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Dalle ‘vaganti latrine’ agli smart bins di Amsa

Il rapporto dei milanesi con la spazzatura è sempre stato controverso. In età moderna la condizione delle strade era a dir poco misera se considerata con gli standard di pulizia cui siamo abituati oggi. Chi camminava nel XVI o nel XVII secolo per le vie del centro, perfino lungo i corsi principali, doveva fare i conti con una situazione ambientale assai misera: strade lordate da escrementi di ogni tipo, il suolo bagnato dell’urina dei vasi da notte che venivano svuotati dalle finestre.

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Il poeta Giuseppe Parini (1729-1799)

Ancora in pieno Settecento, nel periodo in cui il riformismo illuminato accendeva i suoi “lumi” e si adoperavano le prime misure tese a conferire pubblico decoro alla città, poteva capitare che la sporcizia restasse per giorni ai bordi delle vie. I rifiuti restavano per giorni in strada, tanto che in milanese la radice del lemma che indicava la spazzatura (ruera) era lo stesso di strada (ruga….da cui via Rugabella: bella strada): la competenza del “rüè”, dello spazzino, consisteva nel raccogliere questi rifiuti nella grande gerla che reggeva sulle spalle e nel portarli fuori dalle mura, in aperta campagna. Questo però non avveniva regolarmente, il che finiva con il rendere l’aria irrespirabile. L’abate Giuseppe Parini fu uno dei primi a denunciare, in una famosa ode del 1754, il misero stato in cui versavano le strade milanesi. Nello scritto Sulla salubrità dell’aria il poeta non esitava a preferire l’aria della sua Brianza ai fetori immondi di Milano:

Ma al pié de’ gran palagi/ Là il fimo alto fermenta;/ E di sali malvagi/ Ammorba l’aria lenta,/ che a stagnar si rimase/ tra le sublimi case./ Quivi i lari plebei/ Da le spregiate crete/ D’umor fracidi e rei/ Versan fonti indiscrete;/ Onde il vapor s’aggira,/ e col fiato s’inspira./ Spenti animai, ridotti/ Per le frequenti vie,/ De gli aliti corrotti/ Empion l’estivo die:/ Spettacol deforme/ Del cittadin sull’orme./ Né a pena cadde il Sole,/ che vaganti latrine/ con spalancate gole/ lustran ogni confine/ De la città, che desta/ Beve l’aura molesta.

  “Ma ai piedi dei grandi palazzi fermenta il tanto letame. E di odori nocivi ammorba l’aria fetida, che rimase a stagnare tra queste case sublimi. Qui gli abitanti delle case popolari gettano in strada le acque sporche dei vasi da notte (le spregiate crete) per cui i miasmi si aggirano per l’aria e si respirano dai passanti. Animali morti, che giacciono sulle vie frequentate, riempiono l’aria estiva del puzzo della carcasse in decomposizione: informe spettacolo ai piedi del cittadino. E poco prima del tramonto i carri dei rifiuti spinti dagli spazzini (latrine vaganti) con i loro coperchi spalancati puliscono ogni lato della città, che al risveglio si deve ancora sorbire quell’aria fetida”.

 

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Eugenio Beauharnais (1781-1824), vicerè del Regno Italico dal 1805 al 1814

Nel 1781 il magistrato di sanità, l’istituzione del ducato incaricata di vigilare sulla salute pubblica, emanò disposizioni precise sulla pulizia delle strade. La cura dell’igiene pubblica restò però inefficace per molti anni perché i milanesi violavano i regolamenti. I primi provvedimenti incisivi arrivarono quando Milano fu capitale del Regno d’Italia napoleonico. Un decreto del viceré Eugenio Beauharnais, firmato dal Palazzo Reale l’8 gennaio 1811, nel denunciare la pessima abitudine di depositare nelle cantine o nei cortili domestici il letame delle stalle e ogni specie di rifiuti, vietava tali pratiche sotto pena di una multa di 200 lire italiane, che saliva a 300 lire in caso di recidiva. Pochi mesi dopo, un’ordinanza del prefetto di polizia dell’Olona, Villa, obbligava i cittadini a trasportare l’immondizia fuori città assicurandosi che il luogo prescelto si trovasse a una distanza dalla strada e dall’abitato non inferiore ai 100 metri.

Da allora è passata molta acqua sotto i ponti. Oggi Milano si trova all’avanguardia nella pulizia delle strade e nella gestione dell’immondizia. La raccolta differenziata, pari al 54% del totale, seconda in Europa solo a quella di Vienna, consente di produrre fonti di calore per 24.000 famiglie ed energia elettrica per 130.000 nuclei familiari. In un interessante incontro tenuto tre giorni fa all’Urban Center in Galleria Vittorio Emanuele, una delegazione di operatori ecologici di New York si è incontrata con gli amministratori del Comune, di A2A e di Amsa per scambiarsi il proprio know-how e condividere obiettivi ambiziosi. Nella Grande Mela il sindaco De Blasio ha dichiarato di voler raggiungere entro il 2030 l’azzeramento della produzione di immondizia indifferenziata. La giunta Sala, che intende portare nei prossimi anni la raccolta differenziata al 65%, si pone lo stesso traguardo potendo contare su un servizio di gestione dei rifiuti – quello di Amsa, dal 2008 controllata da A2A – tra i più avanzati in Europa.

