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La lezione di Cattaneo sull’insegnamento produttivo

In una lettera del 21 ottobre 1846 all’imperial regia delegazione provinciale di Milano – l’istituto periferico del governo asburgico in Lombardia – Carlo Cattaneo informava le autorità sulla feconda attività didattica della Società per l’Incoraggiamento delle Arti e dei Mestieri, di cui in quegli anni ricopriva la carica di segretario. In realtà, nello scrivere questa lettera, l’economista lombardo si rivolgeva al governo per chiedere l’autorizzazione ad assegnare la cattedra di Geometria e Meccanica al giovane Paolo Jacini (1823-1852). Questi era stato chiamato a sostituire l’ingegnere Giulio Sarti (1792-1866), che aveva lasciato l’insegnamento per assumere un importante incarico all’estero. Jacini, fratello del più celebre Stefano, patriota e moderato lombardo, si era conquistato la stima di Cattaneo che ne lodava le doti in questi termini:

 

Carlo_Cattaneo
Carlo Cattaneo (1801-1869)

Non appena aveva intrapreso il Sig. Ing. Giulio Sarti di dare presso questa Società una gratuita istruzione di Geometria e Mecanica alli operai, questo utile proposito venne interrotto da improviso invito ch’egli ebbe di progettare e costruire un canal navigabile da Santarèm a Lisbona.

Dolente come ne fu questa Società, venne tosto confortata dall’offerta che fece il giovine Sig. Ing. Paolo Jacini di supplire con gratuita opera all’assente. Continuò egli con molta approvazione delli intelligenti il corso di Geometria e nell’entrante anno si accinge a quello di Mecànica.

Gravoso è questo assunto per la necessità di districare da una congerie di dottrine le cognizioni più semplici e adattarle alla condizione degli uditori.

[Da Margherita Cancarini Petroboni e Mariachiara Fugazza (a cura di), Carteggi di Carlo Cattaneo, Le Monnier – Casagrande, Firenze – Bellinzona 2001, serie I, vol.I., pp.638-639]

Qui possiamo svolgere due osservazioni. Anzitutto Cattaneo rendeva noto che l’ingegnere Sarti aveva lasciato l’insegnamento perché invitato dal governo portoghese a lavorare alla costruzione di un canale navigabile. Sarti, ingegnere civile e ferroviario, aveva progettato e diretto la strada ferrata Milano-Monza. Nel congresso degli scienziati tenuto a Milano nel 1844 si era fatto notare per aver proposto di regolamentare il lavoro dei fanciulli, mostrando di avere a cuore il triste fenomeno dello sfruttamento della manodopera minorile. Nel 1845 accettò l’insegnamento nella Società d’incoraggiamento di arti e mestieri: dapprima tenne “letture di geometria”, poi fu titolare del corso gratuito di “geometria e meccanica” menzionato da Cattaneo nella lettera citata sopra.

inaugurazione del naviglio pavese

Il lavoro che il Sarti ricevette dal governo portoghese – la costruzione di un canale navigabile – è oltremodo significativo. Oggi Santarèm è una cittadina abitata da più di 63.000 abitanti che dista 80-90 chilometri dalla capitale portoghese. Il territorio tra le due città è attraversato dal fiume Tago, che a quell’epoca non era interamente navigabile. Quando il governo portoghese decise di costruire un canale artificiale, non si rivolse a un ingegnere olandese o tedesco. Chiamò un milanese. Questo significa che la Milano dei navigli era a quel tempo una città in grado di formare ingegneri qualificati la cui competenza in materia di regime idrico e gestione dei trasporti su acqua aveva assunto una fama europea. La Milano di oggi, ove i navigli non rivestono alcuna funzione di utilità sociale, si trova purtroppo agli antipodi rispetto alla città di Manzoni.

