di costruire le rotaie all’interno della città aprendo finalmente il centro ai tramways, la SAO si aggiudicò il servizio con un contratto triennale che garantiva al Comune una percentuale del 6% sugli utili della società. In occasione della Esposizione Nazionale del 1881, furono attivate le prime linee su rotaia che collegavano piazza Duomo con la stazione di Porta Nuova e con le arterie cittadine più vicine al sito dell’evento: i giardini pubblici di Porta Venezia e via Marina.

Negli anni seguenti la ditta sostituì gran parte dei cavalli con piccole locomotive a vapore per limitare i costi di trasporto. Alla fine degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta del secolo XIX la società toccò l’apice del successo.

La parabola discendente arrivò tuttavia inesorabile. Il cavaliere Osculati scomparve in breve tempo dall’industria dei trasporti pubblici. Nel 1883 l’ingegnere Giuseppe Colombo, fondatore della Edison, costruì in via Santa Radegonda, a pochi metri dal Duomo, la prima centrale elettrica europea destinata a cambiare in profondità la vita quotidiana dei milanesi. L’arrivo dell’elettricità fu un evento cruciale perché non portò soltanto all’illuminazione delle vie e delle piazze, ma finì per avere i suoi effetti nei sistemi di mobilità urbana. La Sao non comprese la forza rivoluzionaria dell’elettricità nel campo dei trasporti. La Edison fu invece rapida nello sfruttarne le potenzialità: nel 1892 si aggiudicò il primo servizio di tram a trazione elettrica nella linea piazza Duomo-Corso Sempione. L’anno seguente arrivò l’ondata del successo con 18 linee elettriche, molte delle quali con capolinea in piazza Duomo.

La SAO scompariva. Nel 1900 chiuse l’ippovia Milano-Monza che era stata inaugurata 24 anni prima. Il 5 dicembre 1901 veniva dismesso l’ultimo tram a cavalli.