 

Dennis Diggins, First Deputy Commissioner del New York City Department of Sanitation, ha mostrato come raggiungere l’obiettivo del “zero waste” sia un obiettivo difficile ma non impossibile se l’amministrazione riesce a gestire bene i processi di smaltimento per ogni tipologia di rifiuto come avviene in larga parte già a Milano.

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Marco Granelli, assessore all’ambiente del Comune di Milano

D’altra parte, “prendendo ad esempio l’esperienza di New York” ha spiegato l’assessore all’ambiente del Comune di Milano, Marco Granelli – crediamo che Milano possa puntare ancor più in alto recuperando una componente importante come i tessuti che oggi vanno nell’indifferenziato. Siamo poi consapevoli che l’attività educativa nelle scuole è fondamentale: applicare la differenziata nei cestini pubblici in strada – come è stato fatto ad Expo 2015 – richiede un’educazione civica diffusa sul territorio. A Milano è poi cruciale coinvolgere maggiormente i condomini mettendo in atto misure  – come ad esempio sconti sulla Tari – atte a premiare chi dimostrerà di prendersi cura dello spazio comune”.

Valerio Camerano, amministratore delegato di A2A, ha confermato come anche per Milano l’obiettivo sia di arrivare al 100% della raccolta differenziata entro il 2030. Investimenti significativi sono previsti per nuovi impianti tesi allo smaltimento del vetro, carta, plastica e organico. Il servizio si estenderà nei prossimi anni all’area metropolitana garantendo ai Comuni dell’hinterland un servizio che sia allo stesso livello di quello presente a Milano. Il responsabile operativo di Amsa, Mauro De Cillis, ha annunciato che dal 2017 verranno introdotti in città gli smart bins, i cestini intelligenti: dotati di un chip elettronico, invieranno alla centrale informazioni sui rifiuti accumulati consentendo agli operatori di tracciare la produzione storica per ogni isolato. Entro il 2018 quindicimila cestoni saranno smart sui ventiquattromila complessivi.

Tra le novità dei prossimi anni vi sarà il rinnovamento ecologico del parco mezzi con una flotta che sarà pienamente ecocompatibile entro il 2018; l’unione del cartone alla carta a seguito dell’elevata diffusione degli acquisti via internet; la riduzione della raccolta indifferenziata ad una volta alla settimana per indurre i cittadini ad impegnarsi maggiormente nella separazione dei vari tipi di rifiuti.

Le origini della Grande Milano

Milano è al centro di una vasta area metropolitana in cui vivono e si muovono milioni di persone. La Città metropolitana, costituita il primo gennaio 2015 in sostituzione dell’attuale provincia, può essere un’occasione per migliorare il governo del territorio: si tratta di un ente intermedio che, subentrando alla Provincia di Milano (soppressa), è formato dall’unione dei municipi dell’area urbana milanese allo scopo di fornire ai cittadini standard omogenei di servizi nel campo dei trasporti, dell’urbanistica e dell’ambiente.

In realtà, quando pensiamo a Milano, noi oggi non prestiamo la dovuta attenzione al fatto che la città è già un grande Comune in base alla sua evoluzione storica. Nel comune ambrosiano, la cui superficie è pari a 18.176 ettari, risiede una popolazione superiore al milione e trecentomila abitanti. Quando è nato il comune di Milano nella sua attuale estensione territoriale?

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Milano con l’annessione del comune dei Corpi Santi. Mappa del 1873

Come ho ricordato in un post di qualche settimana fa, la città si era ingrandita notevolmente in seguito all’annessione dei Corpi Santi avvenuta nel 1873. Nel 1921 il territorio era pari a 7.600 ettari. Gli abitanti erano più di 700.000.

Vediamo nel dettaglio l’estensione del Comune nel primo ventennio del Novecento: il territorio compreso entro i bastioni era pari a 832 ettari; i Corpi Santi occupavano una superficie di 6.643 ettari. L’ingrandimento di Milano proseguì nel 1918, quando venne decisa l’annessione di Turro, il cui territorio misurava un’estensione di 125 ettari.

Eppure, nonostante tali ingrandimenti, Milano misurava una superficie troppo angusta per una città considerata la capitale morale d’Italia, sede delle maggiori banche e industrie del paese. Secondo il censimento del 1921, la superficie del comune meneghino era tra le più ridotte in Italia: 76,29 kmq. Se si tolgono i casi di Genova, Firenze e Bari, le città con una popolazione superiore ai 100.000 abitanti presentavano un’estensione incomparabilmente maggiore: da Ferrara (405,25) a Taranto (411,80) per non parlare di Roma (2074,62).

Milano in una mappa del 1910.
Milano in una mappa del 1910.

L’ingrandimento della città era sentito come una priorità da molti esponenti della classe dirigente milanese, il che era comprensibile se si considera che molti servizi civici erano ancora localizzati al di fuori del territorio comunale: la ferrovia e gli impianti sportivi si trovavano a Lambrate, il collettore della fognatura nel Vigentino; a Trenno era stato costruito il celebre ippodromo; a Musocco il cimitero; a Baggio l’aerodromo; a Dergano l’ospedale dei contagiosi.