La seconda osservazione riguarda il metodo d’insegnamento quale era concepito da Cattaneo. Secondo l’economista lombardo l’attività didattica, per essere efficace, deve saper ridurre a concetti semplici e chiari la complessa materia delle dottrine da trasmettere al pubblico: “districare da una congerie di dottrine le cognizioni più semplici e adattarle alla condizione degli uditori”. Un impegno certamente “gravoso” ma imprescindibile per qualsiasi docente, pena l’inutilità dell’insegnamento.

Ma vediamo di capirci qualcosa di più su questo tema. Quale senso aveva l’insegnamento nella Società di cui Cattaneo fu segretario a partire dal gennaio 1845?

In un articolo pubblicato a gennaio mi sono soffermato su due associazioni d’élite nella Milano della Restaurazione: il Casino dei Nobili e la Società del Giardino. Il tratto caratteristico di questi sodalizi risiedeva nella ristretta cerchia degli associati, nella finalità puramente ricreativa delle adunanze dalla cui frequentazione i soci potevano ricavare benefici per i loro affari privati.

Enrico Mylius
Enrico Mylius (1769-1854)

La Società d’incoraggiamento di arti e mestieri si costituì con caratteristiche nettamente diverse. Fondata nel 1838 grazie all’imprenditore, uomo d’affari e infaticabile mecenate Enrico Mylius – nato a Francoforte sul Meno da una famiglia di origini viennesi – la Società fu costituita con il supporto di un nutrito gruppo di banchieri e negozianti milanesi decisi a migliorare l’economia lombarda mediante il sostegno alle attività utili e produttive. Mylius, che assunse la presidenza della Società, seguì l’esempio di analoghe istituzioni attive a Parigi, a Berlino e nell’impero asburgico (ad esempio nell’Austria inferiore o in Boemia).

Diversamente dalle associazioni d’élite, questo sodalizio – la cui sede fu per circa un cinquatennio in piazza Mercanti – nasceva quindi con un programma vasto, teso alla promozione di attività industriali mediante il connubio tra scienza e lavoro. La finalità era quindi generale, travalicava l’interesse particolare dei soci per puntare al miglioramento economico della società in una tensione continua verso il progresso. Lo Statuto prevedeva sovvenzioni a titolo gratuito ad artigiani e commercianti, stabiliva il conferimento di doni onorifici tesi ad incoraggiare l’attività manifatturiera. Con il passare degli anni gli obiettivi divennero più ambiziosi. In un quadro internazionale dominato da un’accesa concorrenza economica tra gli Stati europei, la Società volle trasmettere ai lavoratori le cognizioni e i saperi utili a svolgere l’attività manifatturiera ai livelli più avanzati sotto il profilo tecnologico. Diffondere il sapere tecnico in imprese produttive, finanziare studi economici tesi ad innalzare le conoscenze delle classi industriali: queste le finalità del sodalizio, rese possibili grazie al contributo della Camera di Commercio ma anche al sostegno dei numerosi soci. Diversamente dalle associazioni d’élite, ove le quote d’iscrizione erano piuttosto elevate, nella Società di incoraggiamento d’arti e mestieri l’ingresso era condizionato al pagamento di almeno 30 lire annue.

Per tornare alla lettera di Cattaneo, nel lodare l’attività didattica del giovane Jacini, egli tornava in chiusura sul già citato principio dell’utilità pratica cui doveva rispondere l’insegnamento. I giovani docenti della Società meritavano stima universale perché sottraevano il tempo all’ozio per trasmettere ai lavoratori le conoscenze più efficaci nel lavoro industriale:

La Società vede con sommo compiacimento questa bella gara di giovani facoltosi nel sottrarre i loro più belli anni alla dissipazione per consacrarli a sollievo della classe industriosa, facendole dono di quelle cognizioni che rendono più fruttuosa la fatica e meno pericolosa la concorrenza straniera. La Società vede con ciò raggiunta la sua destinazione…

Negli anni della segreteria di Cattaneo furono attivati ad esempio corsi di setificio a cura dell’industriale torinese Angelo Piazza e di fisica industriale tenuti da Luigi Magrini. Tali corsi si aggiunsero alle lezioni di chimica industriale tenute da Giovanni Antonio de Kramer. In campo agricolo si propose l’acquisizione di un appezzamento di terra che servisse da modello per introdurre nuove pratiche nella lavorazione del grana padano mediante l’impiego di manodopera specializzata, formata e diretta da professori impiegati in loco. Tale progetto rimase però sulla carta a causa dello scoppio della rivoluzione del ‘48.

