20 maggio 1930: apre il planetario di Porta Venezia

Chi arriva in corso Venezia da corso Buenos Aires, trova sulla destra i giardini pubblici. Costruiti negli anni Ottanta del Settecento dall’architetto Giuseppe Piermarini sui terreni dell’ex monastero di Santa Maria Addolorata  – chiamato monastero “delle Carcanine” dal nome del fondatore, Giovanni Pietro Carcano –  e della chiesa di San Dionigi, i giardini vennero ingranditi nel 1856 ad opera dell’ingegnere Giuseppe Balzaretto: questi procedette all’unione della proprietà Dugnani, facendo della vasta area un parco in stile inglese caratterizzato da cascate, dirupi, laghetti, grotte. A proposito della chiesa di San Dionigi, ove si trovava la pietra misteriosa di San Barnaba , clicca qui se vuoi saperne di più! 😉

Oggi i giardini pubblici sono uno dei principali parchi di Milano con una superficie di 177.000 metri quadrati: uno spazio considerevole in cui i milanesi possono trascorrere il tempo libero camminando tra gli alberi, i prati e gli ameni viottoli. E’ un luogo di relax e divertimento per molte famiglie. Nel weekend (e non solo…) il parco si popola di tanti amanti della corsa. Inoltre, durante la settimana, è frequentato nelle ore di punta dagli impiegati che lavorano nel quartiere (zona via Senato, via Marina, via Fatebenefratelli, via Manin, via Turati..): li trovi ai giardini mentre mangiano un panino in pausa pranzo.

Nel luogo ove era il chiostro delle Carcanine si trova il Museo civico di storia naturale. Oggi mi soffermerò però su un altro edificio situato all’interno del parco: il planetario. La scelta non è casuale perché il 20 maggio di ottantacinque anni fa, nel 1930, la palazzina veniva inaugurata alla presenza del Duce in persona.

Benito Mussolini inaugura il Planetario
Benito Mussolini inaugura il Planetario, 20 maggio 1930

Come fu resa possibile la costruzione del planetario? La presenza delle autorità fasciste non deve indurci a considerazioni semplicistiche. Gli uomini che resero possibile questo progetto furono eminenti personalità della classe dirigente milanese. Convissero con il fascismo come larga parte della popolazione italiana, costretta a rinunciare alle libertà politiche e civili pur di continuare a lavorare in patria.

Il finanziatore del planetario fu l’editore e libraio di origine svizzera Ulrico Hoepli (1847-1935). Superati gli ottant’anni, giunto a un’età in cui si è soliti tirare i remi in barca, l’editore si dedicò ad iniziative filantropiche che fossero utili al progresso della società. Con quest’opera volle rendere omaggio a quella che era divenuta la sua “patria di adozione”, la “generosa Milano” come definì la città ambrosiana in un intervento letto il giorno dell’inaugurazione.

Hoepli si dimostrò un infaticabile promotore della vita culturale cittadina. Amava Milano perché le doveva molto: qui tentò la sorte come emigrato, qui fece fortuna lavorando sodo come libraio ed editore, qui allargò i suoi orizzonti entrando in contatto con i maggiori uomini di cultura. Del tutto indicativo, a tal proposito, il rapporto di Hoepli con il noto astronomo Giovanni Virginio Schiaparelli (1835-1910), le cui opere furono pubblicate dalla sua casa editrice a partire dal 1929. Per inciso gli Schiaparelli, un’importante famiglia della borghesia italiana tra Otto e Novecento, diedero al Paese noti scienziati e uomini di cultura: dal professor Ernesto Schiaparelli (1856-1928), cugino di Giovanni Virginio, egittologo, studioso di formazione cattolico liberale, a Luigi Schiaparelli (1871-1934), insigne paleografo e medioevalista.

La costruzione del planetario si poneva quindi in un progetto teso non solo ad abbellire la città, ma anche a favorire presso la cittadinanza la diffusione delle scoperte scientifiche in campo astronomico. Milano non era certo nuova all’astronomia. L’Osservatorio astronomico di Brera, costruito dal matematico Ruggero Boscovich nel 1764, negli anni in cui la Lombardia si trovò sotto il governo dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria, continuava ad essere un’istituzione prestigiosa. Nell’Italia del primo Novecento si faceva sentire tuttavia la mancanza di uno strumento d’avanguardia che fosse in grado di proiettare su un muro circolare le figure dei pianeti e delle stelle. Varrà la pena ricordare che nella Germania di Weimar, il paese più progredito nel campo delle scienze sperimentali, tra il 1926 e il 1928 furono costruiti planetari a Lipsia, Dusseldorf, Jena, Dresda, Hannover, Mannheim.

L’Italia non poteva essere da meno. I lavori per la costruzione del planetario milanese furono affidati a Piero Portaluppi (1888-1967). Questi scelse i giardini di Porta Venezia perché i cittadini, entrando nel parco, lasciando per un attimo gli affanni del lavoro, potessero riposare la mente nell’assistere alla proiezione dei pianeti.

Così Portaluppi spiegava le ragioni che lo avevano spinto a costruire il planetario all’interno dei giardini pubblici:

Planetario in costruzione
Il Planetario in costruzione

Non era troppo facile cosa trovare in Milano la località adatta per costruirvi un planetario, una località che fosse inclusa nell’organismo della metropoli e in pari tempo appartata; scoprire quasi una zona di raccoglimento ai margini stessi della vita cittadina che mettesse in grado chiunque, non importa di quale classe sociale, di dimenticare per poco la febbre che spinge ciascuno di noi alla rincorsa folle di un suo particolare tormento e di lanciare il proprio pensiero…in scorribande incommensurabili dietro il pellegrinare delle stelle.

E il problema sembra risolto con la scelta di quel tratto di pubblico giardino folto di alberi posto verso Corso Venezia tra papà Stoppani [si riferisce al vicino Museo di Storia Naturale] e l’erma [statua] di Mosé Bianchi [pittore]; nel centro stesso di Milano, a due passi da un’arteria ampia e rumorosa in mezzo alla folla, e pur solitaria sotto la volta verdeggiante degli ippocastani antichi, si eleva la volta ridotta dei cieli.

I lavori, iniziati nel luglio 1929, durarono quasi un anno. All’interno del planetario fu posizionato uno strumento ottico di marca rigorosamente germanica: Zeiss modello II.

Planetario 1929L’edificio disegnato da Portaluppi è tuttora visitabile. Si caratterizza per la classicità delle forme architettoniche. La facciata, costituita da un colonnato con timpano triangolare sul modello dei templi antichi, è preceduta da un’ampia scalinata. La cupola è inglobata in uno stabile a pianta ottagonale le cui brevi facciate, come spiegò lo stesso Portaluppi in un suo intervento pubblicato nel 1930, “sembrano sgattaiolare tra i vecchi tronchi [dei giardini]  sfiorandoli senza urtare uno solo”.

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