Nel 1923, quando il sindaco di Milano, il ginecologo Luigi Mangiagalli, si fece promotore del piano d’ingrandimento del comune, in Italia era in carica il primo governo Mussolini di cui facevano parte esponenti del partito fascista, del partito liberale e del partito popolare; un governo il cui operato sembrava porsi entro i confini della legalità. In realtà, come vedremo tra poco, il capo del governo mostrò già in questi anni una scarsa attenzione per le leggi dello Stato liberale.

Mussolini incoraggiò il progetto d’ingrandimento del comune di Milano. In una lettera del 7 luglio 1923 al sindaco Mangiagalli, il capo del governo si espresse in questi termini:

 

Benito Mussolini in una foto dei primi anni Venti.
Benito Mussolini in una foto del 1923.

Caro ed illustre Sindaco…ho la sensazione che Milano abbia il respiro della sua fatale espansione mozzato dalla fungaia di piccoli comunelli che sorgono alla sua periferia (Greco, Lambrate, Dergano, Gorla, Turro, Musocco, Affosi, Chiaravalle). Se Vostra Signoria crede di provocare un provvedimento di annessione che io stimo utile e forse necessario, io sono disposto a farlo approvare. Qualche intesa dovrebbe intervenire con i sindaci dei comuni. Io credo che la cosa piacerebbe anche a loro o prima o dopo. [Le sottolineature sono di Mussolini, NdR]

A ben vedere, il capo del governo mostrava di non avere buona memoria perché il comune di Turro era già stato annesso a Milano alcuni anni prima. Il governo sembrava favorevole a un ingrandimento della città mediante il coinvolgimento dei comuni secondo il dettato dell’articolo 118 della legge comunale e provinciale del 4 febbraio 1915 n.148: “Il governo del Re può decretare l’unione di più Comuni, qualunque sia la loro popolazione, quando i Consigli comunali ne facciano domanda e ne fissino di accordo le condizioni”.

Mussolini in realtà non esitò a violare la legge quando fosse risultata d’intralcio ai suoi interessi. Il governo seguì infatti una procedura che violò la normativa esistente. L’annessione dei Comuni limitrofi a Milano, avvenuta con decreti reali del 2 e del 30 settembre 1923, fu operata senza alcun coinvolgimento dei consigli comunali dei municipi interessati. L’ispiratore di tali atti autoritari fu lo stesso sindaco Mangiagalli, il quale caldeggiò l’unione immediata dei comuni suburbani “risparmiando le pratiche burocratiche”. Anziché attendere i pronunciamenti degli undici municipi limitrofi, si decise di convocare i sindaci in prefettura per informarli in merito al decreto di aggregazione deciso dal governo. Si stabilì inoltre che nel consiglio comunale di Milano, in carica dal 30 dicembre 1922, sarebbero entrati i rappresentanti dei municipi aggregati. Tuttavia, per rafforzare la componente fascista, Mussolini decretò lo scioglimento dei consigli comunali e nominò undici “amministratori o commissari straordinari” che sarebbero entrati a Palazzo Marino come rappresentanti dei municipi annessi alla città.

La grande Milano, nata per rispondere alle esigenze di una città in rapida espansione, venne realizzata quindi con metodi autoritari che erano la negazione delle autonomie locali. Questa è la storia del comune di Milano nella sua attuale estensione territoriale. In realtà, la città ingrandita fino a comprendere i confini attuali è storia risalente ancor più indietro nel tempo.

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Il viceré del regno italico Eugenio Beauharnais (1781-1824)

Negli anni del regno d’Italia napoleonico, con un decreto del viceré Eugenio Beauharnais risalente al 9 febbraio 1808, il territorio milanese – allora limitato ai bastioni spagnoli – venne accresciuto nel tentativo di farne una metropoli sul modello di Parigi. In quell’occasione vennero annessi alla grande Milano i Comuni che si trovavano a una distanza non superiore a 7 chilometri dalla torre della piazza dei Mercanti, il cuore di Milano ove convergevano gli assi viari dei sestieri milanesi. Ad essere compresi nella Grande Milano napoleonica furono i comuni di Affori, Bicocca, Boldinasco, Casanova, Chiaravalle, Corpi Santi, Crescenzago, Dergano, Garegnano, Gorla, Grancino, Lambrate, Lampugnano, Linate, Lorenteggio, Macconago, Morsenchio, Musocco, Niguarda, Nosedo, Poasco, Precentenaro, Precotto, Quarto Cagnino, Quintosole, Redecesio, Ronchetto, San Gregorio vecchio, Segnano, Sellanova, Trenno, Turro, Vajano, Vigentino e Villapizzone. La grande Milano napoleonica durò pochi anni. Gli austriaci, tornati in possesso della Lombardia nel maggio 1814, ricostituirono dopo pochi anni l’antico reticolo di piccoli comuni rinchiudendo Milano entro il perimetro secolare dei bastioni spagnoli.