La Società d’incoraggiamento di arti e mestieri è tuttora esistente. Dal 1889 ha sede in via Santa Marta al civico 18. Se vuoi saperne di più, val al sito SIAM 1838.

Un viceré mancato: l’arciduca Ferdinando Massimiliano

Il 6 settembre 1857, pochi mesi dopo la nomina a governatore del regno Lombardo Veneto, Ferdinando Massimiliano, fratello dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, fece un solenne ingresso a Milano. L’arciduca fu chiamato a sostituire l’anziano feldmaresciallo Radetzky, che aveva cumulato negli anni precedenti i poteri civili e militari impersonando, tra il 1849 e il 1853, il volto più truce e spietato della dominazione austriaca.

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Ritratto di Ferdinando Massimiliano governatore del regno Lombardo Veneto (1832-1867). Dipinto di E. Heinrich

Massimiliano entrò in città accompagnato dalla moglie Carlotta di Sassonia Coburgo Saalfeld. I due sposi erano giovanissimi: l’arciduca aveva solo venticinque anni, la moglie diciassette. Il clima che si respirava in città non era tale da suscitare entusiasmi. La repressione militare di Radetzky seguita alla rivoluzione del 1848 era rimasta nella coscienza di molti come il duro segno dell’oppressione.

La nomina di Massimiliano a governatore fu l’estremo tentativo compiuto dall’Austria per ristabilire un dialogo con la società lombarda. Per la verità altri provvedimenti erano stati emanati negli anni precedenti per rasserenare il clima nel rapporto con i sudditi italiani. Varrà la pena ricordare la ricostituzione nel dicembre 1856 delle congregazioni centrali di Milano e Venezia: organi collegiali di rappresentanza a carattere per lo più consultivo che, previsti dall’ordinamento lombardo veneto fin dal 1815, erano stati aboliti dopo il 1848. Un’altra misura adottata dal governo imperiale nel segno della pacificazione era stata la cessazione dello stato d’assedio che Radetzky aveva introdotto durante la repressione militare: a partire dal primo maggio 1854 si era deciso il ripristino dei codici ordinari in sostituzione del giudizio statario (militare). Altri provvedimenti avevano avuto l’effetto di limitare il governo dell’anziano maresciallo. A confermare una netta svolta nella politica dell’Austria verso il Lombardo Veneto era stato inoltre l’annullamento del sequestro dei beni appartenenti ai patrioti italiani emigrati in Piemonte, sequestro che era stato deciso da Radetzky nel 1853 e aveva suscitato grande scalpore nell’opinione pubblica internazionale.

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Carlotta Maria Clementina Amalia, moglie di Ferdinando Massimiliano e figlia di Leopoldo I del Belgio (1840-1927)

Si capisce quindi come l’arrivo di Massimiliano nella città del Duomo fosse accolto con cauta benevolenza. La missione affidata all’arciduca dal governo di Vienna consisteva nel favorire il ristabilimento di quel clima di simpatia verso le istituzioni imperiali che la dura amministrazione della cricca militare aveva dissolto negli anni precedenti. Il governatore, che rilevava da Radetzky le sole funzioni civili mentre quelle militari restavano al generale ungherese Ferencz Gyulai, ebbe successo per un certo periodo. Le sale del palazzo reale di Milano e della Villa Reale di Monza furono aperte alle élites della società lombardo veneta senza distinzioni di sangue. Massimiliano chiamò inoltre a collaborare con le autorità esponenti della borghesia intellettuale che avevano partecipato alla stagione rivoluzionaria del ’48 o erano noti per il loro liberalismo. Allo storico e letterato Cesare Cantù, che dopo l’Unità sarebbe divenuto il primo direttore dell’Archivio di Stato di Milano, affidò la stesura di un ambizioso progetto di riforma degli studi commisurato alla realtà italiana, volto a ridurre gli elementi di germanizzazione allora esistenti nei programmi educativi. Valentino Pasini, uno degli uomini più rappresentativi della Venezia insorta nel 1848-49, fu chiamato ad elaborare uno studio sulle finanze lombardo venete; a Stefano Jacini, esponente della corrente lombarda liberal moderata, fu dato incarico di studiare la situazione in cui versava la Vatellina perché il governo austriaco potesse adottare provvedimenti adeguati onde risollevare l’economia di quel territorio. Seguirono provvedimenti importanti che portarono al potenziamento delle Accademie di Belle Arti  di Milano e Venezia; entrò in vigore una riforma dei medici condotti che permise un miglioramento delle condizioni in cui erano chiamati ad operare.

Nel breve periodo in cui fu governatore del Lombardo Veneto (aprile 1857-aprile 1859) Massimiliano però si spinse oltre e, violando le istruzioni ricevute dal fratello, elaborò un progetto di riforma costituzionale che avrebbe garantito al regno un’autonomia amministrativa fino ad allora sconosciuta. L’arciduca ambiva a divenire viceré di uno Stato il cui governo avesse poteri incisivi. Si trattava di un piano che si poneva verosimilmente all’interno di una riforma federale che Massimiliano caldeggiava per la monarchia austriaca nel suo complesso, ove gli Asburgo avrebbe potuto regnare lasciando alle comunità larghe autonomie territoriali. In tal modo l’arciduca contava di recuperare il consenso dei sudditi lombardo veneti, guadagnando all’Austria un sostegno nell’opinione pubblica che fino a quel momento era impensabile.

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L’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe (1830-1916) in un ritratto risalente al 1850.

Le speranze di Massimiliano andarono deluse. I suoi progetti furono respinti dall’imperatore Francesco Giuseppe, che restava legato a un modello di Stato assolutista e accentratore che riscuoteva larghi consensi nella corte di Vienna. L’arciduca si vide rifiutare dal fratello anche i poteri militari nel Lombardo Veneto, poteri di cui invece era stato investito il suo predecessore Radetzky. In una lettera del 26 dicembre 1858, ove era facile intuire un acceso confronto tra i due, Francesco Giuseppe scriveva al fratello:

Non posso esigere che tu sia d’accordo su tutto ciò che decido, ma devo essere sicuro che ciò che ho deciso venga eseguito con zelo, e che l’opposizione che tale decisione può suscitare non sia incoraggiata dalla credenza che tu pure non sei d’accordo colla direttiva mia. Ciò non esclude naturalmente il tuo diritto di farmi delle obiezioni su quel che non ti sembra atto allo scopo a cui si mira…

L’arciduca fece ritorno in Lombardia consapevole del fallimento del suo ambizioso programma riformatore. In realtà dietro la sconfitta di Massimiliano c’era la sconfitta politica dell’Austria, che nel Lombardo Veneto perdeva irrimediabilmente il sostegno di settori importanti della società. L’altra sconfitta, quella militare, sarebbe giunta di lì a poco nella seconda guerra d’indipendenza (maggio-luglio 1859).

Il Piemonte, ove il governo di Cavour aveva promosso in quegli stessi anni un imponente sviluppo economico, costituiva l’unica alternativa credibile per i liberali delusi dall’Austria. Il fallimento della politica di Massimiliano spianò la strada al programma nazionale del Piemonte sabaudo.